Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29481 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 06/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29481

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 590/2019 proposto da:

B.H., elettivamente domiciliato Roma, presso la Corte di

cassazione, difeso dall’avvocato Vincenzo Savino;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 826/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 27/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2020 da Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.H., cittadino (OMISSIS), ricorre per tre mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza del 27 novembre 2018, con cui la Corte d’appello di Potenza ha respinto il suo appello avverso ordinanza del locale Tribunale di rigetto, in conformità alla decisione della competente Commissione territoriale, della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

L’amministrazione intimata resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo mezzo denuncia ai sensi dell'”art. 360 c.p.c., comma 3″ violazione e falsa applicazione “delle norme di diritto in merito al riconoscimento della protezione internazionale, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, commi 1 e 3 nonchè al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8”, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto “una sorta di non credibilità del racconto del ricorrente”, adducendo una motivazione “del tutto scarsa”.

Il secondo mezzo denuncia, sempre ai sensi, dell'”art. 360 c.p.c., comma 3″, violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in merito al riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, comma 1, lett. c).

Il terzo mezzo, svolto questa volta ai sensi dell'”art. 360 c.p.c., comma 5″, denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo mezzo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi.

Il ricorrente addebita alla Corte territoriale di aver ritenuto “una sorta di non credibilità del racconto del ricorrente”, adducendo una motivazione “del tutto scarsa”: ma la sentenza impugnata dice tutt’altro, e cioè che “l’appellante non ha riferito di specifici atti di persecuzione, nè indicato circostanze relative alla sua situazione personale riconducibili ad una situazione di persecuzione… rilevante ai fini… del riconoscimento dello status di rifugiato” (così a pag. 4 della sentenza impugnata).

La ratio decidendi adottata dal giudice di merito, cioè, si riassume in ciò, che B.H. non aveva allegato la sussistenza di una situazione riconducibile a quelle che determinano il sorgere del diritto alla chiesta protezione, sicchè egli, al fine di dimostrare l’erroneità della statuizione, avrebbe dovuto dimostrare che, viceversa, una situazione riconducibile alle norme invocate era stata dedotta, mentre il motivo non è altro che la riproposizione della vicenda già narrata ai giudici di merito.

Quanto alla “scarsità” della motivazione, essa non è contemplata dal vigente art. 360 c.p.c..

Il secondo mezzo è inammissibile.

In rubrica il ricorrente si riferisce alla sola lettera c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ma il motivo sovrappone poi i diversi piani e sembra sollecitare il riconoscimento della protezione anche sotto il profilo delle lett. a) e b) stessa disposizione.

In breve, secondo il ricorrente, la Corte d’appello si sarebbe pronunciato sulla protezione sussidiaria “inopinatamente negandola dunque pur riconoscendo invece i presupposti del danno grave”.

Ma anche qui la censura prescinde dalla ratio decidendi, giacchè il B.H. non si è nuovamente avveduto che la Corte territoriale ha affermato che egli non avesse “allegato di rischiare di essere condannato a morte o all’esecuzione della pena di morte nel suo Paese di origine, nè di correre il pericolo di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ove egli rientrasse in (OMISSIS). Neppure è stata dedotta ed argomentata la sussistenza di un conflitto armato interno o internazionale da cui scaturiscono nel paese di origine una situazione di violenza indiscriminata”.

Sicchè, anche in questo caso il ricorrente avrebbe dovuto spiegare come ed in qual modo egli avesse dedotto dinanzi al giudice d’appello la sussistenza di una delle situazioni normativamente contemplate per i fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

Dopodichè, quanto alla previsione dettata dalla lett. c), il ricorso pare voler sostenere che la Corte d’appello abbia riconosciuto la sussistenza, nella regione di provenienza del richiedente, di una situazione riconducibile alla previsione normativa: ma ciò è il contrario di quanto la Corte d’appello ha fatto, affermando che “nella regione, così come nell’intero (OMISSIS), vi è una stabilità politica e sociale. Dopo le proteste scoppiate a seguito della ricandidatura del presidente A.W. al terzo mandato e, quindi, in violazione della Costituzione, sin dall’elezione, nel mese di marzo 2012, del presidente M.S. il (OMISSIS) vive un periodo di calma. Attualmente è una delle democrazie più stabili dell’Africa. Il rispetto del governo per le libertà civili è migliorato nel tempo, costante è la lotta alla corruzione del governo, oggetto di vivo dibattito pubblico, alle debolezze dello Stato di diritto, alle protezioni inadeguate dei diritti delle donne e delle persone. Il referendum costituzionale del marzo 2016 ha comportato la produzione di alcuni emendamenti alla Costituzione e vari emendamenti al codice penale e al codice di procedura penale sono stati apportati dall’assemblea nazionale”, e così via.

E cioè la Corte territoriale ha recisamente negato che in (OMISSIS) nel suo complesso e nella zona di provenienza del richiedente in particolare ricorra una situazione di conflitto armato, quantunque nella zona del (OMISSIS), dalla quale proveniva lo stesso richiedente, vi fosse stato in precedenza un conflitto di ispirazione indipendentista.

Nel corpo del motivo vi sono poi considerazioni concernenti la mancata attuazione in Italia dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, che non hanno nulla a che vedere con la vicenda dedotta in giudizio, perchè la sentenza impugnata non dice affatto che il B.H. debba spostarsi da una zona del suo paese ad un’altra.

Il terzo motivo è anch’esso inammissibile.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria osservando che il richiedente non aveva “sottoposto a specifica e circostanziata censura le valutazioni espresse sul punto dal primo giudice, nè… illustrato e spiegato le ragioni per le quali, contrariamente a quanto dallo stesso opinato, siano ravvisabili presupposti per l’accesso alla misura della protezione umanitaria”.

A fronte di ciò il ricorso, come si è detto, denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio: si tratta cioè di una censura svolta in relazione ad un testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non più vigente.

A tacere di tale rilievo, il ricorrente sostiene che non corrisponderebbe al vero quanto affermato dal giudice di merito, ossia che la lettera di assunzione da lui prodotta non sarebbe firmata, ma è ancora una volta agevole replicare che detta censura non è riconducibile nè al testo vigente nè a quello antevigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, integrando semmai un errore revocatorio.

Il ricorso non è poi autosufficiente rispetto alle affermazioni secondo cui il B.H. avrebbe un lavoro che gli consentirebbe di condurre in locazione un immobile e sarebbe affetto da una non meglio identificata patologia al cervello.

Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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