Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29477 del 21/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/10/2021, (ud. 26/05/2021, dep. 21/10/2021), n.29477

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26316/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

L.P., elettivamente domiciliata in Roma, Largo Somalia n.

67, presso lo studio dell’Avv. Rita Gradara, rappresentata e difesa,

giusta procura speciale in calce alla memoria difensiva in vista

dell’adunanza camerale, dall’Avv. Adriana La Rocca;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1416/34/2014 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 19 marzo 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 maggio

2021 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La signora L.P. impugnò l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) – con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base di una verifica fiscale nei confronti della Srl Sansicario, che aveva condotto al rinvenimento presso la stessa di fatture intestate alla ditta L., benché la stessa non avesse presentato la dichiarazione dei redditi, aveva accertato per l’anno 2006, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, un reddito di impresa di Euro 49.175,33 e conseguente IVA ed IRAP – deducendo che, su richiesta della signora C., dominus e legale rappresentante della Società Sansicario, di cui era stata in precedenza dipendente, aveva aperto il 27 ottobre 2005 la partita IVA per svolgere attività di servizi di pulizia procurati dalla Sansicario ai turisti dei giochi olimpici di Torino 2006, che però non aveva mai avuto svolgimento, tanto che aveva chiuso la partita IVA in data 4 marzo 2006, subito dopo essere stata convocata dalla Agenzia delle Entrate che la aveva resa edotta della esistenza di fatture a lei intestate presso la Sansicario, peraltro da lei mai emesse e per le quali aveva presentato denuncia, successivamente archiviata, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano.

La Commissione Tributaria Provinciale di Varese, con sentenza n. 15/04/2013, accolse il ricorso ritenendo assorbente il vizio di mancanza formale e sostanziale di motivazione dell’atto impugnato poiché gli atti relativi alle indagini svolte presso la società Sansicario avrebbero dovuto essere allegati integralmente e non invece “per estratto” con conseguente violazione del diritto di difesa della parte. Aggiunse che, in merito al preteso raggiro subito dalla parte, appariva significativa la circostanza che la denuncia all’autorità giudiziaria fosse stata anteriore all’accertamento e che mancavano elementi probanti in merito alla movimentazione del conto corrente della parte di cui aveva trattato la Agenzia delle Entrate in sede di costituzione in giudizio.

Investita dall’appello della Agenzia delle Entrate – che dedusse come l’Ufficio non fosse obbligato, in assenza di una norma specifica neppure indicata dalla sentenza impugnata, a produrre la documentazione integrale relativa alla verifica, essendo sufficiente la sua produzione “per estratto”, come era avvenuto e come peraltro l’avviso di accertamento fosse compiutamente motivato in fatto e in diritto anche con riguardo alla specifica indicazione di ciascuna delle fatture rinvenute in occasione della verifica presso la società Sansicario, che risultavano provenienti dalla ditta della L., la quale aveva emesso le fatture nell’ambito della sua attività di servizi di pulizia, ma non aveva poi presentato le dichiarazioni dei redditi ed IVA per il relativo periodo di imposta, il che aveva imposto la ripresa a tassazione dei ricavi non dichiarati – la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 1416/34/2014, lo rigettò. Rilevò in proposito che il diritto della contribuente di conoscere esattamente il contenuto del pvc notificato alla società Sansicario derivava dal D.P.R. n. 633 (rectius 600) del 1973, art. 42, che imponeva che gli atti amministrativi dell’Amministrazione, ove facciano riferimento ad un’attività amministrativa svolta a carico e/o nei confronti di soggetti estranei e ignoti al contribuente o vanno allegati all’atto o devono riprodurli per intero e, poiché nessuna delle due opzioni era stata seguita nel caso in esame, l’atto era irrimediabilmente nullo. Aggiunse che la sentenza di primo grado doveva essere confermata anche per una ragione non formale e cioè che appariva probabile che la prestazione non fosse mai stata resa dalla L., la quale sarebbe stata indotta dalla sua datrice di lavoro ad aprire una partita IVA facendole balenare futuri affari nell’imminenza dell’apertura dei giochi Olimpici di Torino per poi emettere le fatture a fronte di operazioni inesistenti, per cui non vi era alcun corrispettivo che il Fisco potesse pretendere di tassare.

Contro la sentenza d’appello, depositata il 19.3.2014, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi, con atto notificato il 3/5 novembre 2014.

Resiste con controricorso la contribuente che ha presentato altresì ricorso incidentale condizionato e successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, per avere la sentenza impugnata ritenuto la nullità della motivazione dell’accertamento in ossequio del citato articolo, per mancata allegazione o riproduzione per intero all’atto impositivo dell’attività amministrativa svolta a carico e/o nei confronti di soggetti estranei e ignoti al contribuente (in questo caso in pvc della Sansicario), benché la disposizione citata prevedesse, in alternativa alla allegazione, la mera riproduzione del contenuto essenziale e nel caso di specie l’accertamento avesse fatto riferimento solo alle fatture emesse dalla stessa contribuente e ad essa attribuite, la cui conoscenza da parte della contribuente era quindi in re ipsa e non anche ad atti provenienti da un terzo, mentre il fatto che fossero state rinvenute presso un terzo nel corso di una attività di verifica restava irrilevante; tanto più che fin dal ricorso introduttivo la contribuente si era doluta soltanto della mancata conoscenza dell’atto di accertamento emesso nei confronti della società Sansicario, il quale non aveva però alcuna influenza sulla motivazione dell’accertamento emesso nei confronti della ditta L. che derivava esclusivamente dal rinvenimento presso la società Sansicario di fatture provenienti dalla ditta L., trascritte nell’accertamento, attestanti compensi ricevuti da quest’ultima, in relazione ai quali non era stata presentata la dichiarazione dei redditi ed IVA e dalla denuncia penale presentata dalla L. risultava che, per sua stessa asserzione, la L. era perfettamente a conoscenza della documentazione indicata nell’atto impugnato poiché aveva sostenuto di essere stata indotta dalla legale rappresentante della Sansicario, signora C., ad aprire una partita IVA in base alla quale erano state emesse le fatture e di avere incassato i compensi su un conto corrente a lei intestato sul quale aveva operato in base alle istruzioni della signora C..

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiché, se anche la L. fosse stata indotta dalla C. ad aprire la partita IVA in base alla quale erano state emesse le fatture, “facendole balenare futuri affari in vita dell’apertura dei Giochi Olimpici di Torino”, il tutto in frode all’Erario, l’avviso di accertamento non poteva essere annullato quanto all’IVA che era dovuta in base alla norma comunitaria costituita dalla Dir. 2006/112/CE, art. 203, la quale impone il versamento IVA a “chiunque indichi tale imposta in una fattura”, di cui il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, costituiva attuazione.

3. La contribuente ha dedotto con il controricorso la inammissibilità (e comunque la infondatezza) dei motivi di ricorso per non avere censurato le tre autonome rationes decidendi su cui era basata la sentenza impugnata costituite dall’illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione, per difetto di prova per non essere le fatture ascrivibili alla L. e comunque per infondatezza della pretesa poiché non era stata svolta l’attività indicata nelle fatture ed ha altresì presentato ricorso incidentale condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia da parte della Commissione Tributaria regionale sulla questione, dedotta sia in primo grado che in appello, della applicazione della continuazione ai fini del calcolo delle sanzioni per violazioni della stessa indole commesse anche in diversi periodi di imposta.

4. Non è condivisibile la censura di inammissibilità del ricorso per omesso esame di tre asserite ed autonome rationes decidendi (costituite dall’illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione, per difetto di prova per non essere le fatture ascrivibili alla L. e comunque per infondatezza della pretesa poiché non era stata svolta l’attività indicata nelle fatture), che il ricorso per cassazione non avrebbe preso in esame, poiché, in primo luogo, non si tratta di autonome rationes decidendi posto che la sentenza impugnata, confermativa di quella di primo grado, si limita a ad annullare l’accertamento per difetto di motivazione, con una successiva annotazione sulla probabilità che le prestazioni fossero inesistenti che integra una argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una “ratio decidendi” della medesima, posto che non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo restando quindi improduttiva di effetti (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 8755 del 10/04/2018 Rv. 648883 – 01). In ogni caso la Agenzia delle Entrate ricorrente, con il primo motivo di ricorso, prende in esame esattamente la motivazione della sentenza impugnata in relazione alla ritenuta assenza di motivazione dell’atto impositivo per contestarla integralmente e con il secondo motivo prende poi in esame la prospettazione della inesistenza delle operazioni, pur se posta dalla sentenza impugnata con il mero carattere di “probabilità” (hanno tutta l’ara di essere inesistenti….e’ del tutto probabile che la prestazione non sia stata propri resa), cosicché il ricorso prende in esame e censura la sentenza nella sua integralità anche con riguardo alla ipotesi della inesistenza delle operazioni riportate nelle fatture, posta dalla seconda parte della sentenza.

5. Ciò posto, il primo motivo di ricorso è fondato.

6. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, recita testualmente “L’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. Ed al comma 3 aggiunge “L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del comma 2″.

6.1. Orbene, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 13110/2012; n. 4176/2019; da ultimo sentenza n. 29968 del 19/11/2019 Rv. 655917 – 01) ” l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notifica”. In particolare, deve ritenersi che l’art. 7 dello lo Statuto del contribuente nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327/2014)

6.2. Nel caso in esame l’atto di accertamento (di cui una parte è stata trascritta anche dalla contribuente nel controricorso ed il cui contenuto è riportato nel ricorso) è stato motivato con riguardo alla mancata dichiarazione dei redditi e dell’IVA risultanti dalla attività di impresa comprovata da cinque fatture (trascritte nell’accertamento) emesse dalla ditta individuale Pasac di L.P. per l’anno di imposta 2006 e rinvenute in sede di verifica presso la Srl Sansicario in relazione alle quali la contribuente aveva omessa qualsiasi dichiarazione fiscale. Si trattava quindi di atti provenienti dalla stessa contribuente, pur se rinvenuti presso un terzo (la società Sinsacario) con cui la contribuente, per sua stessa asserzione contenuta nel ricorso, aveva intrattenuto rapporti, aprendo, su richiesta della legale rappresentante della società Sansicario, la partita IVA in base alla quale erano state emesse le cinque fatture e aveva ricevuto il corrispettivo sul proprio conto corrente e cioè di atti con riguardo ai quali era del tutto irrilevante la verifica fiscale eseguita presso la Sansicario se non con riguardo alla parte relativa al rinvenimento delle cinque fatture provenienti dalla L..

6.2. Ciò posto, la sentenza impugnata si pone in contrasto con la disposizione invocata a sostegno dell’annullamento dell’accertamento (la quale non prevede che gli atti indicati nell’accertamento siano riprodotti per intero, bensì soltanto che siano riprodotti nella parte essenziale), alla luce della interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, anche laddove sostiene che si sarebbe trattato di una attività amministrativa svolta a carico e /o nei confronti di soggetti estranei e ignoti al contribuente, poiché gli unici atti utilizzati nella motivazione dell’accertamento sono state le fatture provenienti dalla L. ed il cui corrispettivo era transitato nel conto corrente della stessa, pur se poi quest’ultima nel giudizio aveva sostenuto che sarebbero state emesse nell’ambito di una attività frodatoria svolta nel suoi confronti dalla legale rappresentante della società Sansicario; il che comporta, in accoglimento del motivo del ricorso, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice dell’appello per l’esame del merito della causa.

7. Il secondo motivo resta assorbito e sarebbe comunque fondato poiché è consolidato il principio per cui l’IVA è dovuta anche per le fatture, in ipotesi, oggettivamente inesistenti, in attuazione del principio di cartolarità posto a base del sistema impositivo per cui va escluso il diritto alla detrazione, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 1, in relazione anche ad operazioni oggettivamente inesistenti (in ipotesi generate da una truffa come ha sostenuto la L.), atteso che l’imposta è dovuta ogniqualvolta la fattura sia emessa, seppure per un’operazione non avvenuta o non avvenuta nei termini in essa descritti (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12111 del 10/06/2015 Rv. 635724 01). Infatti la disposizione comunitaria costituita dalla Dir. 2006/112/CE, art. 203, la quale impone il versamento IVA a “chiunque indichi tale imposta in una fattura” da cui deriva quella nazionale sopra indicata, che deve essere presa in esame anche d’ufficio, stante la rilevabilità anche ex officio delle questioni che involgono l’applicazione del diritto UE al fine di evitare possibili contrasti fra diritto interno e diritto sovranazionale (Cass. n. 13065/2006; Cass., 20 luglio 2007 n. 16130), impone nella specie, dovendosi dare continuità all’indirizzo consolidato già affermato nelle sentenze sopra indicate, di fare applicazione dei suddetti principi che non risultano presi in esame dalla sentenza di appello, la quale ha immotivatamente omesso di porsi la questione.

7.1. La asserzione della controricorrente per cui neppure l’IVA sarebbe dovuta dalla L. poiché debitore dell’IVA è colui che ha emesso la fattura mentre la L. non aveva emesso la fattura e’, dal suo canto, improponibile poiché presuppone per accertato che le fatture non provenissero dalla L. e cioè quello che dovrà essere accertato nel giudizio di merito.

8. Deve essere infine ritenuto inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito solleva, come nel caso in esame, questioni che, come prospettato dalla L., siano rimaste assorbite (nella specie la doglianza subordinata di omesso esame del motivo di ricorso attinente alla mancata applicazione dell’istituto della continuazione quanto al trattamento sanzionatorio), avendo il giudice di merito attinto la “ratio decidendi” da altre questioni di carattere decisivo, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (v. Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 11270 del 12/06/2020 Rv. 658152 – 02; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 19503 del 23/07/2018 Rv. 650157 – 01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3796 del 15/02/2008 Rv. 602188 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 22095 del 22/09/2017 Rv. 645632 – 01; Cass., n. 22501/2006; n. 16016 del 7.7.2010).

9. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo come sopra accolto, e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021

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