Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29474 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. II, 13/11/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19625/2015 proposto da:

T.E., rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO

TRAMUTA;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAZZINI 6,

presso lo studio dell’avvocato VITO PATANELLA, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 147/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/06/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 2 febbraio 2015 e notificata il 4 maggio 2015, ha accolto l’appello proposto da S.A. avverso la sentenza del Tribunale di Sciacca n. 167 del 2010, e nei confronti di T.E..

1.1. Il Tribunale aveva confermato il Decreto Ingiuntivo n. 133 del 2005, emesso su ricorso del rag. T. ed avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 6.198,12 a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali di natura contabile e fiscale rese in favore del Dott. S., medico dentista.

2. La Corte d’appello ha riformato la decisione, riducendo l’importo ad Euro 180,00, sul rilievo che erano provate esclusivamente le prestazioni relative alla denuncia dei redditi per gli anni 2003 e 2004.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.E., sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso S.A..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 113,115,116,228 c.p.c., artt. 2730 e 2733 c.c., nonchè del D.P.R. n. 633 del 1973 e dal D.P.R. n. 600 del 1972. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe attribuito il corretto significato alle dichiarazioni rese dal S. in sede di interrogatorio formale. Il predetto aveva infatti confermato che la contabilità relativa alla sua attività professionale era stata curata dal rag. T., nel periodo dal 1981 al 2005, e da ciò discendeva che non potevano essere ritenute carenti di supporto probatorio talune delle prestazioni indicate nel ricorso monitorio, trattandosi di adempimenti di contabilità ordinaria predeterminati dalla legge ex D.P.R. n. 633 del 1973 e D.P.R. n. 600 del 1972, di cui si denuncia la violazione.

2. Con il secondo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e si contesta che la Corte territoriale non avrebbe considerato gli esiti dell’interrogatorio formale e della prova testimoniale, nè avrebbe tenuto conto della mancata specifica contestazione da parte del S. delle singole voci del documento posto a base dell’ingiunzione nè avrebbe considerato che, una volta accertato che era stata effettuata la prestazione relativa alla dichiarazione dei redditi ai fini IRPEF per gli anni 2003 e 2004, tutti gli altri adempimenti contabili e fiscali dovevano ritenersi provati in quanto strumentali alla dichiarazione dei redditi.

3. Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,1218 c.c., artt. 116,115 e 88 c.p.c. e si lamenta che la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare “generiche” le prestazioni indicate nel ricorso monitorio, essendo invece generiche le contestazioni del S., anche tenuto conto della presunzione che assiste l’attività professionale indicata nella parcella asseverata dall’associazione professionale. Sarebbe stato erroneamente applicato il riparto dell’onere della prova, in violazione del principio di vicinanza della prova.

4. Con il quarto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,346 e 91 c.p.c. e segg., il ricorrente si duole sia della riduzione del quantum debeatur, in mancanza di riproposizione in appello della relativa domanda, sia della compensazione delle spese di lite, attesa la soccombenza della controparte.

5. I primi tre motivi sono inammissibili per carenza di specificità, e il rilievo assorbe ogni altra questione.

5.1. Il ricorso, infatti, non riporta il contenuto integrale delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal S. nè di quelle rese dai testi, e la trascrizione (a pagina 5 del ricorso) del solo capitolo n. 3 dell’articolato, al quale il S. avrebbe dato risposta positiva, risulta insufficiente a dimostrare l’assunto del ricorrente, attesa la genericità del riferimento alla “durata del rapporto professionale”, senza altra indicazione in merito agli anni nei quali sarebbero state effettuate le prestazioni.

La mancata trascrizione impedisce la verifica della decisività dei fatti e delle prove stesse, che deve essere compiuta sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (ex plurimis, Cass. 10/08/2017, n. 19985). L’accesso diretto agli atti, come è noto, è possibile solo in caso di denuncia di error in procedendo – che qui non ricorre – e sempre che il ricorso contenga una sufficiente specificazione degli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione processuale (Cass. 13/05/2016, n. 9888).

5.2. Considerazioni analoghe valgono a proposito della censura relativa alla asserita genericità delle contestazioni del S..

Secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, qualora a fondamento del motivo di impugnazione si deduca che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire a questa Corte di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (ex plurimis, Cass. 09/08/2016, n. 16655).

6. Privo di fondamento risulta il quarto motivo, nella duplice articolazione delle censure.

6.1. Si legge nella sentenza impugnata che con l’atto di appello il S. aveva contestato le prestazioni poste alla base del credito ex adverso azionato, fatta eccezione per l’attività di redazione della dichiarazione dei redditi a fini IRPEF per gli anni 2003-2004.

La devoluzione così realizzata consentiva alla Corte d’appello di riconoscere a favore del T. un minor credito. In senso ostativo il ricorrente deduce la mancata riproposizione della domanda di riduzione del quantum, con effetto di rinuncia, ma non indica l’atto nel quale sarebbe stata formulata la domanda nel giudizio di primo grado, nè trascrive il contenuto di tale atto e di quello d’appello, con la conseguenza che la questione neppure può essere esaminata.

6.2. Infine, risulta immune da censure la statuizione di compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio di merito.

La Corte d’appello si è attenuta al principio secondo cui il giudice del gravame, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (ex plurimis, Cass. 01/06/2016, n. 11423; Cass. 18/03/2014, n. 6259).

A fondamento della decisione di compensare integralmente le spese di lite, la Corte d’appello ha indicato la “drastica riduzione del credito ingiunto” e l’esiguità dell’importo riconosciuto.

Trattasi di valutazione sottratta al sindacato di legittimità, che è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (ex plurimis, Cass. 04/08/2017, n. 19613).

7. Risulta irritualmente proposta la richiesta, contenuta nel controricorso, di condanna del ricorrente al pagamento delle spese di tutti i gradi di giudizio, comprese quelle relative al decreto ingiuntivo. Siffatta richiesta avrebbe dovuto essere prospettata nelle forme del ricorso incidentale, formulando specifiche censure alla decisione della Corte d’appello (Cass. 11/10/2018, n. 25357).

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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