Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29472 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. I, 15/11/2018, (ud. 03/10/2018, dep. 15/11/2018), n.29472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25785/2014 proposto da:

Curatela del Fallimento della (OMISSIS) S.a.s., in persona del

curatore Dott. B.G.A., elettivamente

domiciliata in Roma, Via del Corso n. 4, presso lo studio

dell’avvocato Manfredonia Massimo, rappresentata e difesa

dall’avvocato Schiavoni Giovanni, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fondazione Santa Maria del Soccorso, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Mercalli n. 6,

presso lo studio dell’avvocato Levanti Alessandro M., rappresentata

e difesa dall’avvocato Pedarra Giuseppe, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 916/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 20/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/10/2018 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 20 agosto 2013, ha rigettato il gravame del Fallimento (OMISSIS) Sas avverso l’impugnata sentenza che aveva accolto la domanda della Congregazione S. Maria del Soccorso di (OMISSIS) di risoluzione del contratto di appalto dei lavori di adeguamento statico e funzionale del Castello Ducale, sito nell’omonimo Comune, per inadempimento dell’appaltatore impresa (OMISSIS); aveva dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dalla Congregazione; aveva rigettato le domande riconvenzionali del Fallimento (OMISSIS) di risoluzione del contratto per inadempimento altrui e risarcimento danni e dichiarato inammissibile la domanda di revisione prezzi.

La Corte ha accertato l’inadempimento dell’appaltatore per avere sospeso l’esecuzione del contratto, abbandonando il cantiere, e lo ha ritenuto più grave rispetto all’inadempimento imputabile alla committente per non avere pagato un proprio modesto credito residuo (di Euro 12365,47) a fronte del notevole valore dell’appalto; ha ritenuto ingiustificata la sospensione della prestazione dovuta dall’appaltatore che infondatamente aveva addotto il rischio di non conseguire il pagamento del proprio credito per le mutate condizioni economiche della committente (art. 1461 c.c.); ha escluso l’inadempimento imputato dall’appaltatore alla Congregazione in relazione a sospensioni dei lavori legittimamente disposte, ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, comma 1, per la chiusura della strada di accesso al castello e, ai sensi dell’art. 30 citato, comma 2, per la necessità di approvare una perizia di variante resasi necessaria per difficoltà insorte nell’esecuzione dell’opera e imprevedibili in fase di progettazione, sicchè non spettava alcun indennizzo o compenso all’appaltatore.

Avverso questa sentenza il Fallimento (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, cui si è opposta la Congregazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il Fallimento (OMISSIS) ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30,artt. 1453, 1455, 1460, 1461 e 2697 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere ritenuto legittime le sospensioni dei lavori dal 27 settembre 1991 al 7 gennaio 1992 per la chiusura della strada di accesso al castello e dal 20 febbraio 1993 al 14 marzo 1996 per la ritenuta necessità di approvare una perizia di variante, mentre entrambe le sospensioni e soprattutto la seconda erano illegittime perchè di eccessiva durata ed imputabili alla stazione appaltante, essendo la variante resasi necessaria per la necessità di rimediare ad un progetto iniziale inadeguato e poi di integrare la stessa variante.

Il motivo è infondato, contestando apprezzamenti di fatto operati dai giudici di merito al di là di quanto consentito dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, a proposito della legittimità delle sospensioni ab initio o per la loro durata, sia in relazione alla prima sospensione, disposta ai sensi del comma 1, sia in relazione alla seconda sospensione, ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, comma 2.

I giudici di merito, infatti, hanno accertato in concreto la ragionevolezza della durata della prima sospensione, di natura temporanea e destinata “a cessare entro un termine ragionevole, da determinarsi caso per caso” (Cass. n. 3611/2017) e la legittimità della seconda sospensione, disposta per difficoltà imprevedibili e non derivanti da carenze progettuali, quindi non ricollegabili a forme di negligenza o imperizia imputabili all’ente appaltante. In relazione a quest’ultima, è del citato art. 30, comma 2, che dispone che, trascorso il periodo massimo di sospensione, variabile in proporzione alla durata complessiva dei lavori, l’appaltatore ha solo la facoltà di chiedere lo scioglimento del contratto e, solo nel caso in cui l’Amministrazione si sia opposta, ha diritto alla rifusione dei maggiori oneri sostenuti (Cass. n. 15700/2018, n. 4463/2001). Sicchè, nella specie, correttamente all’appaltatore non sono stati riconosciuti compensi o indennizzi.

Con il secondo motivo il Fallimento (OMISSIS) ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1453,1455,1460,1461,2697 c.c., artt. 112 e 116 c.p.c. e omesso esame di fatti decisivi, da un lato, per avere affermato il suo inadempimento senza accertare quello della Congregazione S. Maria del Soccorso ed omesso di esaminare il pertinente motivo di appello; dall’altro, per non avere valutato l’inadempimento della controparte, il cui deterioramento delle condizioni economiche aveva giustificato il ricorso allo strumento di autotutela previsto dall’art. 1460 c.c., tramite la sospensione della prestazione dovuta dall’appaltatore, alla luce di documenti non esaminati che dimostravano che la Congregazione non intendeva concedere le anticipazioni sui pagamenti dei certificati già maturati.

Il motivo è infondato in entrambi i profili in cui è articolato: il primo, avendo la sentenza impugnata escluso in concreto la gravità dell’inadempimento della Congregazione, pronunciandosi sul motivo proposto; il secondo profilo, avendo la sentenza escluso il deterioramento delle condizioni economiche della committente e non essendo la dilazione dei tempi di pagamento dei SAL imputabile alle condizioni economiche della committente ma ai tempi di riaccredito dei fondi statali, come previsto contrattualmente, sicchè l’appaltatore non poteva pretendere il pagamento anticipato del proprio credito.

Infondato è anche il terzo motivo, con il quale è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 112,163,180,183 e 184 c.p.c., per avere dichiarato inammissibile la domanda di pagamento della revisione dei prezzi perchè proposta tardivamente, avendo il giudice di merito, cui è demandata l’interpretazione della domanda, implicitamente ritenuto che detta domanda non fosse ricompresa in quella di pagamento dei crediti maturati per i lavori eseguiti.

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Doppio contributo a carico del ricorrente come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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