Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29467 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 13/11/2019), n.29467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2851/2019 proposto da:

D.G.G., nella qualità di erede universale di

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE PARIOLI 10,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO GRIMALDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANCARLO GRECO;

– ricorrente –

contro

E.S.A. – ENTE SVILUPPO AGRICOLO DELLA REGIONE SICILIANA, in persona

del legale rappresentante pro tempore, ASSESSORATO REGIONALE

AGRICOLTURA E FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA, in persona

dell’Assessore Regionale pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO;

IMPREPAR – IMPREGILO PARTECIPAZIONI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G.B. VICO 31, presso lo studio dell’avvocato ENRICO SCOCCINI,

rappresentata e difesa dagli avvocati CESARE MONTANTE e GIUSEPPE

SANTILANO;

– controricorrenti –

e contro

GENERAL CANTIERI S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 196/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 4/12/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA SAMBITO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Giancarlo Greco, Giuseppe Santilano e Marinella Di

Cave per l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale regionale delle acque pubbliche della Sicilia condannava l’Ente di sviluppo agricolo della Regione (ESA) e la S.p.A. Imprepar-Impregilo Partecipazioni (in seguito, Imprepar) a corrispondere a C.R. somme determinate per l’occupazione acquisitiva di un terreno di proprietà della stessa, ubicato nella contrada (OMISSIS), interessato dai lavori di sistemazione a fini irrigui delle acque del serbatoio di (OMISSIS), oltre che l’indennità per l’occupazione temporanea.

L’impugnazione della C. veniva, in parte, accolta dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche che condannava l’ESA e la Società Imprepar al pagamento, anche, della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme determinate dal Tribunale regionale.

Tale decisione veniva cassata con rinvio da queste Sezioni Unite, che, con sentenza n. 10024 del 2007, osservavano che il caso costituiva un’occupazione c.d. usurpativa costituente illecito comune di carattere permanente, perciò consentendo alla proprietaria dell’immobile, continuata a restare tale, di avvalersi di tutti i mezzi previsti a tutela del diritto reale leso dal perdurare dell’occupazione dell’immobile, ivi compresa l’azione per ottenerne la restituzione.

Pronunciando in sede di rinvio, il TSAP escludeva con sentenza non definitiva n. 21 del 2011 l’applicabilità dell’art. 2058 c.c., comma 2, ma rigettava l’appello con sentenza definitiva n. 170 del 2013 ritenendo sussistente il pregiudizio per la produzione e la distribuzione della ricchezza nazionale dall’esecuzione dell’obbligo di non fare, in riferimento all’art. 2933 c.c..

Su ricorso, proposto in via principale da D.G.G., erede dell’originaria attrice, ed in via incidentale dalla Società Imprepar, la decisione veniva nuovamente cassata con sentenza n. 10499 del 2016, da queste Sezioni Unite, che, dopo aver confermato l’inapplicabilità dell’art. 2058 c.c., alle azioni a tutela dei diritti reali (salva la richiesta di condanna per equivalente della parte danneggiata), rilevavano che il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio impediva l’allegazione di circostanze tali da integrare la fattispecie dell’art. 2933 c.c., che avrebbero dovuto essere introdotte nel thema decidendum sin dall’inizio del giudizio di merito.

Parallelamente a tale giudizio, l’ESA emetteva più provvedimenti di acquisizione sanante, tutti impugnati ex art. 143 TU Acque, innanzi al TSAP che, con sentenza n. 70 del 23 aprile 2018, dichiarava in parte improcedibili, in parte inammissibili ed in parte infondati il ricorso ed i motivi aggiunti. In particolare, la sentenza negava che si fosse formato il giudicato sul diritto del privato alla restituzione del bene, e riteneva legittimo l’ultimo dei provvedimenti) emanato nel 2017, che superava i precedenti.

Con successiva sentenza n. 196 del 4.12.2018, il TSAP nuovamente pronunciando in sede di rinvio, dichiarava improcedibile la domanda restitutoria avanzata dal D.G. ed assorbiti i profili risarcitori, essendo intervenuto il provvedimento di acquisizione sanante e ritenuta la sua legittimità per effetto dell’indicata pronuncia del TSAP.

Per la cassazione della sentenza, D.G.G. ha proposto ricorso per otto motivi, resistiti con controricorso dall’ESA, dall’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia e dall’Imprepar. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente rilevare che il ricorrente ha chiesto la riunione del presente giudizio a quello, pendente innanzi a queste Sezioni unite, col numero RG 19122 del 2018, avente ad oggetto l’impugnazione avverso la sentenza del TSAP n. 70 del 2018 e chiamato a questa stessa udienza.

2. L’istanza va rigettata, in quanto i procedimenti sono invero indubbiamente connessi in modo biunivoco (legittimità del provvedimento di acquisizione sanante in riferimento alla controversa esistenza di un giudicato sulla restituzione), ma la riunione non appare opportuna, per non essere omologhe le attribuzioni dei giudici a quibus e per essere la possibilità di conflitto di giudicati esclusa dalla contestuale odierna trattazione di entrambi i giudizi.

3. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione del T.U. n. 1775 del 1933, artt. 142 e 143, artt. 2,24,25,111 Cost.; artt. 38,100 e 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., oltre che nullità della sentenza. Il ricorrente lamenta che il TSAP ha ricopiato acriticamente la motivazione della precedenza sentenza n. 78 del 2018 che non era passata in giudicato e così ha fatto discendere da un giudizio amministrativo, di diversa struttura e finalità, la valutazione del giudicato conseguente alle due sentenze rescindenti, sulla scorta di una presunta pregiudizialità del giudizio amministrativo e di una valutazione errata del giudicato interno, ultimo ostacolo alla chiesta tutela ripristinatoria. L’accertamento di tale giudicato, prosegue il ricorrente, avrebbe dovuto esser compiuto, secondo i principi posti dalla stessa sentenza n. 2 del 2016 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, dal TSAP, al quale era inibito dichiarare l’improcedibilità della domanda, ed era, invece, demandato di deliberare sul principio di diritto posto dalla sentenza di cassazione, in ragione del vincolo proprio del giudizio di rinvio, e del carattere chiuso del relativo procedimento.

4. Col secondo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.p.c., art. 384 c.p.c., L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, la violazione del giudicato interno anche implicito, del principio di sua intangibilità e dell’effetto rescindente delle pronunce di queste S.U. Il ricorrente afferma che la relativa interpretazione conduce unicamente alla negazione dell’impossibilità giuridica alla restituzione ed all’accertamento, in positivo, di tale diritto. Tanto si desume, anche, dal fatto che nella sentenza del TSAP del 2013 si era dato atto dell’emanazione di una Delib. di acquisizione sanante – la n. 156 del 2012 – e che la successiva sentenza di legittimità del 2016, nel cassarla, aveva implicitamente rigettato l’eccezione dell’ESA volta ad escludere la restituzione in riferimento a tale Delibera, il che aveva comportato la formazione di un giudicato implicito in favore di esso ricorrente, che non poteva esser rimesso in discussione per cavilli vari e che era impediva l’emanazione del provvedimento di acquisizione.

5. Col terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 394 e 101 c.p.c. e art. 111 Cost., per avere le controparti formulato conclusioni diverse da quelle precedenti, possibilità consentita nel caso, qui non ricorrente di sentenze di illegittimità costituzionale e della Corte di Giustizia UE. La sentenza impugnata è quindi nulla, considerato per di più, ribadisce il ricorrente, che la precedente sentenza del TSAP era stata annullata dalle Sezioni Unite nonostante fosse stato emesso il provvedimento di acquisizione sanante nel 2012, talchè non poteva ritenersi intervenuto alcun fatto giuridicamente nuovo, in base al principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.

6. Col quarto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 bis del TU sulle espropriazioni e l’erroneità della statuizione d’improcedibilità per la preclusione nascente dal giudicato. Alla censura svolta col secondo motivo, il ricorrente aggiunge che il giudicato formatosi sull’illiceità del comportamento dell’occupante preclude l’emanazione del provvedimento acquisitivo, come affermato da giurisprudenza di legittimità.

7. Con il quinto motivo, deducendo la “violazione della giurisprudenza costituzionale circa gli effetti legislativi sul giudicato; violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 septies”, il D.G. afferma che non era consentito al legislatore di intervenire e modificarne gli effetti del giudicato inerente al suo diritto di ottenere la restituzione del bene, secondo un principio di civiltà giuridica codificato dall’art. 21 septies, che sanziona con la nullità il provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato.

8. Col sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 p. 1 del trattato CEDU e dei principi affermati in proposito dalla Corte EDU per il tramite dell’art. 117 Cost.. Il ricorrente lamenta che, essendo il giudizio stato iniziato in epoca antecedente l’entrata in vigore del TUE, il provvedimento di acquisizione sanante non avrebbe potuto essere emesso.

9. Con il settimo motivo, il ricorrente formula la medesima censura d’inapplicabilità ratione temporis dell’istituto in riferimento all’art. 57, comma 11 del TUE.

10. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, che contrariamente a quanto sostenuto dalle parti pubbliche, non mira affatto ad un riesame del merito (tale non essendo in ispecie la l’interpretazione del giudicato, su cui infra) i motivi, da valutarsi congiuntamente perchè connessi, sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

11. Occorre rilevare che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. SU n. 226 del 2001) il giudicato interno e quello esterno hanno la medesima autorità, che è quella prevista dall’art. 2909 c.c., poichè “corrispondono entrambi all’unica finalità rappresentata dall’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l’autorità del giudicato riconosciuta non nell’interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell’interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi – nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile – per l’intera comunità”. Inoltre, queste Sezioni unite, con la ricordata sentenza del 2001 (e successive conformi), hanno già avuto occasione di affermare che il giudicato, sia interno che esterno, partecipa della natura dei comandi giuridici in ragione della sua assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, tanto che deve interpretato “alla stregua della esegesi delle norme piuttosto che di quella dei negozi giuridici”. Il che comporta che il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

12. A tale stregua, la sorta di privativa esegetica del giudice del rinvio, predicata dal ricorrente in relazione all’interpretazione del giudicato desumibile dalle sentenze di queste Sezioni Unite del 2007 e del 2016, non è giuridicamente corretta, avendo del tutto legittimamente il giudice dell’impugnazione del provvedimento di acquisizione proceduto, con cognizione piena, alla valutazione del giudicato esterno. E da tanto consegue che le censure che addebitano alla sentenza impugnata di aver osservato un’insussistente pregiudizialità del giudizio amministrativo risultano inefficaci, in quanto il TSAP ha, piuttosto, preso atto dell’intervenuta emanazione del provvedimento di acquisizione sanante e condiviso le considerazioni svolte nella precedente sentenza n. 70 del 2018 resa nel parallelo giudizio inter partes, secondo cui non sussisteva un giudicato che ne inibisse l’emanazione, secondo una modalità redazionale, che, contrariamente a quanto opina il ricorrente, non dà luogo ad alcuna nullità per carenza di motivazione, essendo la statuizione d’improcedibilità, cui è pervenuta la decisione, pienamente motivata.

13. Per il resto, le censure sono inammissibili: esse ripropongono nella sostanza le doglianze svolte nel ricorso avverso la sentenza n. 70 del 2018, contestando il potere dell’Amministrazione di emettere la Delibera acquisitiva, in riferimento sia ai relativi presupposti normativi ed ai limiti temporali di applicabilità del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, che, in massima parte, alla preclusione nascente dal giudicato restitutorio (che si afferma esser intervenuto) secondo i principi espressi dalla sentenza n. 71 del 2015 della Corte Cost. circa il carattere non retroattivo del provvedimento acquisitivo, la cui violazione è sanzionata con la L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, in conformità dei principi di civiltà giuridica affermati dalla Corte Costituzionale, dalla Corte EDU, e della giurisprudenza di questa Corte in tema di formazione di giudicato sull’illiceità del comportamento dell’occupante.

Pur essendo dichiaratamente dirette a travolgere la statuizione di improcedibilità cui è pervenuta l’impugnata sentenza, le censure ineriscono, però, tutte e direttamente, alla legittimità dell’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione di emettere il provvedimento di acquisizione (sussistenza dei presupposti ed insussistenza di preclusioni), talchè, ove fondate, potrebbero, in tesi, comportare la disapplicazione di tale atto amministrativo, che costituisce la ragione dell’affermata improcedibilità.

14. Ma il potere della disapplicazione di un provvedimento amministrativo non può essere esercitato dal giudice ordinario quando la legittimità del provvedimento stesso sia stata accertata inter partes e con autorità di giudicato da parte del giudice amministrativo competente (Cass. SU n. 28535 del 2008). E tale caso ricorre nella specie: la legittimità dell’atto di acquisizione al patrimonio indisponibile della Regione Siciliana risulta, infatti, definitivamente accertata (in riferimento, peraltro, anche, a tutte le questioni qui dibattute) per effetto del rigetto del ricorso iscritto al NRG 19122 del 2018 avverso la menzionata sentenza del TSAP n. 70 del 2018 di cui la Corte ha cognizione in ragione del dovere di conoscere le proprie sentenze (Cass. SU n. 26482 del 2007), ed essendo la relativa decisione stata adottata, come si è detto al p. 2, dal medesimo Collegio nella stessa camera di consiglio del 22 ottobre 2019.

15. La statuizione d’improcedibilità dell’appello dovuta all’intervenuta acquisizione sanante è, in conclusione, corretta.

16. Con l’ottavo motivo, si censura la statuizione sulle spese: esse, afferma il ricorrente, sono state liquidate a suo favore, solo relativamente al grado, ma non anche relativamente ai giudizi preg ressi.

17. Il motivo è infondato. Provvedendo alla liquidazione delle spese relativamente al grado, il TSAP ha, implicitamente, confermato le statuizioni di compensazione assunte nei due giudizi di rinvio, e, non essendo il ricorrente rimasto vittorioso in relazione alla domanda restitutoria, la statuizione di parziale compensazione, in tal modo assunta, non è illegittima.

18. In considerazione del rigetto del ricorso e considerato l’esito complessivo della lite, anche le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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