Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29463 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. I, 15/11/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 15/11/2018), n.29463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27337/2013 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Ovidio

n. 10, presso lo studio della Dott.ssa Bei Anna (Studio

Commercialista Rosati), rappresentato e difeso dall’avvocato Massara

Filippo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento D.P. s.p.a., in persona del curatore prof.

E.C., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Augusto Imperatore

n. 22, presso lo studio dell’avvocato Cuccia Andrea, rappresentato e

difeso dall’avvocato Bocchini Roberto, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 25/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2018 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- M.M. ricorre per cassazione nei confronti del Fallimento della s.p.a. D.P., svolgendo tre motivi avverso il decreto del Tribunale di Napoli, 25 settembre 2013.

Con tale provvedimento, il Tribunale campano ha confermato l’esclusione dallo stato passivo fallimentare della s.p.a. D.P. della pretesa creditoria che è stata formulata da M.M. a titolo di compenso per attività svolta quale presidente del collegio sindacale della società poi fallita.

Tale esclusione è seguita alla rilevazione – compiuta dapprima dal giudice delegato (in una col rilievo della non comprensibilità del criterio di determinazione in concreto assunto) e poi fatta oggetto, in sede di opposizione, di apposita eccezione di inadempimento da parte della curatela che, nella specie, la prestazione dei sindaci “non risultava essere stata svolta con la dovuta diligenza professionale”.

Nel confermare l’esclusione, il Tribunale (dopo avere ritenuto che all’incomprensibilità dei criteri determinativi del compenso si sarebbe potuto opportunamente rimediare con l’applicazione di “tariffe professionali”) ha rilevato che a fronte dell'”eccepito inadempimento ai doveri relativi all’incarico di presidente del collegio sindacale della società fallita, l’opponente non ha nè allegato, nè provato, come era suo onere, di aver adempiuto ai propri doveri e obblighi con la diligenza richiesta”.

2.- Nei confronti del ricorso resiste il Fallimento della s.p.a. D.P., che ha depositato un apposito controricorso.

Entrambe le parti hanno inoltre depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

3.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.

Il primo motivo assume “violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e degli artt. 3, 24 3 111 Cost. (come modificato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Il motivo censura, in particolare, il fatto che il Tribunale non ha concesso il termine per memoria che l’attuale ricorrente aveva richiesto a fronte alla “alluvionale comparsa di costituzione depositata dalla curatela fallimentare e alla documentazione prodotta a sostegno delle eccezioni formulate”.

Il secondo motivo assume “omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e in violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. In sostanza, il decreto impugnato non avrebbe preso in considerazione – ai fini della valutazione dell’eccezione di inadempimento proposta dalla curatela – una denunzia ex art. 2409 c.c., presentata dal collegio sindacale.

Il terzo motivo assume “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1453 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c.”. Il Tribunale ha errato – così rileva, al fondo, il motivo – a dare peso determinante al “ritiro del ricorso ai sensi dell’art. 2409 c.c.” e alla “ritrattazione dei fatti in esso narrati”.

4.- Nella parte conclusiva della memoria, presentata ex art. 380 bis c.p.c., il ricorrente ha rilevato che “in ogni caso la questione ha perso interesse, dal momento che risulta documentato, come da certificazione che si allega, che è avvenuta nelle more la chiusura del Fallimento in data 3 agosto 2017”.

Lo stesso ha pure richiamato, in proposito, la pronuncia di Cass., 9 agosto 2017, n. 19752, che – in un caso di revoca del fallimento sopravvenuta alla proposizione del ricorso per la cassazione di un decreto confermativo dell’esclusione di un credito dallo stato passivo – ha dichiarato improcedibile il ricorso, cassato la pronuncia impugnata e compensato tra le parti le spese dell’intero giudizio.

A seguito di tali rilievi, il ricorrente ha “riformulato” le proprie conclusioni, chiedendo, per il subordinato caso di mancato accoglimento del ricorso, la “cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata, con la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio”.

5.- La memoria depositata dal Fallimento della s.p.a. D.P. non ha ritenuto di prendere in considerazione le circostanze appena sopra riferite.

6.- Di questione omologa alla presente si è di recente occupata l’ordinanza di Cass., 25 luglio 2018, n. 19749. Constatate la “chiusura del fallimento per mancanza di attivo” e la “sopravvenuta carenza di interesse” del ricorrente, questa pronuncia ha ritenuto di dichiarare l’improcedibilità del ricorso, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

7.- Osserva, tuttavia, il Collegio che, con riferimento a una fattispecie in cui pendente il giudizio di legittimità seguente al rigetto di un’opposizione all’esclusione dallo stato passivo fallimentare di una pretesa creditoria – è sopravvenuta la sentenza di revoca del relativo fallimento, la pronuncia di Cass., n. 19752/2017, già sopra richiamata, è venuta a mettere in evidenza il profilo che segue.

8.- “La legge fallimentare riformata… ha inteso strutturare il giudizio di opposizione allo stato passivo come un procedimento strettamente connesso alla procedura fallimentare, inteso ad accertare il credito ai soli fini dell’ammissione al passivo, come chiaramente evincibile alla stregua dell’espressa disposizione i cui alla L. Fall., art. 96,u.c., che dispone che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte all’esito di cui ai giudizi di cui alla L. Fall., art. 99, “producono effetti soltanto ai fini del concorso”, così rendendo palese l’inscindibile collegamento tra il procedimento fallimentare e l’accertamento del passivo che ivi si compie”.

Su queste basi si giustifica il convincimento dello stretto e ineludibile rapporto tra il giudizio di opposizione allo stato passivo e la procedura fallimentare, sì da doversi concludere per l’improcedibilità del primo in ragione della revoca del fallimento, passata in giudicato”. “Deve pertanto conclusivamente pronunciarsi la cassazione senza rinvio della pronuncia impugnata ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, u.p.”.

10.- Il Collegio ritiene di condividere le osservazioni appena sopra trascritte. E, per completezza espositiva, pure osserva in proposito che la prospettiva dell'”accertamento del passivo fallimentare”, di cui agli artt. 92 e segg. della Legge, resta fisiologicamente estranea e indipendente dalla disciplina che l’art. 18, comma 15 della stessa legge detta in termini di salvezza degli “effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”, per il caso appunto di sentenza di revoca della dichiarazione fallimentare.

11.- Ciò posto, il Collegio ritiene, altresì, che le considerazioni ora richiamate siano riferibili pure al caso qui concretamente in esame.

In effetti, va rilevata la sostanziale equivalenza, per il proposito in discorso, della chiusura della procedura per revoca della sentenza dichiarativa e della chiusura per mancanza di attivo L. Fall., ex art. 118 (e constatata pure l’estraneità alla fattispecie concreta della disciplina stabilita nel comma 2 del detto art. 118, dal terzo periodo in poi). Il caso proposto fa riferimento, poi, alla chiusura in pendenza di un giudizio di legittimità che risulta inerente al rigetto dell’opposizione all’esclusione da uno stato passivo: sicchè non potrebbe comunque trovare applicazione il disposto della L. Fall., art. 120,comma 4 (secondo cui la chiusura del fallimento assegna “al decreto o la sentenza con la quale il credito è stato ammesso” il valore di “prova scritta per gli effetti di cui all’art. 634 c.p.c.”).

12.- Di conseguenza, va cassato senza rinvio l’impugnato decreto del Tribunale di Napoli, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, secondo periodo.

Attesa la natura processuale della presente decisione, come in sè relativa alla definizione delle ricadute derivanti dalla chiusura del fallimento sui giudizi in corso sullo stato passivo, vanno compensate le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Il Collegio cassa senza rinvio il decreto impugnato. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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