Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29459 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. III, 28/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 5, presso lo studio dell’avvocato DOMENICA

PAPI, rappresentata e difesa dall’avvocato FERRARI BRUNO, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G. (OMISSIS), A.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv. DELFINO

GIOVANNI, giusta procura alle liti a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

FALLIMENTO SOGESTIM SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 405/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

20.3.08, depositata il 04/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’1/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Bruno Ferrari che si riporta agli

scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che si riporta alla relazione scritta.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Il giorno 11 ottobre 2011 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“1.- Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Sanremo ha respinto l’azione revocatoria proposta ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. da L.M.A. contro la s.r.l. Sogestim, venditrice (oggi fallita), e contro G.G. e M. A., acquirenti, per sentir dichiarare inefficace nei suoi confronti il contratto di compravendita immobiliare, stipulato fra i convenuti il 5.7.1999, in frode alle sue ragioni creditorie.

Esponeva l’attrice che Sogestim era stata condannata in primo grado a risarcirle i danni da inadempimento contrattuale, nella misura di L. 9 milioni, oltre interessi e spese processuali; che in grado di appello la somma dovuta in risarcimento è stata incrementata fino a L. 75 milioni e che la società debitrice aveva venduto, nelle more, i suoi più rilevanti cespiti immobiliari.

La Corte di appello ha ritenuto non provata la conoscenza da parte degli acquirenti del pregiudizio che la compravendita avrebbe arrecato ai creditori, sul rilievo che il rogito è stato stipulato il 5.7.1999, allorchè il credito dell’attrice era stato quantificato dal Tribunale in una somma che appariva sufficientemente garantita da altro immobile, rimasto in proprietà della venditrice; che la notificazione dell’atto di appello è stata ricevuta dalla venditrice il 3.7.1999, due soli giorni prima del rogito, sicchè non si può ritenere che essa – ed in particolare gli acquirenti – fossero a conoscenza del fatto che il debito di Sogestim era superiore a quello già liquidato, quindi che fossero consapevoli del pregiudizio che il loro acquisto avrebbe potuto arrecare ai creditori. Ha altresì escluso che tale prova potesse desumersi dalle testimonianze e dalle ulteriori risultanze istruttorie. L.M. propone cinque motivi di ricorso per cassazione.

Resistono G. e A. con controricorso. Il Fallimento s.r.l. Sogestim non ha depositato difese.

2.- Il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo – che tutti lamentano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nelle parti in cui la sentenza impugnata ha escluso la sussistenza dei presupposti per la revocazione (esistenza del credito, conoscenza del pregiudizio) – sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., poichè non contengono un momento di sintesi delle censure analogo al quesito di diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe da ritenere omessa, insufficiente o contraddittoria, nè l’indicazione dei vizi logici o giuridici dai quali sarebbe affetta, sì da risultare inidonea a giustificare la soluzione adottata, come prescritto dalla citata norma (cfr., sulle modalità di formulazione dei quesiti in relazione alle censure di vizio di motivazione, Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652;

Cass. Civ. Sez. 3, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008, fra le tante).

Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass. civ., Sez. 3^, ord. 16 luglio 2007 n. 16002, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Le doglianze della ricorrente si risolvono nella critica al merito della decisione, cioè a questione non suscettibile di riesame in sede di legittimità: mentre la sentenza impugnata risulta più che ampiamente, logicamente e specificamente motivata, sotto ogni profilo.

3.- Il terzo motivo – pur se presentato nella rubrica come violazione di legge, ed in particolare come violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, – si risolve anch’esso nella censura alle valutazioni di merito in base alle quali la Corte di appello ha ritenuto inammissibili, perchè non indispensabili ai fini della decisione, i nuovi documenti prodotti dalla ricorrente nel giudizio di secondo grado: valutazioni che sono assistite da congrua e logica motivazione. Il quesito formulato ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. è anch’esso inammissibile, poichè si limita a riproporre in termini apodittici la tesi della ricorrente circa il fatto che i documenti prodotti avrebbero rilevanza determinante, anzichè sintetizzare i vizi di motivazione in cui la sentenza impugnata sarebbe incorsa, nell’affermare il contrario.

Va soggiunto che la ricorrente non ha dichiarato di avere prodotto in questa sede, nè dichiara se e come siano reperibili fra gli atti di causa, i documenti di cui lamenta la mancata ammissione, come disposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6 con riguardo ai documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav, 7 febbraio 2011 n. 2966, fra le tante).

5.- Propongo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, con provvedimento in Camera di consiglio”.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti. – Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte. L.M. e G. hanno depositato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione, che le deduzioni difensive contenute nella memoria della ricorrente non valgono a disattendere.

I principi enunciati dalla relazione circa la formulazione delle censure di vizio di motivazione e la necessità di produrre i documenti su cui il ricorso si fonda, o di specificare che essi sono allegati ai documenti prodotti, indicando come siano contrassegnati, sono conformi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, citata nella relazione medesima.

Quanto all’asserita inapplicabilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con riferimento ai documenti prodotti in appello, trattasi di argomentazione esposta nella relazione ad abundantiam, in aggiunta alle altre più pregnanti cause di inammissibilità, che debbono essere qui confermate.

Deve essere poi condiviso il rilievo del ricorrente secondo cui anche il giudizio sul carattere indispensabile o meno ai fini della decisione dei nuovi documenti di cui si chiede la produzione in appello può configurare una questione di diritto, cioè violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, (Cass. civ. Sez. 1, 17 giugno 2009 n. 14098).

Resta il fatto che in tal caso la censura richiedeva, all’atto della proposizione del ricorso, la corretta formulazione del quesito, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., quesito che è nella specie inammissibile, per le ragioni esposte nella relazione.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 4.200,00 in favore dei resistenti, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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