Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29456 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. II, 15/11/2018, (ud. 21/09/2018, dep. 15/11/2018), n.29456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1153/18) proposto da:

R.E.F., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avv. Silvio Carloni ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio, in Roma, v. Oslavia, n. 39/f;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Presidente e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti

Remo Danovi, Matteo Gozzi e Francesco Giorgianni ed elettivamente

domiciliato presso lo studio del terzo, in Roma, v. Sistina, n. 42;

– controricorrente –

e

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

MILANO;

– intimato –

avverso l’ordinanza della Corte di appello di Milano nel procedimento

iscritto al n. R.G. 537/2017, depositata il 21 ottobre 2017 (e

notificata a mezzo pec il 27 ottobre 2017);

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21 settembre 2018 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi l’Avv. Silvio Cartoni per la ricorrente e l’Avv. Matteo Gozzi

per il controricorrente Consiglio notarile di Milano.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 13 novembre 2014, il sig. M.F.F., per un verso, e i sigg. Ri.Eu. e L.A., per altro verso, segnalavano al Consiglio notarile di Milano – con due distinti esposti – la condotta assunta dal notaio Dott.ssa R.E.F., ritenuta dagli stessi affetta da anomalie in relazione alla gestione delle vicende successorie della sig.ra Ri.Lu. (morta il (OMISSIS)), con particolare riferimento all’esecuzione di apposite disposizioni contenute in due documenti redatti dalla suddetta deceduta (il primo recante la data del 17 gennaio 2014 e il secondo datato 1 febbraio 2014), rispetto alle quali il predetto M. non veniva avvertito di nulla malgrado che nella seconda scheda testamentaria egli fosse stato indicato quale destinatario di volontà attributive di beni e nonostante che con la prima scheda tale signor F. – sollecitato dal menzionato notaio ad accettare l’eredità – fosse stato nominato mero esecutore testamentario (precisandosi, tuttavia, che lo stesso, in seguito, aveva rinunciato all’eredità sottoscrivendo un atto di transazione nel quale riconosceva che il primo testamento non conteneva alcuna volontà dispositiva della de cuius in suo favore).

A seguito degli esperiti accertamenti del caso, il Consiglio notarile di Milano, con atto del 17 marzo 2016, richiedeva l’apertura di un procedimento disciplinare a carico dell’indicato notaio contestando allo stesso la violazione delle norme deontologiche di cui alla L. n. 89 del 1913, art. 147, lett. a) e lett. b), (c.d. legge notarile), e specificamente, con riferimento alla seconda infrazione, la violazione degli artt. 40, 41, 28 e 42 del medesimo testo normativo, ritenendo adeguata e proporzionata ai fatti contestati la sanzione della sospensione dall’attività professionale per otto mesi.

Espletata la conseguente istruttoria, all’esito della stessa, con decisione n. 185 del 7 luglio 2016 (e depositata il 16 dicembre 2016), la CO.RE.DI. della Lombardia, ravvisava la sussistenza della responsabilità del notaio R. in ordine all’infrazione dell’art. 147, lett. a), della Legge Notarile (per aver compromesso la sua reputazione ed il prestigio della classe notarile non avendo osservato la dovuta terzietà ed imparzialità nei confronti di tutti i soggetti interessati nella gestione dell’anzidetta vicenda successoria) nonchè in relazione all’art. 147, lett. b), della medesima Legge Notarile con riferimento alle contestate violazioni dei principi di deontologia professionale dei notai ascrittile; irrogava, pertanto, nei confronti del menzionato notaio, previa concessione delle attenuanti di cui all’art. 144 della Legge Notarile, la sanzione disciplinare pecuniaria di Euro 15.000,00.

Sul reclamo proposto dal notaio R. avverso la suddetta decisione, la Corte di appello di Milano, nella costituzione del Consiglio notarile di Milano e con l’intervento del P.G. presso la medesima Corte, con ordinanza depositata il 21 ottobre 2017, rigettava l’impugnazione, confermando la sanzione inflitta alla reclamante, che veniva condannata anche alla rifusione delle spese giudiziali.

A sostegno dell’adottata ordinanza la Corte ambrosiana rilevava, quanto alla configurazione della violazione di cui all’art. 147, lett. a), della Legge Notarile che, in effetti, era emerso come la professionista avesse incongruamente gestito la vicenda successoria in discorso, sollecitando un soggetto ad accettare l’eredità malgrado la sua chiamata fosse del tutto dubbia e discutibile, senza, oltretutto, avvertire una delle persone effettivamente chiamate all’eredità, procedendo ad una serie di attività inopportune e senza rendere a tutte le parti interessate le necessarie spiegazioni per ponderare le loro decisioni, così incorrendo nella violazione del decoro e della dignità della funzione del notaio e della classe notarile, che ne erano risultati gravemente compromessi.

Con riguardo alle violazioni ricondotte all’art. 147, lett. b), della Legge Notarile, la Corte milanese ravvisava la violazione dell’art. 41 codice deontologico per non aver il suddetto notaio tenuto un comportamento equidistante rispetto ai diversi interessi delle parti, nonchè la violazione del precedente art. 40 di detto codice essendo emerso che lo stesso notaio non aveva fornito alle parti il preventivo dei costi, delle spese e dei compensi della prestazione richiesta, esigendo anche importi considerevoli per attività non sollecitate o non ultimate; inoltre, il giudice del reclamo riteneva concretatasi, nella condotta del notaio, anche la violazione dell’art. 42 citato codice deontologico, poichè era risultato che lo stesso non aveva svolto con la necessaria diligenza le attività di consiglio e di indirizzo connesse allo svolgimento della funzione notarile, avendo, in particolare, omesso di convocare il M., di concordare con le parti le modalità attuative della procedura e di rendere edotte le parti effettivamente interessate della sopravvenuta rinuncia del F., oltre ad aver dato riscontro con ritardo alle lettere degli avvocati officiati dalle parti medesime; infine, la Corte di appello confermava anche la sussistenza della violazione di cui all’art. 28 codice deontologico di categoria per aver il suddetto notaio coinvolto un dipendente dello studio notarile in qualità di attestante in un atto notorio, senza che il ricorso a tale coinvolgimento fosse stato dettato da esigenze di carattere eccezionale.

Quanto al tipo e alla misura della sanzione, la Corte adita in sede di reclamo riteneva che la sanzione pecuniaria inflitta al notaio R. dalla CO.RE.DI. di (OMISSIS) fosse adeguata e proporzionata alla condotta illecita risulta comprovata, che, peraltro, aveva comportato la consumazione di plurime violazioni del codice deontologico.

Nei riguardi dell’anzidetta ordinanza decisoria della Corte di appello di Milano (notificata a mezzo pec il 27 ottobre 2017) ha proposto ricorso per cassazione il notaio R.E.F., articolato in sette motivi, al quale ha resistito con controricorso il solo intimato Consiglio notarile di Milano.

Il difensore della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 147, lett. a), sul presupposto della prospettata insussistenza di un comportamento al di fuori delle regole etiche e deontologiche raccolte nel c.d. codice deontologico dei notai e, comunque, individuate dal comune sentire.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha denunciato – sempre con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, stesso art. 147, lett. a), ma in relazione agli artt. 701,623,475 e 519 c.c. ed agli artt. 41 e 42 codice deontologico approvato dal Consiglio nazionale del notariato, deducendo l’insussistenza della parziale incompatibilità dei due testamenti e della frettolosità della loro interpretazione, senza che, a tal proposito, potesse avere rilievo l’accordo successivamente concluso tra le parti. Inoltre, la ricorrente ha prospettato che la Corte milanese era incorsa nella violazione dell’art. 623 c.c., poichè, in caso di testamento olografo, il notaio è tenuto a comunicare l’esistenza dell’atto solo dopo aver proceduto alla pubblicazione dello stesso atto di ultima volontà, aggiungendo in relazione agli artt. 475 e 519 c.c. e ad agli artt. 41 e 42 codice deontologico – che la medesima Corte territoriale aveva erroneamente attribuito rilievo disciplinare alla condotta osservata da esso notaio sul presupposto che egli aveva occultato la notizia della sopravvenuta rinunzia all’eredità del F., che, tuttavia, avrebbe dovuto considerarsi priva di efficacia giuridica.

3. Con la terza doglianza la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa fatti ritenuti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto di discussione fra le parti avuto riguardo alla pacifica corretta trascrizione dei due testamenti, alla inesistenza di contrasti tra gli stessi, all’avvenuta comunicazione della pubblicazione del testamento al sig. M., alla rilevanza della nota con cui il sig. F., dopo aver accettato l’eredità, aveva dichiarato di non volersene avvalere oltre ad invocare la riconsegna dei documenti.

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 147, lett. b) c.d. legge notarile in relazione agli artt. 40, 41, 42 e 28 codice deontologico, sull’assunto che la suddetta norma principale non sarebbe stata, nella fattispecie, applicabile poichè non era stata contestata la consumazione di norme deontologiche in modo reiterato, donde la non punibilità delle mere condotte occasionali.

5. Con il quinto mezzo di ricorso la difesa del notaio R. ha denunciato ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 147, lett. b), della Legge Notarile e dell’art. 28 del c.d. codice deontologico, sostenendo che l’intervento del dipendente ( A.M.) sollecitato nel caso di specie era stato solo quello di rendere testimonianza in ordine ad un atto notorio su circostanze da esso direttamente conosciute, senza che, quindi, potesse ritenersi configurato un indebito coinvolgimento del collaboratore nell’esercizio della funzione notarile (nel mentre l’altro testimone era un soggetto esterno allo studio).

6. Con la sesta censura (collegata alla precedente) la ricorrente ha prospettato che la Corte di appello era incorsa – in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nell’omesso esame del fatto decisivo attinente al ruolo rivestito dal suo collaboratore, che aveva svolto la funzione di testimone e non di procuratore.

7. Con il settimo ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto un ulteriore vizio di omesso esame di fatto decisivo rapportato all’effettiva portata dell’intervento dei legali di fiducia delle parti, che era stato determinato – secondo l’assunto della difesa dello stesso notaio – dallo screzio insorto tra il F. ed il M. in ordine alla situazione debitoria emersa a carico del secondo.

8. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

La stessa ricorrente, nell’esposizione della censura, riconosce che le violazioni di legge ascrittele sarebbero – quantomeno – consistite nell’erronea applicazione delle norme codicistiche attinenti alle modalità di pubblicazione del testamento olografo di Ri.Lu., delle disposizioni normative in ordine all’interpretazione delle due schede testamentarie e di quelle sulla disciplina dei preventivi che impongono al notaio l’emissione di un preventivo di spesa, da comunicare al momento del conferimento dell’incarico. Tuttavia, la sua difesa sostiene che tali condotte non sarebbero state perseguibili sul presupposto che esse, pur se ritenute contrarie alle regole di etica professionale, non potevano ritenersi lesive del complesso dei principi di deontologia oggettivamente enucleabili dal comune sentire di un dato momento storico.

Osserva il collegio che la suddetta ricostruzione non è condivisibile poichè la giurisprudenza di questa Corte ha – ormai in modo univoco – statuito che la condotta enucleata nell’art. 147, lett. a), della c.d. Legge Notarile (consistente nella compromissione da parte del notaio, in qualunque modo, nella vita pubblica o privata, della sua dignità e reputazione o del decoro e prestigio della classe notarile) integra un illecito di pericolo la cui commissione non implica la percezione della riprovevolezza ambientale dell’operato ascritto al notaio (il quale, oltretutto, nel caso di specie, aveva costituito oggetto di due esposti indirizzati al competente Consiglio notarile), poichè ciò che rileva è il concreto accertamento degli specifici comportamenti – da parte dell’organo di disciplina (cfr. Cass. n. 17266/2015) – posti in essere dallo stesso notaio che risultino effettivamente idonei a ledere i valori tutelati dalla suddetta norma, a prescindere, quindi, dal verificarsi di un’eco negativa nella comunità, connotazione, perciò, quest’ultima che non assurge ad elemento costitutivo dell’illecito disciplinare, donde l’irrilevanza della prova della sua esistenza (v., da ultimo, Cass. n. 10872/2018).

Del resto è risaputo che, in tema di illeciti disciplinari previsti a carico di chi esercita la professione notarile, l’art. 147, lett. a), della c.d. legge notarile prevede una fattispecie disciplinare a condotta libera, all’interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l’interesse tutelato, il che si verifica ogni volta che si ponga in essere una violazione dei principi di etica professionale enucleabili anche dalle disposizioni del relativo “codice deontologico” in cui sono positivizzate le condotte ritenute contrarie al comune sentire in un determinato momento storico. Pertanto, il citato art. 147, lett. a) – da intendersi quale norma di chiusura del sistema a fondamento del quale è posto il rapporto complesso ed articolato tra il notaio e l’ordinamento statuale legittimamente configura come illecito disciplinare condotte che, ancorchè non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio nonchè il decoro e il prestigio della classe notarile, e ciò onde evitare che violazioni dei doveri anche gravi possano sfuggire alla sanzione disciplinare, essendo d’altra parte la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione affidate ad una clausola generale il cui significato è compreso dalla collettività in cui il giudice disciplinare opera. La norma menzionata – del tutto rispettosa del principio di legalità, anche in ordine alle previsione delle sanzioni applicabili – rimette agli organi di disciplina l’individuazione in concreto delle condotte che possano provocare discredito alla reputazione del singolo notaio e, per suo tramite, all’intera categoria professionale, essendo riservato al giudice un controllo di legittimità, rivolto a verificare la ragionevolezza della sussunzione nella clausola generale del fatto concreto secondo una valutazione di merito insindacabile da parte di questa Corte, ove adeguatamente e logicamente svolta (sulla scorta dei concreti accertamenti fattuali), come è certamente avvenuto nel caso in questione.

9. Anche la seconda censura è priva di fondamento giuridico e va respinta.

In effetti, la Corte territoriale ha, in punto di fatto, accertato – supportando tale attività con compiuta motivazione non censurabile nella presente sede che il notaio ricorrente aveva tenuto una condotta tale da far sorgere gravi dubbi e perplessità nelle parti assistite in merito ai valori di rigore, precisione, oculatezza e trasparenza che devono caratterizzare la funzione notarile, ovvero: trascrivere in modo erroneo una parola fondamentale di una scheda testamentaria; coprire quella successiva con il timbro; il non riferire di una lettera di rinuncia all’eredità ricevuta; gestire la vicenda successoria in modo superficiale, frettoloso e non trasparente; il cercare di ottenere un beneficio economico per una delle parti; il fatto di condizionare il rilascio dei documenti al pagamento di importi esorbitanti, con duplicazioni di voci e richieste di compensi per attività non svolte.

In particolare, la Corte di appello di Milano, sulla base della puntuale ricostruzione fattuale della vicenda successoria, ha riscontrato l’univoca emergenza delle circostanze secondo cui, in virtù del primo testamento, il F. non era stato istituito propriamente erede e che, in ogni caso, la seconda scheda testamentaria aveva comportato la revoca della prima, con obbligo del notaio di portare a conoscenza tempestiva del tutto i destinatari delle disposizioni di ultima volontà di cui all’ultimo testamento da ritenersi valido ed efficace, essendo, infatti, suo obbligo quello di adottare condotte equidistanti dalle parti interessate. Peraltro lo stesso censurato art. 623 c.c., impone al notaio – anche in caso di testamento olografo, dopo la sua pubblicazione – di comunicare l’esistenza di detto testamento agli eredi e legatari, adempimento che, tuttavia, nella specie, la Corte di appello ha idoneamente accertato che non fosse stato idoneamente e tempestivamente assolto nei confronti del M., oltretutto conosciuto.

In dipendenza della irrituale gestione della suddetta complessiva vicenda concretasi nella sequenza di plurime condotte tra loro collegate – è indubbio che il notaio ricorrente sia incorso nell’infrazione disciplinare di cui della L. n. 89 del 1913, art. 147, lett. a), avendo compromesso, oltre alla sua reputazione, soprattutto il decoro e il prestigio della funzione notarile (valori quelli riferiti al singolo notaio e alla categoria professionale di appartenenza che la stessa norma pone, peraltro, in un rapporto di alternatività quanto alla rilevanza della loro violazione).

10. Anche la terza doglianza non è meritevole di accoglimento perchè diversamente da quanto prospettato dalla difesa della ricorrente – la Corte territoriale non è affatto incorsa nell’omissione di fatti assunti come decisivi in funzione dell’enucleazione della violazione ricondotta al mancato rispetto del precetto previsto dall’art. 147, lett. a), della c.d. Legge Notarile. Infatti, il relativo illecito è stato correttamente ritenuto sussistente per effetto delle già specificate plurime condotte del notaio R. comportanti la violazione del dovere di imparzialità (da correlarsi alla necessaria equidistanza nei confronti delle parti nella gestione dell’attività pubblica notarile), nel tentativo di alterazione di una scheda testamentaria con oscuramento di una parte fondamentale del suo testo che, invece, avrebbe dovuto essere preservato integralmente, nell’ingiustificato ritardo con cui era stato informato il M. dello sviluppo della vicenda in questione anche a seguito della pubblicazione del secondo testamento, nel mancato approntamento dei preventivi di spese e compensi, nella richiesta di importi non riconducibili ad effettive prestazioni professionali rese e nell’assenza dell’osservanza della necessaria diligenza nell’espletamento dell’attività di consiglio e di indirizzo connesse allo svolgimento della funzione notarle (che aveva comportato anche l’intervento di appositi legali per tutelare gli interessi delle parti interessate). Diversamente – per la concretazione dell’illecito – non risultano affatto determinanti le circostanze dedotte con la censura in esame siccome attinenti ad aspetti non impeditivi della configurazione della violazione attribuita alla ricorrente. Infatti, non erano da considerarsi rilevanti – a tale scopo ed avuto riguardo alla pregressa complessiva condotta tenuta dal notaio R. – gli aspetti relativi alla intervenuta trascrizione dei due testamenti e alla nota con cui il sig. F. – solo in un secondo momento – aveva dichiarato di non volersi avvalere di alcuna disposizione testamentaria, mentre si è già puntualizzato in quali termini siano stati legittimamente ritenuti come comportamenti scorretti (e concorrenti ad integrare la violazione ascritta al notaio) la gestione dell’attività inerente la pubblicazione dei due testamenti (con tentativo di occultamento di una parte del primo) e l’ingiustificato ritardo nell’espletamento del dovere di informativa nei confronti del M..

11. Pure il quarto motivo è da dichiarare infondato perchè l’illecito ascritto al notaio ricorrente – in ordine alla ravvisata violazione dell’art. 147, lett. b), della c.d. legge notarile in correlazione con gli artt. 40, 41, 42 e 28 codice deontologico – integra gli estremi di una fattispecie plurioffensiva realizzatasi, nel caso di specie, con una pluralità di condotte (come già poste prima in risalto ed accertate univocamente dalla Corte territoriale) protrattesi in un ampio lasso temporale, ragion per cui detto illecito – siccome non correlato ad un fatto propriamente episodico – non può ritenersi connotato dall’occasionalità. Tale profilo, invero, deve essere escluso anche quando i molteplici comportamenti lesivi dei valori tutelati dalle suddette norme attengano ad un’unica prestazione professionale notarile che, tuttavia, si svolge in varie fasi e condotte sequenziali che occupano un intervallo temporale piuttosto apprezzabile e coinvolgono plurimi soggetti che perseguono interessi non convergenti.

12. Ad avviso del collegio sono, invece, fondati il quinto e sesto motivo, esaminabili congiuntamente siccome riferiti alla stessa questione giuridica.

Come correttamente rilevato dalla difesa del notaio ricorrente l’art. 28 codice deontologico della categoria professionale notarile vieta ai notai di far intervenire i propri dipendenti negli atti come procuratori, ma tale previsione e in ciò è insito il principio di diritto al quale il giudice di rinvio dovrà uniformarsi – non è applicabile nell’ipotesi in cui i collaboratori del notaio si limitino all’esplicazione di una mera funzione attestativa di circostanze relative ad atti di notorietà riguardanti gli aventi diritto alla successione, come invece ritenuto dalla Corte milanese nell’impugnata ordinanza. Nè tantomeno può assumere rilievo la constatazione – compiuta a tal fine dalla stessa Corte territoriale – per cui l’intervento di un collaboratore del notaio (essendo risultato, invero, l’altro soggetto intervenuto estraneo all’organizzazione dello studio notarile) non appariva giustificato da alcuna esigenza di carattere eccezionale.

In punto di fatto è, infatti, risultato che il collaboratore della ricorrente si era limitato (come pure l’altro soggetto estraneo allo studio) a svolgere un’attività di testimonianza riferita ad atti notori su circostanze da loro conosciute per esperienza diretta e, quindi, non è emerso che egli fosse stato coinvolto quale procuratore in senso proprio (e, perciò, quale rappresentante di uno o più clienti) durante il compimento degli atti – attinenti alla vicenda successoria esaminata – ricevuti dal notaio presso il cui studio era impiegato.

13. Il settimo ed ultimo motivo è palesemente infondato perchè la Corte di merito ha preso in considerazione – nel contesto della complessiva valutazione della condotta addebitata al notaio ricorrente – anche la circostanza relativa alla giustificazione dell’intervento degli avvocati che curavano gli interessi delle parti, il quale era stato indotto da una non trasparente e sollecita collaborazione da parte dello stesso notaio a chiarire lo svolgimento della vicenda successoria da cui era scaturito l’avvio del procedimento disciplinare. Non ha, ovviamente, alcun rilievo decisivo ai fini della configurazione dei contestati illeciti a carico del notaio R. il riferimento di carattere soggettivo – operato dalla stessa ricorrente – al possibile screzio che era insorto tra il F. ed il M. in ordine alla situazione debitoria di quest’ultimo e che aveva provocato l’intervento dei legali.

14. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, devono essere accolti solo il quinto ed il sesto motivo del ricorso, mentre tutti gli altri vanno respinti. Ne consegue la cassazione dell’ordinanza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate con derivante rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, che oltre a conformarsi all’enunciato principio di diritto (sub paragrafo 12), anche in funzione della rideterminazione della sanzione in melius nei confronti del notaio ricorrente, provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto e sesto motivo del ricorso e rigetta gli altri; cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della fase di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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