Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29452 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30283-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.F.;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

09/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso il decreto reso il 9 aprile 2018 dalla Corte d’Appello di Roma, che ha respinto l’opposizione avanzata dallo stesso Ministero della Giustizia nei confronti di G.F. contro il decreto emesso il 4 maggio 2017 dal consigliere delegato della medesima Corte d’Appello di Roma, che aveva accolto la domanda di condanna all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio civile.

L’intimato G.F. non ha svolto attività difensive.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso del Ministero della Giustizia assumono la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso deducono del pari la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, stavolta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Tutti i motivi allegano la natura sostanziale, e non processuale, del termine decadenziale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, e quindi la non operatività riguardo ad esso della sospensione ex L. n. 742 del 1969, di tal che, risalendo il dies a quo di detto termine alla data del passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del giudizio presupposto (27 maggio 2016), risulterebbe tardiva la domanda proposta il 27 dicembre 2016. Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

Deve trovare conferma il consolidato orientamento sul punto di questa Corte, secondo il quale la sospensione nel periodo feriale dei termini di cui alla L. n. 742 del 1969, art. 1, si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, atteso che fra i termini di cui alla L. n. 742 del 1969, art. 1 cit., vanno ricompresi non solo quelli inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso (Cass. Sez. 2, 02/03/2018, n. 5018; Cass. Sez. 2, 28/02/2018, n. 4691; Cass. Sez. 2, 28/02/2018, n. 4692; Cass. Sez. 6 -2, 08/02/2017, n. 3387; Cass. Sez. 6 – 2, 05/01/2017, n. 184; Cass. Sez. 6 – 2, 18/03/2016, n. 5423; Cass. Sez. 1, 11/03/2009, n. 5895).

In tal senso, peraltro, Cass. Sez. U, 22/07/2013, n. 17781, secondo cui il termine di sei mesi, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, dal provvedimento che chiude la causa che ha violato la durata ragionevole del processo, oltre il quale non è più proponibile l’azione di equa riparazione da ritardo irragionevole del processo, è stabilito dal legislatore “a pena di decadenza” (art. 2964 c.c. e ss.); la natura processuale della decadenza che precede comporta che il periodo di sei mesi dalla definizione del processo durato per tempo irragionevole, oltre il quale l’azione è preclusa, deve computarsi tenendo conto della sospensione del periodo feriale di cui alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, come accade per ogni altro termine analogo”.

Le argomentazioni sviluppate dal ricorrente non offrono elementi per mutare tale orientamento interpretativo. Non rilevano decisivamente, infatti, ai fini di una diversa considerazione del termine di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, ovvero della conclusione della non riferibilità ad esso della sospensione ex L. n. 742 del 1969, nè l’operatività del termine d’impugnazione di sei mesi, previsto dall’art. 327 c.p.c., nella nuova formulazione applicabile ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della I.n. 69 del 2009; nè la vigente struttura monitoria del procedimento di equa riparazione, come delineata dalla L. n. 134 del 2012; nè, infine, la soggezione della domanda di equa riparazione per durata irragionevole alla disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione, e, quindi, la conseguente efficacia impeditiva, accordata all’istanza di mediazione, rispetto alla stessa decadenza L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 4. Tali sopravvenienze ordinamentali non mutano la natura del termine decadenziale L. n. 89 del 2001, art. 4, rimanendo pur sempre da esso condizionata l’utile esperibilità della essenziale tutela giurisdizionale del diritto di equa riparazione da ritardo irragionevole del processo.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Non occorre regolare le spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato G.F. svolto attività difensive.

Essendo la ricorrente Amministrazione dello Stato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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