Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29448 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23479-2018 proposto da:

F.L., rappresentato e difeso dagli avvocati

M.R., I.R.;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il

10/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

F.L. propone ricorso articolato in sei motivi per la cassazione del decreto reso dalla Corte d’Appello di Messina il 10 gennaio 2018. Questo decreto, in sede di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, ha confermato il provvedimento del magistrato designato, che aveva condannato il Ministero della Giustizia all’equa riparazione in favore del ricorrente, pari ad Euro 2.500,00, per la irragionevole durata di un giudizio civile svoltosi dal 1990 al 2016 davanti alla Pretura, al Tribunale ed alla Corte d’Appello di Messina. Ad avviso della Corte d’Appello di Messina, poichè F.L. si era costituito nel giudizio presupposto soltanto in data 24 febbraio 2005, quale erede della parte originaria F.F., ed aveva poi domandato l’indennizzo per equa riparazione nel ricorso introduttivo del 3 novembre 2016 senza far alcun riferimento alla sua qualità di successore, solo da tale data poteva accordarsi la tutela ex L. n. 89 del 2001. Neppure, ad avviso della Corte di Messina, F.L. aveva dedotto e provato di essere l’unico erede del padre.

L’intimato Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensive.

I primi cinque motivi di ricorso denunciano la nullità della decisione impugnata e la violazione di norme di diritto, per aver il decreto impugnato omesso di pronunciare sulla domanda di equa riparazione dispiegata dal ricorrente iure hereditatis, o per aver comunque disconosciuto il relativo diritto, senza considerare le allegazioni specifiche a proposito della qualità di unico erede svolte nel giudizio di opposizione. Il sesto motivo di ricorso attiene, invece, alla liquidazione dell’indennizzo erogato.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

I primi cinque motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono fondati, rimanendo assorbito così il sesto motivo, il cui esame potrà essere ulteriormente sottoposto al giudice di rinvio.

Questa Corte ha più volte espresso l’orientamento, al quale il collegio intende dare continuità, secondo cui, qualora la parte del giudizio civile presupposto sia deceduta, l’erede ha diritto a conseguire, “pro quota” e “iure successionis”, l’indennizzo maturato dal “de cuius” per l’eccessiva protrazione del processo, nonchè, “iure proprio”, l’indennizzo dovuto in relazione all’ulteriore decorso della medesima procedura, dal momento in cui abbia assunto formalmente la qualità di parte, ovverosia si sia costituito nel giudizio. Ed infatti, anche se la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua irragionevole durata, è stata già acquisita nel segmento temporale nel quale parte era il “de cuius” e permane altresì in relazione alla valutazione della posizione del successore – che subentra, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole -, quest’ultimo ha diritto all’indennizzo “iure proprio” solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria rituale costituzione, la quale – come confermato dalla CEDU, con sentenza del 18 giugno 2013, “Fazio ed altri c. Italia” – è condizione essenziale per far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del processo, atteso che, nel processo civile, in ipotesi di morte della parte originaria, stante la regolamentazione di tale evento prevista nell’art. 300 c.p.c., non assume altrimenti rilievo la continuità delle rispettive posizioni processuali tra dante ed aventi causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., se non dal momento, appunto, dell’effettiva costituzione degli eredi conseguente al decesso del primo (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 08/02/2017, n. 3387; Cass. Sez. 6 – 2, 03/02/2017, n. 3001; Cass. Sez. 6 – 2, 24/01/2017, n. 1785; Cass. Sez. 6 – 2, 20/11/2014, n. 24771; Cass. Sez. 2, 19/02/2014, n. 4003; Cass. Sez. 1, 07/02/2008, n. 2983).

L’unico processo, che ha visto la successione dalla parte originaria ad altra che, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., vi è subentrata, deve, ai fini dell’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, ritenersi, quindi, articolato su due distinti segmenti, uno che vide il de cuius parte e destinatario, al ricorrere della irragionevole durata, dell’indennizzo ex lege e che spetta iure successionis agli eredi che lo abbiano richiesto, e l’altro da cui discende un indennizzo che compete alle parti subentrate. Per tutto il tempo durante il quale, deceduta la parte originaria, gli eredi non abbiano ritenuto di costituirsi o non siano stati chiamati in causa, pur esistendo un processo, non vi è la parte che della sua irragionevole durata possa ricevere nocumento, di tal che nessun rilievo può avere la protrazione o la formazione della durata irragionevole del processo senza alcuna parte.

La Corte d’Appello di Messina ha ritenuto, sulla base del solo ricorso introduttivo di F.L. del 3 novembre 2016, che questi avesse agito per ottenere una somma a titolo di indennizzo ex L. n. 89 del 2001, unicamente iure proprio, e non anche quale erede di F.F..

Ora, in via di principio, deve ribadirsi come, in tema di interpretazione delle domande giudiziali, il giudice non è condizionato dalle parole utilizzate dalla parte e deve tener conto dell’intero contesto dell’atto, senza alterarne il senso letterale ma, allo stesso tempo, valutandone la formulazione testuale e il contenuto sostanziale in relazione all’effettiva finalità che la parte intende perseguire. D’altro canto, l’attore aveva inquivocamente chiarito la sua pretesa nel giudizio di opposizione davanti alla Corte d’Appello, chiedendo la condanna del Ministero della Giustizia altresì al pagamento del danno subito dal padre F.F.. Come da questa Corte già chiarito, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo, nel quale la corte d’appello provvede ai sensi degli artt. 737 c.p.c. e ss. (Cass. Sez. 6 – 2, 29/09/2015, n. 19348; Cass. Sez. 2, 28/09/2017, n. 22704), sicchè non vigono le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario, con la conseguenza che per l’intero corso di esso potrà essere modificata o precisata la domanda di equa riparazione originariamente proposta.

E’ altresì costante l’orientamento costantemente espresso da questa Corte secondo cui il figlio che aziona in giudizio un diritto del genitore, del quale afferma essere erede “ab intestato”, ove non sia stato contestato il rapporto di discendenza con il “de cuius”, non deve ulteriormente dimostrare, al fine di dare prova della sua legittimazione ad agire, l’esistenza di tale rapporto producendo l’atto dello stato civile, attestante la filiazione, ma è sufficiente, in quanto chiamato all’eredità a titolo di successione legittima, che abbia accettato, anche tacitamente, l’eredità, di cui costituisce atto idoneo l’esercizio stesso dell’azione. In quanto figlio del de cuius F.F., F.L. doveva perciò intendersi in possesso del titolo legale che gli conferisce il diritto di successione; e l’esercizio stesso dell’azione, per la soddisfazione di un diritto di credito da risarcimento del danno, del quale si assume fosse titolare il de cuius, in quanto parte del giudizio presupposto di cui si lamenta la durata non ragionevole, è di per sè atto idoneo a ritenere l’avvenuta accettazione tacita dell’eredità, quale erede per successione legittima, così integrandosi la legittimazione attiva dell’attore, per la coincidenza tra soggetto che ha agito in giudizio e soggetto che si è affermato titolare del diritto controverso (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 03/02/2017, n. 3016; Cass. Sez. 3, 20/10/2014, n. 22223; Cass. Sez. 3, 14/10/2011, n. 21288; ma arg. anche da Cass. Sez. U, 29/05/2014, n. 12065).

Conseguono l’accoglimento, nei termini indicati in motivazione, dei primi cinque motivi del ricorso, l’assorbimento del sesto motivo e la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d’Appello di Messina, che, in diversa composizione, sottoporrà la causa a nuovo esame, uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie i primi cinque motivi del ricorso, dichiara assorbito il sesto motivo, cassa il decreto impugnato nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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