Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29446 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. II, 15/11/2018, (ud. 18/06/2018, dep. 15/11/2018), n.29446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15004-2017 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI n.

278, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA CANNIZZARO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SANASI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE depositato il

30/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 15.10.2015 G.M. chiedeva alla Corte di Appello di Lecce il riconoscimento dell’indennizzo per equa riparazione derivante dalla durata irragionevole del processo in relazione ad un giudizio civile svoltosi in primo grado e conclusosi dopo 13 anni, 3 mesi e 27 giorni dalla notificazione dell’atto introduttivo.

La Corte di Appello respingeva il ricorso e il G. interponeva opposizione, all’esito della quale la Corte territoriale, con il decreto impugnato, determinava l’indennizzo in Euro 5.000 riconoscendo una durata eccessiva di 10 anni e determinando la somma di Euro 500 per ciascun anno di ritardo.

Interpone ricorso per la cassazione di detto provvedimento il G., affidandosi a tre motivi. Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva in questo grado. Il ricorrente non ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta: da un lato, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e il vizio di motivazione in relazione ai criteri adottati nella determinazione dell’indennizzo; dall’altro lato, la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 6, 13 e 41 della C.E.D.U. e 2 della L. 24 marzo 2001, n. 89; in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel riconoscergli una somma inferiore a quella risultante dall’applicazione del criterio generale di Euro 750 per i primi tre anni e di Euro 1.000 per i successivi di ritardo irragionevole, senza indicare le peculiarità della controversia in forza delle quali il predetto criterio avrebbe potuto essere derogato.

Il motivo è infondato. Va in proposito ribadito che “Nel rimeditare questa Corte il principio acquisito secondo il quale il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell’importo di Euro 750,00 per anno di ritardo (Cass. 8 luglio 2009 n.1608) per i primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e, per il periodo successivo, la soglia minima sale ad Euro 1.000,00 in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (così Cass. 14 ottobre 2009 n.21840; Cass. 30 luglio 2010 n.17922; Cass. 28 maggio 2012 n.8471), ha statuito la rilevanza della valutazione dell’entità della pretesa patrimoniale azionata (cd. posta in gioco), alla quale occorre procedere per accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche della parte richiedente, al fine di giustificare l’eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo” (Cass. Sez.6-2, Sentenza n.24927 del 24/11/2014, non massimata).

Non esiste quindi alcun obbligo, per il giudice di merito, di riconoscere per i primi tre anni la somma di Euro 750 e per i successivi la somma di Euro 1.000, trattandosi di parametri meramente indicativi che vanno applicati al caso concreto considerandone tutte le peculiarità e caratteristiche e che possono subire adeguamenti in aumento o diminuzione in funzione del principio generale di necessaria adeguatezza del risarcimento che viene riconosciuto rispetto al pregiudizio effettivamente subito dalla parte istante. Come reiteratamente affermato da questa Corte, non è irragionevole la determinazione del danno non patrimoniale in Euro 500 per ciascun anno di ritardo, quando anche in relazione alla cd. “posta in gioco” il giudice di merito ravvisi l’esigenza di evitare sovracompensazioni (Cass. Sez.6-2, Sentenza n.15117 del 17/07/2015; conformi, Cass. Sez.6-2, Sentenza n.24927 del 24/11/2014; Cass. Sez.6-2, Sentenza n.21524 del 10/10/2014 tutte non massimate).

Peraltro, la valutazione attinente la determinazione del quantum dell’indennizzo si sottrae al sindacato della S.C. laddove essa sia, come nel caso di specie, sostenuta da adeguata motivazione. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha determinato l’importo di Euro 500 per ciascun anno di irragionevole ritardo “considerato l’esito del giudizio e la sua natura” ed ha quindi deciso in coerenza con i principi posti da questa Corte.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 1282 c.c. perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna del Ministero al pagamento degli interessi dalla domanda.

Il motivo è fondato, posto che effettivamente il ricorrente aveva concluso anche invocando il riconoscimento dei predetti interessi e considerato che la Corte territoriale ha completamente omesso di pronunciarsi al riguardo.

Va in proposito considerato che “L’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura non già come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, giusta l’art.1173 c. c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, sicchè dal suo carattere indennitario discende che gli interessi legali decorrono, semprechè richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione e, quindi, in concreto, da quella di deposito del ricorso, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere d’incertezza ed illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n.22974 del 02/10/2017, Rv.645570; conf. Cass. Sez. 6-2, Sentenza n.26206 del 19/12/2016, Rv.641916).

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 30 dicembre 2012, n. 247, art. 13,comma 6 e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe liquidato le spese di lite in misura inferiore a quella risultante dall’applicazione dei valori medi di tariffa, riconoscendo al ricorrente una somma simbolica, in contrasto con l’interpretazione fatta propria da questa Corte con ordinanza n. 24492 del 2016 (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24492 del 30/11/2016, non massimata).

Il motivo è infondato in quanto non si ravvisa alcuna liquidazione simbolica delle spese di lite: in concreto, la Corte territoriale -secondo la stessa prospettazione offerta dal ricorrente- ha riconosciuto allo stesso, in luogo della somma di Euro 1.830 risultante dall’applicazione del valore medio di tariffa, la minor somma di Euro 915, pari alla metà dell’importo suindicato.

Il D.M. n. 55 del 2014, art. 4 prevede che ai fini della liquidazione delle spese processuali il giudice tenga conto “dei valori medi indicati dalle tabelle allegate che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione di regola fino al 70 per cento”. I parametri generali sono da individuare in quelli indicati in apertura della norma in esame, ovverosia nelle caratteristiche, nell’urgenza e nel pregio dell’attività prestata, nell’importanza, nella natura, nella difficoltà e nel valore dell’affare, nelle condizioni soggettive del cliente, nel risultato conseguito, nel numero e nella complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.

Le tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014, a loro volta, non indicano valori minimi e massimi, ma piuttosto un parametro di riferimento medio, che se da un lato – come questa Corte ha già affermato – non costituisce un vincolo alla determinazione delle spese processuali (Cass. Sez.6-L, Ordinanza n.2386 del 31/01/2017, Rv.642544; Cass. sez.6-3, Ordinanza n.26608 del 09/11/2017, Rv.646828; Cass. Sez.6-3, Ordinanza n.29606 dell’11/12/2017, Rv.647183) tuttavia rappresenta, nel sistema delineato dal citato D.M. n. 55 del 2014, un criterio di massima dal quale il giudice si può discostare nei limiti indicati dall’art. 4 decreto, tenendo conto degli elementi ivi indicati e fornendo adeguata motivazione.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha riconosciuto al ricorrente l’importo di Euro 915,00 risultante dall’applicazione della percentuale di riduzione del 50% rispetto al valore medio di tariffa (che lo stesso ricorrente indica pari ad Euro 1.830,00).

La Corte ritiene -in conformità con quanto già deciso con ordinanza n. 17667 del 2018 (Cass. Sez.2, Ordinanza n.17667 del 05/07/2018, non massimata) – che l’espressione “di regola” contenuta nel richiamato art. 4 abbia un duplice significato. Da un lato, essa conferma il potere-dovere del giudice di determinare le spese processuali, all’interno degli ordinari limiti minimo e massimo previsti dalla norma, facendo riferimento ai parametri generali indicati in apertura della disposizione. Dall’altro lato essa impone, soltanto per l’eventualità in cui il giudice ritenga di superare i predetti limiti ordinari di aumento e diminuzione, l’adozione di una specifica motivazione.

Di conseguenza la censura va respinta, posto che nel caso di specie l’esercizio del potere riduttivo risulta contenuto nel limite “di regola” stabilito dalla norma.

In definitiva, respinti il primo e il terzo motivo, va accolto il secondo, con decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e riconoscimento, in favore del ricorrente, degli interessi sulla somma liquidata dalla Corte di Appello a decorrere dalla domanda giudiziale.

L’esito complessivo del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese del presente grado.

P.Q.M.

la Corte respinge il primo e il terzo motivo; accoglie il secondo; cassa il provvedimento impugnato, nei limiti della censura accolta e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere al ricorrente, sulla somma determinata dalla Corte di Appello, gli interessi legali dalla domanda al saldo.

Conferma la statuizione sulle spese operata dal giudice di merito e compensa per intero quelle del presente grado di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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