Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29445 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 23/12/2020), n.29445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 534/2020 proposto da:

Z.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’ avvocato ASSUNTA FICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE presso la PREFETTURA

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CROTONE, in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

13/11/2019 R.G.N. 3746/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con decreto n. 3417/2019 il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’impugnazione proposta da Z.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la C.T. aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione, sussidiaria e umanitaria;

2. l’odierno ricorrente ha motivato la necessità di allontanamento dal paese di origine con la minaccia di morte da parte del padre di una donna che un giorno, mentre egli espletava la sua attività di autista, gli aveva chiesto di scendere dall’autobus e non aveva più fatto ritorno presso la propria abitazione; il padre della donna lo aveva, infatti, ritenuto responsabile del rapimento della figlia ed alcuni giorni dopo, colpi di arma da fuoco venivano indirizzati verso l’abitazione del ricorrente mentre lui si trovava altrove; in seguito, quando già si era dato alla fuga e si trovava in Turchia, aveva appreso che la donna era stata uccisa da ignoti e temeva pertanto di essere a sua volta ucciso dal padre della ragazza una volta rientrato in patria;

3. ha ritenuto il Tribunale di condividere la valutazione della C.T. in merito alla non credibilità del complessivo racconto del ricorrente caratterizzato da elementi di contraddittorietà ed implausibilità: l’aspirante alla protezione non aveva assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante relativo al rischio al quale sarebbe stato esposto in caso di rientro in Pakistan. Ciò sia con riguardo alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia con riguardo alla protezione sussidiaria; era mancata, infatti, una precisa allegazione in ordine alla pericolosità della zona di provenienza, nè questa risultava interessata, alla stregua delle notizie disponibili, da una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno; in merito alla protezione umanitaria non erano state allegate nello specifico situazioni di “vulnerabilità ” o altre gravi ragioni di protezione; nè tale riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari poteva essere surrogata dalla situazione generale del Paese di origine perchè in tale modo non si sarebbe finito per prendere in considerazioni la particolare situazione del soggetto al fine della valutazione di vulnerabilità; infine, la documentazione prodotta relativa ad un contratto di lavoro a tempo determinato non era sufficiente a dimostrare l’adeguato grado di integrazione raggiunto nel nostro paese integrazione che richiedeva la prova di un radicamento effettivo e, comunque, di per sè sola insufficiente a determinare una situazione di vulnerabilità giustificativa della protezione umanitaria; nel caso di specie la esistenza di tale integrazione era positivamente esclusa dal fatto che il colloquio si era svolto in lingua urdi, che non erano stati prodotti certificati di alfabetizzazione nè documentata un contratto di alloggio stabile;

4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Z.M. sulla base di tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto tardivo di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea, dell’art. 6 e dell’art. 46, comma 3, della Direttiva n. 2013/32, censurando la decisione per avere disatteso la richiesta istruttoria formulata nell’atto introduttivo in ordine all’audizione personale della parte. Osserva che proprio l’audizione del ricorrente avrebbe consentito di fugare i dubbi concernenti le contestazioni effettuate in sede amministrativa e di verificare il livello di integrazione, la conoscenza della lingua, la situazione alloggiativa e comunque le attuali condizioni di vita in Italia;

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8-27, censurando il rigetto della domanda di protezione internazionale e sussidiaria che assume non giustificato dall’adeguato approfondimento istruttorio relativo al pericolo per la incolumità del ricorrente una volta rientrato in patria; a tal fine richiama i report che denunziano il diffuso clima di corruzione e lo stato pietoso delle Forze dell’Ordine;

3. con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, dolendosi della mancata comparazione, ai fini della verifica dei presupposti per la concessione della tutela umanitaria, tra l’integrazione sociale e la situazione personale del richiedente; si duole, in particolare, che la verifica dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria con particolare riguardo alla integrazione fosse stata effettuata in modo generico ed impersonale senza soffermarsi sul percorso integrativo intrapreso e senza considerare che in patria il ricorrente non potrebbe beneficiare di alcuna forma di protezione da parte delle istituzioni del Paese di origine;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

5. il giudice di merito, considerata la natura della vicenda allegata e l’esaustività dell’audizione effettuata in sede amministrativa ha ritenuto di non procedere all’audizione giudiziale del ricorrente ed evidenziato che questi non era comparso all’udienza fissata per la comparizione delle parti senza addurre alcun impedimento e senza che il relativo difensore insistesse per la sua audizione richiesta nel ricorso introduttivo; ha ritenuto che in tal modo il ricorrente avesse implicitamente rinunziato all’audizione (decreto, pag. 2, primo capoverso);

5.1. la censura articolata in punto di mancata audizione non si confronta specificamente con le ragioni alla base del rigetto della richiesta di audizione del ricorrente ed in particolare nulla adduce per confutare l’affermazione del Tribunale circa la mancata presentazione all’udienza di comparizione e circa la configurabilità nella condotta del ricorrente e del suo difensore, di una implicita rinunzia ad essere sentito;

6. il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile per difetto di pertinenza con le effettive ragioni alla base della decisione impugnata;

6.1. il Tribunale, premesso che la intrinseca inattendibilità del racconto, quando si tratta di provare un rischio specifico legato alla particolare condizione personale del richiedente asilo, costituisce ragione sufficiente per negare la protezione sussidiaria dato che essa, come chiarito dal giudice di legittimità, deve poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto legate alla situazione concreta ed individuale del ricorrente, ha osservato che questi, nel corso dell’audizione davanti alla C.T. non aveva rappresentato di essere esposto al rischio configurato nell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nè alcuna specifica allegazione risultava dall’esame degli atti di parte (che facevano riferimento alla condizione generale del Paese del richiedente) in ordine alla pericolosità della zona di provenienza; ha quindi osservato che sulla base delle informazioni acquisite il Punjab, paese di provenienza del richiedente asilo, non era interessato complessivamente da una generalizzata situazione di violenza armata;

6.2. parte ricorrente, nella illustrazione del motivo, si limita a prospettare l’assenza di adeguato approfondimento istruttorio senza confrontarsi sia con la rilevata carenza di allegazione relativa al rischio specifico connesso alla situazione del ricorrente sia con la circostanza che, comunque, il Tribunale ha fatto riferimento a puntuali informazioni tratte da fonti specificamente identificate alla stregua delle quali ha ritenuto insussistente un livello di violenza generalizzata nella regione di provenienza del richiedente asilo; le ulteriori deduzioni articolate si rivelano oltremodo generiche in quanto a fronte di una vicenda a connotazione meramente privata quale quella narrata dal ricorrente, nulla deducono onde dimostrare che essa aveva generato, in caso di ritorno in patria, un effettivo pericolo per il richiedente asilo e tantomeno chiariscono le ragioni del mancato ricorso all’autorità statuale del paese di provenienza onde ricevere protezione a fronte delle minacce di altra parte privata;

7. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per la inidoneità delle censure articolate alla valida impugnazione della decisione di rigetto della domanda di protezione umanitaria. Invero la valutazione relativa all’assenza di un’integrazione nel territorio italiano da parte del Tribunale costituisce frutto di apprezzamento di fatto che è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove, come nel caso di specie logicamente e congruamente argomentato; la rilevata assenza di circostanze fattuali idonee ad esprimere un effettivo radicamento nel territorio italiano del richiedente asilo non risulta incrinata dalle deduzioni del ricorrente che si limitano a contrapporre all’accertamento del giudice di merito la possibilità di una diversa ricostruzione fattuale all’esito dell’audizione, ma non specificano se ed in che termini le circostanze richiamate a supporto di una differente valutazione del radicamento in Italia (trasformazione dell’originario rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, conoscenza della lingua italiana, esistenza di una situazione alloggiativa stabile) risultavano comunque acquisite agli atti del giudizio;

8. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

9. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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