Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29444 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. II, 15/11/2018, (ud. 06/06/2018, dep. 15/11/2018), n.29444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27920-2014 proposto da:

B.M., B.G.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, CORSO TRIESTE 150, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

ARMANDOLA, che li rappresenta difende unitamente all’avvocato PIER

LUIGI MILANI;

– ricorrenti –

contro

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL

GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO RAFFAGLIO;

– controricorrente –

e contro

C.C., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 547/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2018 dal Consigliere ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 23 aprile 2014, ha accolto l’appello incidentale proposto da M.M., in qualità di erede di Bo.An., e rigettato l’appello principale proposto da B.M. e B.G.P. avverso la sentenza del Tribunale di Brescia-sezione distaccata di Breno n. 74 del 2007.

1.1. Il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda proposta da Bo.An. – di eliminazione di opere abusive e risarcimento danni – e, per l’effetto, aveva condannato i convenuti B. a demolire il balcone posto al secondo piano del loro edificio (mappale (OMISSIS)) per violazione dell’art. 905 c.c., aveva dichiarato cessata la materia del contendere con riferimento alla domanda di ripristino della fossa biologica e rigettato le ulteriori domande dell’attore. In accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai B., il Tribunale aveva accertato che il cortile di cui al mappale (OMISSIS) era di proprietà comune.

2. La Corte d’appello ha riformato la decisione.

Rigettati i motivi di gravame con i quali i consorti B. contestavano la legittimazione attiva dell’attore e la tardività di parte della domanda di riduzione in pristino, e confermata la condanna alla riduzione in pristino dei balconi, la Corte territoriale ha ritenuto, nell’ordine: a) che i dati acquisiti dal CTU, in particolare la comunicazione dell’Agenzia del territorio, evidenziavano che il mappale (OMISSIS) non identificava una parte comune a più soggetti bensì un terreno intestato a più soggetti, e tra questi non figuravano i convenuti B., nè vi era prova dell’acquisto del diritto di proprietà a titolo originario, per usucapione; b) che era fondata la domanda attorea di riduzione in pristino delle aperture poste nel sottotetto dell’edificio di proprietà B., della fossa biologica, dell’ampliamento della scala e della terrazza dell’abitazione B..

3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso B.M. e B.G.P., sulla base di sei motivi, ai quali ha resistito, con controricorso, M.M.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

1.2. Con il primo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalla carenza di titolarità, in capo all’originario attore Bo., della proprietà o comproprietà del cortile di cui al mappale (OMISSIS), e della conseguente carenza di legittimazione attiva a rivendicare la proprietà o comproprietà del terreno e a chiedere la riduzione in pristino delle opere realizzate dai convenuti B..

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi riguardanti la comproprietà del cortile e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento alla mancata ammissione delle prove.

3. Con il terzo motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame del fatto decisivo della preclusione processuale di cui al secondo motivo dell’appello principale.

4. Con il quarto motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3, omesso esame del fatto decisivo consistito nella “non interferenza” delle aperture e degli sporti realizzati dai convenuti B. sull’utilizzo attuale e potenziale del cortile comune da parte degli altri comproprietari, e violazione dell’art. 1102 c.c., nonchè omesso esame del fatto decisivo concernente le aperture realizzate nel sottotetto dell’edificio di proprietà B., e violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c..

5. Con il quinto motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo riguardo sia alla prova dell’ampliamento della scala e dell’avanzamento della ringhiera del terrazzo, sia alla questione della eliminazione della fossa biologica, nonchè violazione dell’art. 2697 c.c..

6. Con il sesto motivo, che denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., i ricorrenti chiedono che sia loro riconosciuto il favore delle spese in via consequenziale all’accoglimento del ricorso.

7. I motivi dal primo al quinto risultano tutti egualmente inammissibili nella parte in cui denunciano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, al di fuori del paradigma enucleato da questa Corte a partire dalla sentenza delle Sezioni unite n. 8053 del 2014, e nella parte in cui, pur prospettando violazione di legge, sollecitano in realtà il riesame del materiale probatorio.

7.1. L’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. dalla L. n. 134 del 2012 – applicabile ratione temporis al presente ricorso – ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

7.2. Le doglianze prospettate dai ricorrenti non rispondono ai requisiti prescritti dalla giurisprudenza richiamata perchè assumono nella nozione di fatto, il cui esame sarebbe mancato, un punto o un profilo giuridico.

Così è per la questione della titolarità del diritto di proprietà/comproprietà del cortile di cui al mappale (OMISSIS) in capo al Bo., e quindi all’erede M. (primo motivo), che la Corte d’appello ha risolto escludendo che si vertesse in tema di azione di rivendica (bensì di negatoria servitutis), donde la sufficienza della documentazione acquisita. Sia la qualificazione della domanda sia la valutazione del materiale probatorio non sono sussumibili nell’accezione storico-fenomenica della nozione di fatto.

Analogamente è a dirsi per la questione della comproprietà del cortile di cui al mappale (OMISSIS) (secondo motivo), che la Corte d’appello ha risolto sulla base della valutazione del materiale acquisito. Premesso che l’apprezzamento delle prove costituisce prerogativa del giudice di merito, non sindacabile in questa sede (ex plurimis, Cass. 10/06/2016, n. 11892), i ricorrenti non indicano alcun fatto storico, di portata decisiva, il cui esame sarebbe stato omesso, e neppure riportano il contenuto delle prove richieste in via subordinata e non ammesse, con conseguente inammissibilità della relativa doglianza per violazione del principio di specificità (ex plurimis, Cass. 10/08/2017, n. 19985).

Palesemente non sussumibile nello schema dell’omesso esame di fatto storico decisivo è la questione prospettata con il terzo motivo di ricorso, del mancato esame del secondo motivo dell’appello principale, denunciabile semmai come violazione dell’art. 112 c.p.c., mentre la questione prospettata con il quarto motivo – se le aperture e gli sporti realizzati dai B. interferiscano con l’uso attuale e potenziale del cortile da parte degli altri comproprietari, anche ai sensi dell’art. 1102 c.c. – neppure attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’appello, diversamente dal Tribunale, ha escluso che il cortile di cui al mappale (OMISSIS) sia comune ai B., e perciò neppure poteva porsi il tema dell’uso più intenso della cosa comune.

7.3. Le questioni prospettate con il quinto motivo non riguardano, ancora un volta, fatti storici decisivi di cui sarebbe stato pretermesso l’esame, e si risolvono nella sollecitazione di un nuovo esame del materiale probatorio, anche sotto il profilo della idoneità delle prove assunte in appello a superare le lacune istruttorie rilevate dal giudice di primo grado. Si tratta di attività estranea al sindacato di legittimità, posto che la valutazione delle risultanze delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (ex plurimis, Cass. 23/05/2014, n. 11511).

7.4. L’inammissibilità dei primi cinque motivi di ricorso comporta l’assorbimento del sesto motivo, espressamente condizionato, e la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, nella misura indicata in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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