Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29439 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 23/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 23/12/2020), n.29439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 511/2020 proposto da:

B.M.K., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA CAMPRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, anche per la COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 28/11/2019

R.G.N. 7344/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Bologna, con decreto del 28.11.2019, rigettava il ricorso in opposizione proposto da B.M.K., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento alla Commissione Territoriale di Bologna che gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione, tra le quali il permesso di soggiorno per motivi umanitari, richiesto in subordine;

2. il Tribunale evidenziava l’insussistenza dei presupposti di legge sia per lo stato di rifugiato, che per la protezione sussidiaria, alla luce dei fatti narrati, che denotavano un grado di inattendibilità intrinseca, che non consentiva di ritenere concreto il pericolo, in caso di rientro nel paese di origine, di subire persecuzioni nei termini e per i motivi contemplati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 o una delle forme di danno grave alla persona individuate dall’art. 14, lett. a) e b) del medesimo Decreto;

3. quanto alla situazione di violenza generalizzata, rilevante ai fini dell’art. 14, lett. c) del D.Lgs. menzionato, l’esame delle recenti e accreditate COI non aveva evidenziato in Bangladesh alcun tipo di conflitto armato in corso idoneo a determinare il conseguente rischio per l’istante di subire una qualche minaccia ed a porre in serio pericolo l’incolumità della popolazione civile;

4. con riguardo alla domanda di protezione umanitaria, era necessaria la valutazione della situazione oggettiva del paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che aveva integrato la ragione della partenza, ed era indispensabile ai fini richiesti la configurabilità di una condizione di vulnerabilità effettiva o, comunque, di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani riferibili alle condizioni ed alla vicenda personale del richiedente: nella specie ciò non aveva trovato riscontro ed anche la comparazione tra il livello di integrazione raggiunto nel paese di destinazione e la situazione prospettabile in caso di rientro in patria non giustificava la richiesta avanzata, non essendo stato allegato che la condizione di difficoltà economica avesse caratteristiche tali da far ritenere che, in caso di rientro nel paese di origine, il richiedente avrebbe dovuto affrontare seri pericoli per la sua stessa sopravvivenza. Non erano state, infine, allegate ragioni ostative collegate alla permanenza nel paese di transito – Libia – (sotto il profilo psico-fisico) tali da assumere rilevo per la valutazione di profili di vulnerabilità a ciò conseguenti;

5. di tale decisione domanda la cassazione B.M.K., affidando l’impugnazione a tre motivi di impugnazione;

6. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, assumendo, con riguardo alla procedimentalizzazione legale della decisione in tema di credibilità del richiedente, che il Tribunale non avrebbe valutato le conseguenze, debitamente prospettate nel ricorso introduttivo, connesse all’avvenuta inondazione della regione di provenienza ed al mancato pagamento del debito che avrebbe esposto il B. al rischio di una sostanziale riduzione in schiavitù;

2. con il secondo motivo, si duole della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2 e art. 14, lett. b), in relazione alla mancata valutazione della paventata possibilità di riduzione in schiavitù per debito, in caso di rientro nel paese di origine, e del rischio di patire trattamenti inumani e/o degradanti in relazione alla condizione della regione di provenienza, in particolare evidenziando che sulla sussistenza del fenomeno della riduzione in schiavitù il Tribunale avrebbe dovuto richiedere informazioni precise alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo nonchè al Ministero per gli affari esteri;

3. i primi due motivi vanno trattati congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto;

3.1. il Tribunale ha escluso che il richiedente avesse prospettato motivi di persecuzione e pertanto la valutazione è stata conforme ai criteri indicati nella norma richiamata;

3.2. questo Collegio condivide l’orientamento recentemente espresso da questa Corte in difformità dal principio secondo il quale le dichiarazioni del richiedente asilo giudicate inattendibili non consentirebbero, comunque, un approfondimento istruttorio officioso: si è affermato (Cass. n. 10286 del 2020, n. 8819 del 2020, n. 2954 del 2020 e n. 3016 del 2019) che il suddetto principio “vada opportunamente precisato e circoscritto, nel senso che esso vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)” – e ciò qualora, va ulteriormente specificato, la mancanza di tali presupposti emerga ex actis. Di converso, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria “una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)” (sent. cit.);

3.3. nel caso in esame, tuttavia, il Tribunale ha motivatamente argomentato il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, quanto alle ipotesi di cui dell’art. 14 cit., lett. a) e b), evidenziando la mancanza di elementi di dettaglio idonei a contestualizzare i fatti narrati ed a dare concretezza alla vicenda narrata, ciò che precludeva, in ragione della situazione specifica – che non era quella di non potere il richiedente fornire riscontri probatori, ma di carenza riferibile alla stessa narrazione degli episodi – di dispiegare ogni intervento istruttorio officioso;

3.4. in tema di protezione internazionale, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. E’ stato precisato che detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (cfr., da ultima, ex aliis, Cass. 9.7.2020 n. 14674);

4. con il terzo motivo, è dedotta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32), enunciandosi una serie di elementi, quali le frequenti inondazioni, l’instabilità politica del paese come asseritamente documentata, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento lavorativo di cui il richiedente sarebbe stato vittima, il tempo trascorso dalla sua partenza, i rischi legati al fenomeno della riduzione in schiavitù, la mancanza di un alloggio, indicativi di una situazione di vulnerabilità che il Tribunale aveva ritenuto insussistente;

4.1. occorre premettere che, in tema di protezione umanitaria, interessata dal recente intervento modificativo di cui al D.L. n. 113 del 2018, conv. in L. n. 132 del 2018, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno innanzitutto chiarito che il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto D.L.;

4.2. le Sezioni Unite, invero, con la sentenza poc’anzi citata, hanno definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte):

1) che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano;

2) che gli interessi protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096);

3) che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione (conformi successive, Cass. nn. 2563, 2964, 3776, 3780, 5584, 7599 7675, 7809, 8232, 8819, 8020 del 2020);

4.3. quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 2007, lett. c), sulla scorta delle informazioni acquisite tramite C.O.I., la sentenza impugnata ha dato conto analiticamente delle fonti informative utilizzate e pertanto ha rispettato l’onere, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di avere riguardo alle “fonti informative privilegiate”, di specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (in tali termini, cfr. Cass. n. 13449 del 2019; v. pure Cass. 11096 e 13897 del 2019);

4.4. per il resto, questa Corte ha chiarito (v. Cass. n. 4455 del 2018 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza; seppure il livello di integrazione raggiunto in Italia non costituisca un dato valutabile isolatamente ed astrattamente, esso certamente concorre nel contesto di una valutazione comparativa tra integrazione sociale raggiunta in Italia e situazione del Paese di origine (cfr. Cass. S.U. n. 29459/2019 cit.); trattasi di valutazione rimessa al giudice di merito, cui compete tale raffronto con i dati disponibili al momento in cui è chiamato a decidere e dunque all’attualità;

4.5. tanto premesso, va rilevato che il Tribunale non ha negato che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha invece escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili all’istante;

4.6. i giudici di merito non hanno mancato di operare una valutazione comparativa, ma hanno rilevato che le allegazioni del ricorrente quanto alla sua integrazione, riferita allo studio della lingua italiana ed allo svolgimento di attività lavorativa, pur meritevoli di considerazione, non potevano fondare i presupposti per ritenere sussistente il diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo, secondo il Tribunale, il ricorrente riferito che la difficoltà economica avesse caratteristiche di indigenza o tali da prefigurare, in caso di rimpatrio, seri pericoli per la sua sopravvivenza;

4.7. nel censurare l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, il ricorrente non è in grado di evidenziare circostanze di fatto sottoposte al dibattito processuale e trascurate dalla sentenza impugnata, ma si limita ad indicare una serie di circostanze ed a rinviare alla documentazione prodotta, in tal modo sollecitando una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto da un lato la possibilità di estendere il vizio in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo del provvedimento (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014);

4.8. infine, il fatto che in un Paese di transito (nella specie, la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, è irrilevante ove non sia evidenziato dal richiedente asilo quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (Cass. n. 2861 del 2018 e n. 31676 del 2018);

4.9. per altro verso, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, ove potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), sempre in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096 del 2019; v. pure Cass. n. 10622 del 2020);

5. pertanto, il ricorso va complessivamente respinto;

6. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il Ministero svolto alcuna attività difensiva;

7. le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10, sicchè al rigetto del corrispondente ricorso per cassazione consegue il raddoppio di detto contributo (cfr. Cass. 8.2.2017 n. 3305).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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