Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29439 del 07/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/12/2017, (ud. 20/09/2017, dep.07/12/2017),  n. 29439

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Milano del 18 settembre 2007 la società LEO BURNETT COMPANY (in prosieguo: LEO BURNETT) Srl agiva nei confronti del dottor F.A., già dipendente della società con qualifica di dirigente, per la sua condanna (in via solidale con il dirigente della società dottor P.M., verso cui si agiva separatamente) al risarcimento dei danni (Euro 531.976,34 e US 100.000) cagionati, durante l’intercorso rapporto di lavoro, alla società ARC srl, controllata al 100% dalla ricorrente.

Esponeva essere emersi, dopo la risoluzione del rapporto di lavoro del F., gravi inadempimenti a carico del dottor P.M., distaccato presso ARC srl, di cui il dottor F. era corresponsabile, come dal documento a sua firma denominato “dichiarazione a futura memoria” (documento nr. 4 in primo grado).

Non era preclusiva la conciliazione sindacale intervenuta con il dottor F. il 26.7.2005, in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro (doc.1); le parti avevano fatti salvi nell’accordo transattivo eventuali comportamenti dolosi accertati in conclusione di un giudizio nonchè gli atti od omissioni compiuti dal F. nello svolgimento delle attività per le società del gruppo “PUBBLICIS” non noti all’atto della stipula dell’accordo.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 24 giugno 2009 (numero 2703/2009), rigettava la domanda, sul rilievo che la società ricorrente non aveva titolo per il risarcimento dei danni subiti da un soggetto giuridico diverso, la società ARC Srl.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 16.11.2011/2.4.2012 (numero 1281/2012), respingeva l’appello della società.

La corte territoriale osservava che soltanto nel grado di appello la società aveva esercitato la azione di regresso, fondata sul fatto di avere reintegrato, come socio unico, il capitale sociale di ARC srl.

Il ricorso di primo grado, invece, era fondato sul danno diretto della società LEO BURNETT, come datrice di lavoro del F.;

correttamente, dunque, il Tribunale aveva evidenziato che la società ARC era l’unica a poter reclamare i danni, derivanti da attività compiute dal F. per suo conto.

In ogni caso, non vi era la prova che gli inadempimenti del P. fossero attribuibili anche ad una condotta dolosa del F. mentre il dolo era una condizione necessaria per la sua responsabilità per quanto previsto dalla conciliazione tra le parti in sede sindacale. Il documento sottoscritto dal F., denominato “dichiarazione a futura memoria”, forniva la prova unicamente del fatto che egli fosse a conoscenza delle operazioni compiute dal P.. Doveva altresì evidenziarsi la confusione nella allegazione del titolo di responsabilità del F., non essendo chiaro se egli fosse chiamato a rispondere come dirigente di LEO BURNETT o come consigliere delegato di ARC.

Da ultimo, pur a volere ritenere ammissibile la azione di regresso, la legittimazione della società LEO BURNETT avrebbe richiesto la prova, prima della introduzione del giudizio, della illiceità della condotta del F. e del danno di ARC, di cui la società LEO BURNETT fosse stata chiamata a rispondere.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società LEO BURNETT srl, articolato in cinque motivi.

Ha resistito con controricorso F.A..

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere esaminata la questione di inammissibilità ed infondatezza del presente ricorso opposta dal F. in ragione della conciliazione che la società qui ricorrente raggiungeva con il dott. P.M. nel giudizio che li vedeva contraddittori.

Il controricorrente invoca, in sostanza, l’effetto espansivo della transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, come disciplinato dall’art. 1304 c.c..

Rileva il collegio che appare pregiudiziale la inammissibilità della produzione in questa sede del documento.

Il verbale di conciliazione, prodotto con il controricorso, è datato 27 febbraio 2010; la transazione risulta dunque intervenuta allorchè l’attuale giudizio era in corso di appello (la sentenza d’appello è del 16.11.2011) seppur nell’ambito della diversa vertenza tra la società LEO BURNETT ed il coobbligato dott. P.M..

Viene dunque in rilievo la giurisprudenza di questa Corte (Cassazione civile, sez. 2^, 13/02/1987, n. 1581, non contraddetta dalla giurisprudenza successiva) secondo cui la produzione di un documento dal quale risulti che le parti hanno transatto la lite deve ritenersi consentita in sede di legittimità, a norma dell’art. 372 c.p.c., sempre che si tratti di un atto successivo alla fase di merito, di tal che l’atto sia diretto a dimostrare una sopraggiunta carenza di interesse alla impugnazione mentre qualora l’atto poteva e doveva essere prodotto nella fase di merito, la sua produzione dinanzi alla Suprema Corte non può essere ammessa (in applicazione della regola generale che vieta la produzione di nuovi documenti in sede di legittimità).

Certamente nella applicazione del richiamato principio deve tenersi conto del fatto che la parte qui controricorrente, che intende profittare di un negozio di transazione al quale era estranea, poteva legittimamente non essere a conoscenza del documento nella fase di merito. Tuttavia tale circostanza doveva essere veicolata a questa Corte attraverso l’istituto della rimessione in termini (per la produzione) e cioè allegando (e provando) a tal fine il preciso momento storico di conoscenza e le modalità di acquisizione del documento.

La parte controricorrente assume invece, con inammissibile genericità, di avere avuto notizia della conciliazione “solo ora” ed “a seguito di informazione ricevuta dal dott. P.” (così nel controricorso).

Deve dunque procedersi all’esame dei motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura afferisce alla statuizione di novità dell’azione di regresso svolta in appello nei confronti del F., fondata sulla ricapitalizzazione della controllata ARC srl, che per la perdita di esercizio riportata nell’anno 2005 e derivata dalla condotta del F. aveva perso integralmente il capitale sociale.

La società ricorrente ha esposto di avere allegato sin dall’atto introduttivo del giudizio (punti 2, 6, 7, 8, 9 del ricorso introduttivo; pagine 2 nonchè 19 e seguenti del ricorso di primo grado) che il F., in concorso con il dipendente P., aveva depauperato la società ARC e che il danno subito era consistito nella ricapitalizzazione della ARC, alla quale era stata costretta in qualità di socio unico.

La ricorrente ha altresì denunziato la contraddittorietà della motivazione della sentenza, che aveva comunque ipotizzato nel passaggio finale la qualificazione della azione in termini di regresso, respingendola sotto un diverso profilo.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,189,190,345 e 437 c.p.c..

Ha lamentato la omessa pronunzia sull’azione di regresso, òesercitata sin dall’atto introduttivo del giudizio seppur non espressamente qualificata come tale.

Ha dedotto altresì la violazione del disposto dell’art. 345 c.p.c., in ragione della erronea dichiarazione di novità della causa petendi.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente ha censurato la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo ha ad oggetto la statuizione di mancanza di prova di una condotta dolosa del F..

Si denunzia l’errore commesso dalla Corte di merito nell’interpretare la conciliazione sindacale intervenuta tra le parti di causa all’atto della cessazione del rapporto di lavoro (il 26 luglio 2005); la ricorrente ha dedotto che sulla base della conciliazione il F. poteva essere chiamato a rispondere non solo dei comportamenti dolosi ma anche per i semplici inadempimenti colposi, purchè non noti al datore di lavoro al momento della stipula della transazione.

Nella fattispecie di causa la prova dell’inadempimento derivava dalla “dichiarazione a futura memoria” sottoscritta dal F., con la quale egli si assumeva la responsabilità degli addebiti mossi al P. (salvo che per un unico addebito).

La ricorrente ha aggiunto che il dubbio della Corte territoriale circa il titolo di responsabilità del F. azionato era infondato: era chiaro che egli era stato chiamato a rispondere come suo dipendente e non nella qualità di amministratore della società controllata ARC (come dal ricorso in appello, pagina 2,punto 1; pagina 3, punto 1; pagina 5, punto 3, pagina 25, numero 6). La stessa sentenza impugnata dava atto che nel ricorso in appello non veniva invocato l’articolo 2475 del codice civile (sul quale poteva fondarsi la responsabilità del F. quale amministratore delegato).

4. Con il quarto motivo la società ricorrente ha lamentato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1367 e 1371 c.c., nonchè degli artt. 112,113,132 e 437 c.p.c..

Il motivo egualmente coglie la statuizione sulla mancanza di chiarezza della causa petendi (se derivante dal rapporto di lavoro dipendente o dalla carica di consigliere delegato di ARC).

La società ha denunziato il vizio di interpretazione della domanda e la conseguente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato.

5. Con il quinto motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1367 e 1371 c.c., e degli artt. 31 e 112 c.p.c..

Oggetto di censura è la statuizione della Corte di merito con la quale si assume che – anche a voler qualificare l’azione in termini di regresso – sarebbe stata necessaria, ai fini della legittimazione attiva della società (in sentenza, per errore materiale, legittimazione passiva), la prova, prima dell’introduzione del giudizio: della illiceità della condotta del F.; del danno di ARC; del fatto che la società LEO BURNETT fosse stata chiamata a risponderne.

La società ricorrente ha dedotto il vizio di interpretazione del verbale di conciliazione sindacale del 26:7.2005.

Il giudice del merito erroneamente avrebbe ritenuto necessario l’accertamento preventivo, in altro giudizio, della illiceità della condotta del F.; la transazione intervenuta tra le parti non richiedeva un previo accertamento del dolo, essendo parimenti rilevanti gli inadempimenti colposi del F. non noti al momento dell’accordo.

Non era comunque configurabile una condizione di procedibilità della domanda, ben potendo compiersi in un unico giudizio il contestuale accertamento sia della illiceità che del danno.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi.

Per chiarezza espositiva giova premettere che il giudice del primo grado ha rigettato la domanda della società LEO BURNETT affermando che la società, per quanto da essa stessa allegato, non aveva subito danni diretti dalla condotta del F..

In appello tale statuizione non veniva contestata dalla società; piuttosto l’appellante dichiarava di avere esercitato una azione di regresso nei confronti del F..

La sentenza impugnata, dunque, si è pronunziata sulla azione di regresso, di cui anche in questa sede esclusivamente si tratta.

La statuizione d’appello ha respinto la domanda di regresso sulla base di più rationes decidendi, così riassumibili:

– La azione era nuova poichè nel primo grado si allegava solo un danno diretto del datore di lavoro: tale statuizione è aggredita dal primo e dal secondo motivo di ricorso, rispettivamente qualificati in termini di vizio della motivazione e di errore di diritto;

– La conciliazione sindacale intervenuta tra le parti di causa alla cessazione del rapporto di lavoro copriva ogni questione, salvo i comportamenti dolosi del F. e non vi erano elementi di prova del dolo: tale statuizione è impugnata con il terzo motivo di ricorso per vizio della motivazione;

– Non era chiaro se la società avesse esercitato la azione sulla base del rapporto di lavoro dipendente del F. ovvero della sua carica di amministratore delegato della controllata ARC: tale statuizione è investita dal terzo nonchè dal quarto motivo di ricorso, rispettivamente sotto il profilo del vizio della motivazione e dell’errore di diritto;

Anche a voler ritenere ammissibile una azione di regresso derivante dal rapporto di lavoro dipendente, sarebbe stata necessaria ai fini della legittimazione di LEO BURNETT provare, prima della introduzione della causa, “l’illiceità della condotta (del) F. e il conseguente danno nei confronti di ARC, danno che Leo Burnett fosse stata chiamata a risarcire” (così in sentenza): tale ratio decidendi è oggetto del quinto motivo di ricorso, con il quale si denunzia tanto il vizio di motivazione che l’errore di diritto.

Il ricorso investe tutte le rationes decidendi della sentenza; deve dunque superarsi la eccezione di inammissibilità per difetto di interesse opposta al riguardo dal controricorrente.

In via preliminare deve essere rilevata la infondatezza del secondo motivo, nella parte in cui si assume il vizio di omessa pronunzia sulla azione di regresso.

Il giudice dell’appello, infatti, non ha omesso la pronunzia sulla domanda di regresso, avendola compiutamente esaminata (sia con il dichiararne la novità sia, comunque, rigettandola sotto più profili, tra i quali il difetto di legittimazione).

Osserva il collegio che appare decisiva la infondatezza del quinto motivo.

La statuizione della carenza di legittimazione attiva di LEO BURNETT alla azione di regresso (in sentenza, per errore materiale, legittimazione passiva) sebbene contenuta nella parte finale della sentenza è infatti logicamente preliminare rispetto ad ogni rilievo di merito.

Parte ricorrente impropriamente ritiene che la decisione derivi da un vizio di interpretazione della conciliazione sindacale intervenuta tra le parti di causa il 26 luglio 2005; al contrario la conciliazione è estranea alla ratio della statuizione, nella quale, infatti, non viene in alcun modo richiamata. La Corte di merito ha, piuttosto, affermato, che ai fini della legittimazione di LEO BURNETT al regresso occorreva che essa dimostrasse di essere stata chiamata da ARC, soggetto danneggiato in via diretta, a rispondere del danno provocato dalla condotta del suo dipendente (il F.), secondo il meccanismo previsto dall’art. 2049 c.c..

Tale ragione della decisione non è dunque fondata, come si è detto, sul verbale di conciliazione, come si ritiene in ricorso, ma sulla disciplina del regresso.

A volere superare i dubbi di ammissibilità del motivo, ne va rilevata comunque la infondatezza.

Il diritto e la azione di regresso sono infatti diretti a riversare nei rapporti interni tra coobbligati – in tutto o in parte – il sacrificio patrimoniale sopportato da chi tra di essi ha estinto o è stato chiamato ed estinguere un rapporto obbligatorio con un terzo.

Nella fattispecie di causa, dunque, la sentenza ha correttamente osservato che una azione di regresso poteva configurarsi solo ove la società LEO BURNETT fosse stata chiamata dalla ARC a risarcire il danno prodotto dal F..

Sotto questo profilo la ricorrente LEO BURNETT allega di avere già risarcito il danno alla società ARC, in quanto come socio unico essa aveva provveduto a ricapitalizzare la controllata.

La avvenuta ricapitalizzazione della ARC a seguito della perdita del capitale sociale non costituisce, tuttavia, un risarcimento del danno: la ricapitalizzazione non elimina il danno e cioè la perdita del capitale sociale (della ARC) ma semplicemente consiste nell’esercizio di una facoltà del socio (la sottoscrizione di nuovo capitale), che non elimina la perdita del capitale in precedenza sottoscritto. Dall’esercizio di tale facoltà non deriva un diritto di regresso; piuttosto restano integre le azioni fondate sui rapporti sociali, che non costituiscono oggetto di causa.

Per avere diritto al regresso la LEO BURNETT avrebbe dovuto essere stata chiamata dalla ARC a risarcire la perdita di esercizio (esercizio 2005) provocata dal F.; solo la copertura della perdita di esercizio avrebbe evitato la erosione del capitale sociale in precedenza sottoscritto. Il danno della ARC con la sottoscrizione di nuovo capitale piuttosto che essere risarcito si è, invece, consolidato.

La sentenza impugnata ha dunque correttamente affermato, in applicazione dei principi del regresso, che la LEO BURNETT era priva di legittimazione, in quanto non era stata chiamata a risarcire il danno provocato dal suo dipendente.

Dal rigetto del quinto motivo di ricorso deriva il difetto di interesse di parte ricorrente all’esame dei restanti motivi, trattandosi di ratio autonomamente decisiva.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2017

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