Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29438 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2019, (ud. 08/07/2019, dep. 13/11/2019), n.29438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25128-2018 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROLFO ALDO MARIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTIUZNAZIONALE DI ANCONA, PUBBLICO MINISTERO

PRESSO IL TRIBUNALE DI ANCONA;

– intimati –

avverso il decreto n. 2109/18 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il

30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – S.I. ricorre per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Ancona con cui sono state respinte le sue domande dirette al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – I motivi di ricorso sono due. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è proposta una eccezione di incostituzionalità della L. n. 46 del 2017, art. 35-bis, comma 13, in relazione agli artt. 10,24 e 111 Cost. L’istante censura l’illegittimità costituzionale dell’odierna disciplina processuale in tema di protezione internazionale avendo riguardo all’eliminazione del secondo grado di giudizio, alla previsione della trattazione camerale non partecipata della causa e al regime della sospensione degli effetti del provvedimento emesso dalla Commissione.

Il motivo non è fondato.

La questione vertente sull’esiguità del termine di trulta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverse il decreto del tribunale è, oltre che irrilevante (giacchè l’impugnazione è stata spiegata tempestivamente, avendo riguardo alla nuova disciplina) pure manifestamente infondata, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (Cass. 5 luglio 2018.. n. 17717 cit.). Il tema dell’asserita incostituzionalità della disciplina relativa all’abolizione dell’appello è egualmente manifestamente infondata, a fronte del rilievo per cui, come è noto, la garanzia del doppio grado non gode, di per sè, di copertura costituzionale (per tutte: Corte cast. sent. n. 199 del 14 luglio 2017); nè la scelta del legislatore può dirsi viziata da irragionevolezza, in quanto essa risponde a un’istanza di valorizzazione dell’esigenza di rapida definizione di un procedimento che, involgendo questioni di status, merita di essere modulato secondo criteri di speditezza. Va pure considerato, al riguardo, che il procedimento giurisdizionale, pur essendo articolato in un unico grado di merito, è nondimeno preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27700). “/110 stesso modo, non è viziata da incostituzionalità la scelta legislativa del rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, il quale è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717 cit.). Da ultimo, la questione attinente alla sospensione dell’esecuzione del provvedimento della Commissione priva di rilevanza. L’istante sospetta di incostituzionalità il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nel testo novellato, nella parte in cui prevede che la sospensione degli effetti del provvedimento della Commissione venga meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato, reputando incongruo il rimedio, previsto dalla stessa norma, e consistente nell’assegnazione al giudice che ha pronunciato il decreto impugnato di disporre la sospensione a seguito di istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. Si osserva, però, che la citata disposizione è priva di rilevanza nel presente giudizio, nel quale si controverte della legittimità del decreto con cui il Tribunale ha respinto le domande del ricorrente, non degli effetti che possano derivare al richiedente dall’assenza, ancorchè temporanea, di un titolo che lo abiliti a soggiornare nel nostro paese.

2. – Col secondo mezzo è lamentata la vioLazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), e art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286/1993, art. 5, comma 6, nonchè nullità della sentenza per essere la motivazione mancante o comunque contraddittoria o apparente, non giustificatoria del decisimi. Le censure riguardano l’accertamento, compiuto dal giudice del merito, circa le condizioni atte a consentire il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il motivo va disatteso.

Il provvedimento impugnato contiene una spiegazione esauriente delle ragioni atte a suffragare il rigetto delle domande proposte, sicchè non si ravvisano quei radicali vizi motivazionali che oggi assumono rilievo in sede di legittimità: “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

Il Tribunale ha basato il proprio giudizio su di una articolata ricognizione della situazione sociale e politica del paese di provenienza del richiedente e sulla base di ciò ha potuto escludere che riconoscessero le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Con specifico riguardo all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha rilevato che il Bangladesh non risulta segnalato per alcun tipo di instabilità politica: il che all’evidenza esclude la fattispecie della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”; l’accertamento circa l’esistenza di tale minaccia costituisce, del resto, apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), salvo il rilievo che possano assumere i vizi motivazionali: vizi che, come spiegato, nella fattispecie non ricorrono. Per quel che concerne la protezione umanitaria, poi, la pronuncia del Tribunale si sofferma diffusamente sull’impossibilità di identificare la vulnerabilità del richiedente nelle condizioni di salute: profilo, questo, che non è stato fatto oggetto di specifica censura. La deduzione, contenuta in ricorso, circa il “grave e impunito” (ricorso, pag. 2) conflitto familiare che potrebbe coinvolgere il ricorrente non si misura, poi, con l’accertamento del giudice del merito, il quale ha sottolineato che “non emergono nel paese di rientro del richiedente profili tali da considerare come inefficiente il sistema giudiziario relativamente alle vicende privatistiche, come quella in oggetto” (decreto, pag. 4): evenienza questa, che porta ad escludere che, su questo versante, il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Nulla deve disporsi in punto di spese processuali. L’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato esclude che lo stesso sia tenuto al versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 8 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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