Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29437 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/12/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22336-2019 proposto da:

D.M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DI

PIETRA PAPA, 21, presso il proprio studio, rappresentato e difeso da

sè stesso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2608/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Valle

Cristiano, osserva quanto segue.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

D.M.D. impugna con unico motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 95 c.p.c., sentenza del Tribunale di Roma, quale giudice di appello in controversia riguardante le spese del processo esecutivo.

Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.a.

La proposta di definizione in sede camerale, non partecipata, è stata ritualmente comunicata alle parti.

Non sono state depositate memorie per l’adunanza camerale.

Le censure di cui all’unico motivo di ricorso sono inammissibili, con le precisazioni ed integrazioni che seguono, con le quali si intende dare seguito ai principi di diritto già affermati da questa Corte in un precedente analogo (relativo al medesimo ricorrente: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29855 del 20/11/2018 di espresso valore nomofilattico, emessa all’esito della pubblica udienza della Terza Sezione Civile, nell’ambito della particolare metodologia organizzativa adottata dalla suddetta sezione per la trattazione dei ricorsi su questioni di diritto di particolare rilevanza in materia di esecuzione forzata cd. “progetto esecuzioni”, sul quale v. già Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26049 del 26/10/2018).

E’ pacifico (la circostanza emerge dalla sentenza impugnata ed è confermata sia nel ricorso che nel controricorso) che il giudice dell’esecuzione, all’esito di un procedimento esecutivo di espropriazione di crediti presso terzi promosso dal D.M. nei confronti di Poste Italiane S.p.A., abbia pronunciato ordinanza di assegnazione contenente l’espresso addebito alla debitrice esecutata (oltre che dei crediti posti in esecuzione nonchè delle spese di precetto ed esecuzione, in aggiunta a queste ultime) delle spese di registrazione dell’ordinanza stessa e che il relativo importo fosse quindi compreso in quello oggetto della complessiva assegnazione dei crediti pignorati in favore del creditore procedente (in quanto, evidentemente, appunto ricompreso nelle spese di esecuzione liquidate in favore del creditore stesso ai sensi dell’art. 95 c.p.c.), onde tale importo poteva essere preteso dal suddetto creditore in sede di escussione del terzo. In questa situazione, sussiste difetto di interesse del creditore procedente ad ottenere un ulteriore titolo esecutivo da far valere contro il suo originario debitore, avendo egli già conseguito la piena soddisfazione nei confronti di quest’ultimo, direttamente in sede esecutiva, (anche) del proprio credito per la spesa di registrazione dell’ordinanza di assegnazione (in quanto compreso nell’importo liquidato a titolo di spese del processo esecutivo ai sensi dell’art. 95 c.p.c. ed oggetto dell’assegnazione a valere sui crediti pignorati).

E’ poi del tutto irrilevante la circostanza che, al momento della richiesta di pagamento degli importi assegnati rivolta al terzo debitor debitoris la somma in questione non fosse stata (e/o non potesse ancora essere) pretesa e riscossa, in quanto non era stata ancora effettuata la registrazione dell’ordinanza (e non era stata quindi ancora anticipata dal creditore la relativa imposta): trattandosi di importo compreso in quello oggetto di assegnazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c., infatti, la relativa pretesa poteva essere avanzata anche successivamente e addirittura in via esecutiva direttamente nei confronti del terzo, sulla base della stessa ordinanza di assegnazione (previa, ovviamente, documentazione del relativo esborso), come del resto in qualche modo riconosce lo stesso ricorrente.

Nè nel ricorso (che sotto questo aspetto difetta della necessaria specificità, manifestando un profilo di inammissibilità anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) viene chiarito (e tanto meno viene documentato) se in concreto vi sia stata vana escussione del terzo, per l’importo in questione, ovvero se le somme complessivamente riconosciute nell’ordinanza di assegnazione (il cui contenuto, in parte qua, non è specificamente riprodotto nel ricorso e la cui allocazione tra gli atti del fascicolo di merito non è neanche indicata), ivi inclusa quella relativa all’imposta di registrazione della stessa, fossero state contenute o meno nei limiti di capienza dei crediti pignorati e/o avessero in qualche modo ecceduto tali limiti, onde non potessero essere effettivamente ed in concreto oggetto di integrale recupero nei confronti del terzo debitor debitoris (per quanto sia opportuno precisare che, anche in tale ultima ipotesi, andrebbe comunque applicato il principio di diritto, di recente ribadito da questa Corte, anche in questo caso con pronuncia di espresso valore nomofilattico emessa nell’ambito del già citato cd. “progetto esecuzioni” della Terza Sezione Civile, secondo il quale “il giudice dell’esecuzione, quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato o del pignorato al creditore procedente e ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione, in tal caso ammissibile, implica, come tale, un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di fora esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicchè le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili”: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24571 del 05/10/2018, Rv. 651157 – 01).

Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese di questo giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve, inoltre, darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 510,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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