Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29435 del 07/12/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 29435 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: SPENA FRANCESCA

SENTENZA

sul ricorso 13643-2012 proposto da:
LUCCHINI S.P.A. P.I. 01730680152, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TEVERE 46, presso lo studio
dell’avvocato FEDERICO BIANCA, rappresentato e difeso
dall’avvocato MARIA SUSANNA CANU, giusta delega in
2017

atti;
– ricorrente –

3154

contro

GUERRA CELESTINA MARIA, GUERRA GIUSEPPE, DELEIDI
MARIA LUISA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 07/12/2017

DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato
ALESSIO PETRETTI, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ERNESTO TUCCI, giusta delega
in atti;
– controricorrenti

di BRESCIA, depositata il 27/03/2012 R.G.N. 451/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

11/07/2017

dal

Consigliere

Dott.

FRANCESCA SPENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MARIA SUSANNA CANU e FEDERICO
BIANCA;
udito l’Avvocato ALESSIO PETRETTI.

avverso la sentenza n. 146/2012 della CORTE D’APPELLO

PROC. nr . 13643/2012 RG

FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Bergamo depositato il 5.9.2007 MARIA LUISA
DELEIDI, CELESTINA MARIA GUERRA e GIUSEPPE GUERRA, eredi di
FERNANDO GUERRA, deceduto per mesotelioma pleurico, sulla premessa
della origine professionale della malattia, agivano iure proprio nonché iure

GUERRA presso lo stabilimento siderurgico di Lovere (Bergamo) per il
risarcimento del danno derivato dalla morte del congiunto .
Il Tribunale, con sentenza del 14.6.2011 (nr. 537/2011), accoglieva la
domanda.
La Corte di appello di Brescia , con sentenza del 22-27.3.2012 (nr.
146/2012), respingeva l’appello della società LUCCHINI spa, ritenendo
provata la esposizione del lavoratore alle polveri di amianto nel periodo dal
1970 al 1992 e non fornita dal datore di lavoro la prova liberatoria a suo
carico.
Confermava la liquidazione del danno non patrimoniale iure hereditario
operata dal Tribunale; osservava che nessuna censura era stata mossa
quanto alla misura del danno subito dai congiunti del lavoratore iure
proprio.
Era stata posta dalla società appellante una questione di mero rito —e
non di competenza— quanto alla domanda proposta dagli originari ricorrenti
iure proprio. Il vincolo della connessione consentiva il cumulo delle cause; in
ogni caso la competenza del giudice del lavoro ineriva a tutte le domande
che avevano origine nel rapporto di lavoro anche se non aventi titolo nel
contratto di lavoro; da ultimo, comunque, non si sarebbe potuto procedere
al mutamento del rito in appello, ai sensi dell’articolo 4 D.Lgs. 150/2011.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società
LUCCHINI spa, articolato in cinque motivi.
Hanno resistito con controricorso MARIA LUISA DELEIDI, CELESTINA
MARIA GUERRA, GIUSEPPE GUERRA, illustrato con memoria.
Con memoria del 20.6.2017 si è costituito il Commissario Straordinario
della LUCCHINI spa in amministrazione straordinaria.

1

u

hereditario nei confronti della società LUCCHINI spa, datrice di lavoro del

PROC. nr . 13643/2012 RG

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere dichiarata la invalidità della costituzione
del Commissario Straordinario della LUCCHINI spa, per assenza di autentica

La facoltà del difensore di certificare l’autografia della sottoscrizione
della procura apposta in calce o a margine della memoria di nomina di
nuovo difensore è stata prevista nel testo dell’articolo 83 cod. proc. civ. a
seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 45 comma 9 lettera a) legge
18.6.2009 nr. 69, applicabili ai soli giudizi instaurati (in primo grado)
successivamente al 4 luglio 2009 ( articolo 58, comma1 L. 69/2009 cit.).
La irritualità della costituzione del Commissario Straordinario non
produce comunque effetti sulla prosecuzione del procedimento giacchè la
disciplina del giudizio di legittimità è dominata dall’impulso d’ufficio e risulta
incompatibile con l’applicabilità delle cause di interruzione previste in via
generale dalla legge processuale (ex multis: Cassazione civile, sez. I,
01/10/2014, n. 20722).

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’articolo
360 nr. 3 e nr. 5 cod.proc.civ.: violazione dell’articolo 115 cod.proc.civ.,
dell’art. 2087 cod.civ. e dell’art. 1225 cod. civ.; omessa ed insufficiente
motivazione sul fatto controverso e decisivo degli esiti delle indagini
ambientali eseguite all’epoca dei fatti di causa.
Ha censurato la statuizione di accertamento della presenza di polveri dì
amianto nell’ambiente di lavoro e la confusione operata in sentenza tra la
generica polverosità e la presenza di polveri di asbesto.
Ha lamentato che le indagini da essa prodotte, effettuate negli anni
1975/1977, 1992 e 1995 erano state ignorate dalla Corte di merito. Tali
indagini non erano state oggetto di contestazioni specifiche da parte dei
ricorrenti o dei loro consulenti sicchè il collegio giudicante ne avrebbe
dovuto tener conto anche a norma dell’art. 115 cod.proc.civ.

2

notarile della procura alle liti.

PROC. nr . 13643/2012 RG

La ricerca svolta tra il 1975 ed il 1977 era stata voluta dal Consiglio di
fabbrica; era stata eseguita dalla clinica del lavoro della Università di
Milano, su accordo congiunto della direzione di stabilimento e del Consiglio
di Fabbrica ; si era articolata —con la partecipazione attiva degli operai e
sotto il controllo delle loro rappresentanze— attraverso prelievi ed analisi

anamnestica; si era conclusa nel senso della assenza del rischio di polveri ,
fumi, gas e vapori per gli addetti al colaggio.
Soltanto in corso di causa, a distanza di oltre trent’anni dai fatti, i
colleghi di lavoro avevano riferito della presenza di polveri diffuse al
colaggio, in contrasto con quanto dichiarato nei questionari dell’epoca; i
testi erano inattendibili anche per l’interesse derivante dall’avvenuto
riconoscimento in proprio favore dei benefici previdenziali correlati alla
esposizione all’amianto.
La Corte di merito si era limitata ad affermare che le relazioni prodotte
non riportavano alcun dato significativo in ordine alla presenza di amianto,
confondendo il piano dell’accertamento delle polveri con quello relativo alla
presenza dell’amianto.
Il datore di lavoro non poteva essere ritenuto responsabile per non
avere individuato e prevenuto un rischio che nemmeno la Clinica del Lavoro,
portatrice delle più avanzate conoscenze dell’epoca, aveva segnalato; la
responsabilità addebitatagli finiva con l’assumere carattere oggettivo .

La censura, nella parte in cui investe l’accertamento in sentenza del
dato storico della presenza di polveri nell’ambiente di lavoro, è
inammissibile.
L’accertamento del fatto—all’esito della valutazione della prova— è
impugnabile in questa sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio
di motivazione; il vizio di violazione delle norme di diritto, che pone una
questione di interpretazione ed applicazione di norme di legge, va invece
verificato sulla base dei fatti accertati in sentenza senza essere mediato
dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

3

nonché sottoponendo gli addetti a questionari ed a visita medica

PROC. nr . 13643/2012 RG

Nella fattispecie concreta il vizio della motivazione è deducibile, in
relazione al testo storico dell’articolo 360 nr.5 cod.proc.civ. applicabile
ratione temporis,

sub specie di omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione su un fatto storico controverso e decisivo.
Il motivo non sottopone a questa Corte un fatto non esaminato in

valutazione (indagini ambientali eseguite all’epoca dei fatti di causa) sono
stati esaminati e superati dalla Corte di merito con argomenti logici ed
adeguati, primo tra tutti il rilievo che le indagini riguardavano una fase di
lavorazione (il colaggio) diversa da quella (la colata) cui era addetto il
GUERRA.
La società ricorrente, piuttosto, contesta la valutazione delle prove
(documentali e testimoniali) compiuta dal giudice dell’appello
contrapponendovi il proprio personale convincimento circa il peso e la
rilevanza dei mezzi istruttori e così chiedendo un riesame di merito non
consentito in questa sede.
I rilievi mossi in punto di affermazione della colpa, per la mancata
conoscenza all’epoca dei fatti del rischio derivante dall’impiego
dell’amianto, sono più diffusamente articolati nel terzo motivo di ricorso,
alla cui trattazione si rinvia.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente ha denunziato violazione e
falsa applicazione degli articoli 2697 e 2087 cod.civ. nonché motivazione
omessa, insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo.
Ha esposto che era a carico della parte attrice fornire la prova della
presenza di amianto nell’ambiente di lavoro; la Corte di merito aveva
desunto tale prova dal parere reso dalla CONTARP, fondato sugli studi di
settore relativi al ciclo produttivo delle acciaierie, affermando essere a
carico di essa società fornire la prova di avere seguito un ciclo produttivo
diverso da quello ordinario .
Tale ragionamento finiva con l’invertire l’ onere probatorio.
L’organo tecnico si era espresso in termini di verosimiglianza della
esposizione e non di certezza; i suddetti criteri presuntivi avevano valenza

4

sentenza giacchè gli elementi istruttori di cui si lamenta la mancata

PROC. nr . 13643/2012 RG

a fini previdenziali ma non nell’accertamento della responsabilità civile del
datore di lavoro.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito non ha applicato nella decisione la regola di giudizio
fondata sull’onere della prova, che regola la soccombenza soltanto in

positivamente raggiunta la prova della presenza di polveri di amianto
nell’ambiente di lavoro sulla base di elementi di prova diretti (testi) ed
indiretti (l’ordinario impiego dell’amianto nel ciclo produttivo delle
acciaierie nel periodo di causa). Ha correttamente affermato che non erano
stati acquisiti in causa elementi istruttori in contrasto con quelli utilizzati
nella prova logica.
Nel resto la censura si risolve in una inammissibile contestazione di
merito circa l’apprezzamento della prova.
Da ultimo non è condivisibile in punto di diritto l’assunto che i criteri di
valutazione della prova in materia previdenziale differiscano da quelli che
presiedono all’accertamento della responsabilità civile.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente ha denunziato omessa ed
insufficiente motivazione su un punto decisivo per il giudizio nonché
violazione dell’art. 2087 cod.civ.
La censura afferisce alla statuizione resa circa la idoneità dei dispositivi
di protezione disponibili all’epoca dei fatti ad evitare il rischio patogeno ed,
in particolare, al passaggio in cui la Corte di merito affermava che gli
argomenti svolti dal consulente della società LUCCHINI, che escludevano la
evitabilità del mesotelioma, riproducevano uno scritto (del professor
CHIAPPINO) superato dalla letteratura scientifica più recente.
La società ha dedotto che le critiche alle

conclusioni del proprio

consulente non erano fondate su studi sufficientemente rigorosi. Lo stesso
consulente di controparte nella relazione allegata alla CTU aveva ammesso
che i mezzi di protezione delle vie aeree all’epoca disponibili erano solo
parzialmente efficaci e ciò almeno fino alla metà degli anni ottanta allorchè
erano state introdotte maschere dotate di filtri ad alta efficienza.

5

mancanza di prova dei fatti rilevanti al decidere. Ha ritenuto, invece,

PROC. nr . 13643/2012 RG

Il motivo è infondato.
Preliminarmente vanno distinti i piani dell’accertamento del rapporto di
causalità e dell’accertamento della colpa.
Quanto al rapporto di causalità, nelle condotte omissive, quali quelle

articolo 40, ultimo comma, cod.pen.): il parametro di riferimento è la
condotta doverosa omessa e la verifica attiene alla idoneità del!’
adempimento cui il soggetto sarebbe stato tenuto, secondo un giudizio
ipotetico, ad evitare l’evento. Tale idoneità va accertata secondo il criterio
della miglior scienza disponibile ovvero, in mancanza della copertura di leggi
scientifiche, della preponderanza dell’evidenza o «del più probabile che
non» (c.d. probabilità logica o baconiana) e cioè riconducendo il grado di
fondatezza della derivazione causale all’ambito degli elementi di conferma
disponibili in relazione al caso concreto e nel contempo di esclusione di altri
possibili fattori causali alternativi (Cass. civ. Sez. Unite 11/01/2008, n.
576).
Nella fattispecie di causa il giudice del merito ha accertato la mancata
adozione delle seguenti misure di protezione, obbligatorie all’epoca dei
fatti : mancanza di un sistema continuo di aspirazione nei locali in cui era
utilizzato amianto; mancanza di un sistema di areazione diretta ed utilizzo
di un sistema di aspirazione attraverso correnti ascensionali, che aumentava
la polverosità ; mancanza di formazione e di adeguata sorveglianza
sull’utilizzo dei dispositivi individuali di protezione .
Ha poi verificato il rapporto di causalità sia sotto il profilo scientifico che
sotto il profilo logico, secondo parametri corretti in punto di diritto,
concludendo nel senso che la adozione delle suddette misure di protezione
avrebbe quanto meno procrastinato l’insorgere della malattia (pagina 10
della sentenza, in fine).
Tale concreto accertamento in fatto, che il giudice del merito ha
compiutamente e logicamente motivato, resta insindacabile in questa sede .
Venendo invece al giudizio di colpa, questa Corte ha già chiarito
(Cassazione civile, sez. lav., 27/06/2014, n. 14614 ), con orientamento cui

6

rilevanti in causa, viene in gioco un rapporto di «equivalenza causale» (cfr.

PROC. nr . 13643/2012 RG

si intende dare continuità, che in tema di prevenzione del rischio lavorativo
esiste una diversa modulazione di contenuto dei rispettivi oneri probatori a
seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e
specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante)
in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure

generico obbligo di sicurezza.
Nel primo caso, riferibile alle misure di sicurezza cosiddette “nominate”,
la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella
negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro
dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo
e il danno; nel secondo caso, relativo a misure di sicurezza cosiddette
“innominate”, la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è invece
generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta
esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza,
imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di
comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o da
altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e
tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino
riferimento in altre fonti analoghe.
Nella fattispecie di causa la responsabilità è stata ritenuta sotto il profilo
della mancata adozione di misure di prevenzione imposte dalla normativa
dell’epoca come idonee alla prevenzione e diminuzione delle polveri; la
Corte di merito ha dunque correttamente ritenuto che il datore di lavoro
fosse rimasto inadempiente al suo onere di fornire la prova liberatoria.

4. Con il quarto motivo la società ricorrente ha denunziato il vizio di
omessa motivazione sui criteri di determinazione del danno liquidato iure
hereditario.

La società ha esposto di avere dedotto come motivo di appello il fatto
che il danno non patrimoniale era stato quantificato dal Tribunale in C 800

7

Q3,

debbano essere ricavate dall’art. 2087 c.c., che impone l’osservanza del

PROC. nr . 13643/2012 RG

al giorno (ed in C 1.000 per gli ultimi giorni di vita) senza dare conto dei
parametri della valutazione equitativa così compiuta.
Tale motivo di impugnazione era stato respinto dal giudice dell’appello
sul rilievo della sua genericità e della conformità della liquidazione ai
parametri utilizzati dal medesimo organo giudicante.

provveduto a specificare i parametri di giudizio adottati, largamente più
rigorosi di quelli seguiti, ad esempio, dalla Corte di Appello di Venezia, che
aveva liquidato in un caso del tutto analogo un danno di C 150 al giorno.

Il motivo è infondato.
L’esercizio del potere discrezionale di liquidazione equitativa del danno
non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità allorchè la motivazione
della decisione dia adeguatamente conto del processo logico attraverso il
quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del
procedimento valutativo ( cfr. Cassazione civile, sez. lav., 19/02/2013, n.
4047).
Il giudice del merito è tenuto, in sostanza, a dare conto del tipo di
danno non patrimoniale risarcito e dei parametri oggettivi utilizzati nella sua
liquidazione, percorso motivazionale osservato dalla sentenza impugnata.
La Corte di merito ha infatti affermato di avere liquidato il danno non
patrimoniale temporaneo e parametrato il suo importo sia alla gravità della
malattia (danno biologico) che alla intensità della sofferenza, per la
consapevolezza dell’esito infausto (danno morale); ha fatto riferimento
quale supporto della liquidazione equitativa alla giurisprudenza formatasi
nel distretto .

5. Con il quinto motivo di ricorso la società LUCCHINI spa ha denunziato
il vizio di omessa, insufficiente ed errata motivazione sulla eccezione di non
proponibilità davanti al giudice del Lavoro della domanda di risarcimento
del danno proposta dagli eredi iure proprio.

8

La società ha dedotto che neppure il giudice del secondo grado aveva

PROC. nr . 13643/2012 RG

La ricorrente ha dedotto la inapplicabilità

ratione temporis

alla

fattispecie di causa del D.Lgs. 150/2011, richiamato dal giudice dell’appello
per sostenere la impossibilità di mutamento del rito.
Ha lamentato la illogicità della motivazione tanto nella parte in cui si
fondava sulla connessione delle cause che laddove affermava la competenza

Ha precisato che la questione soltanto all’apparenza era di mero rito: i
congiunti avevano dichiarato di agire solo in base all’articolo 2087 cod.civ. e
non avevano nemmeno allegato gli estremi del danno ingiusto;
l’accertamento della responsabilità aquiliana avveniva, poi, secondo regole
diverse in tema di onere della prova .

Il motivo è inammissibile.
Si premette che la questione affrontata in sentenza attiene
esclusivamente al rito ovvero alla trattazione della domanda proposta in
proprio dai congiunti del defunto (per lesione del rapporto parentale)
secondo il rito del lavoro invece che con il rito ordinario.
Per consolidata

giurisprudenza di questa Corte (

ex plurimis:

Cassazione civile, sez. III, 05/04/2016, n. 6543; Cass. 27 gennaio 2012, n.
1201; Cass. 29 settembre 2005, n. 19136) gli errori sul rito costituiscono
causa di nullità della sentenza— deducibile in sede di legittimità ai sensi
dell’articolo 360 nr. 4 cod.proc.civ.— nel solo caso in cui abbiano
determinato un pregiudizio al contraddittorio od alle facoltà difensive delle
parti o, in generale, allorchè abbiano cagionato un qualsivoglia altro
specifico pregiudizio processuale alla parte.
E’ onere del ricorrente allegare il pregiudizio subito, quale condizione di
deducibilità del motivo di ricorso; tale onere non è stato nella fattispecie di
causa adempiuto giacchè i rilievi svolti sul punto non denunziano una
compressione della facoltà difensive ma piuttosto pretesi vizi di attività del
giudice (ultrapetizione) e di violazione di norme di diritto ( sulla
responsabilità aquiliana), del tutto indipendenti dalla scelta del rito .

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

9

del giudice del Lavoro ex art. 409 cod.proc.civ.

PROC. nr . 13643/2012 RG

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in C
200 per esborsi ed C 9.000 per compensi professionali oltre spese generali

Così deciso in Roma, in data 11 luglio 2017
IL ONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

„,;‘, 71.,p\,
, • D j’élk\\

f

IS; /

9 ungonario GiudIzIngo

‘ (I) !

Ø u. Giovanni R

f

Of14«,t74–; i

n-

satOtít
CORTESt1PREMADicAs1110d0A0
,
IV Sezione 111 ■

i.–•ile

al 15% ed accessori di legge.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA