Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29433 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. III, 28/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA AREZZO 54, presso lo studio dell’avvocato MINDOPI FLAVIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.E.M., MEDIOLANUM ASSICURAZIONI SPA, R.

R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 186/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

4/06/08, depositata il 21/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’01/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. FINOCCHI GHERSI Renato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, Letti gli atti depositati, osserva:

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato l’8 marzo 2010 A.F. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 21 gennaio 2009 dalla Corte d’Appello di Milano, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva accolto in misura ritenuta inadeguata la sua domanda di risarcimento dei danni subiti in un sinistro stradale.

Gli intimati P.E.M., R.R. e Mediolanum Assicurazioni S.p.A. non hanno espletato attività difensiva.

2 – I quattro motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366- bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione. In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’erronea quantificazione del danno patrimoniale.

La censura riporta massime giurisprudenziali, ma non reca argomentazioni specifiche idonee a dimostrare l’erroneità della sentenza impugnata. Manca il momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza risulti, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria. Al termine della esposizione dei motivi viene formulato un quesito che non risponde alle esigenze perseguite dall’art. 366 bis c.p.c.; si limita a chiedere la verifica della negata correttezza della sentenza impugnata senza postulare l’enunciazione di un principio di diritto.

Le medesime considerazioni dimostrano l’inammissibilità anche del secondo motivo, che adduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’erronea quantificazione del danno non patrimoniale ai sensi degli artt. 2056 e 2059 c.c. e del terzo motivo che si duole per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa le risultanze della C.T.U. espletata ai sensi dell’art. 61 c.p.c..

Tutti e tre i motivi sopra esaminati contengono riferimenti alla C.T.U. nei cui confronti non è stato rispettato l’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Il quarto motivo ipotizza violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. lamenta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di appello.

La Corte territoriale ha applicato il principio della soccombenza condannando l’appellante (che in primo grado aveva avuto il favore delle spese) essendo risultato il suo gravame totalmente infondato.

Il quesito finale è astratto e prescinde dalla motivazione della sentenza impugnata.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti; Il ricorrente ha presentato istanza di rimessione in termini non essendo andata a buon fine la notifica a seguito del decesso del difensore dei resistenti; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che l’istanza di rimessione in termini non può essere accolta poichè (Cass. Sez. Un. 24 luglio 2009, n. 17352), in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie; inoltre l’art. 153 c.p.c. non è applicabile alla specie poichè è entrato in vigore successivamente;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; nulla spese;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA