Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29432 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/12/2020, (ud. 12/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36643-2018 proposto da:

D.M., D.T., d.m.,

D.C., D.G., D.L., eredi di

C.E., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dell’avvocato MARIA CONCETTA GUERRA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2090/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 24/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/ 2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.E. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Catanzaro, il Ministero della salute, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al contagio con il virus HCV asseritamente contratto a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto cui era stata sottoposta negli anni dal 1976 al 1982 e dal 1984 al 1986 presso l’Ospedale (OMISSIS).

Si costituì in giudizio il Ministero, eccependo la prescrizione del diritto e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

Osservò quel giudice che la responsabilità del Ministero doveva ritenersi accertata ma che, determinati i postumi permanenti nella misura del 14 per cento, e considerate le somme già percepite dalla danneggiata ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, nonchè capitalizzate le somme future da percepire per il medesimo titolo, la C. non aveva altro da pretendere come risarcimento del danno.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attrice soccombente e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 24 novembre 2017, ha rigettato l’appello ed ha compensato le ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che 1) non sussisteva la violazione dell’art. 213 c.p.c., dovendosi ritenere legittima la richiesta di documenti alla Regione Calabria al fine di conoscere l’entità delle somme già erogate ai sensi della L. n. 210 del 1992; 2) correttamente era stata operata la compensatio lucri cum damno in relazione alle somme percepite ed ancora da percepire, ma tuttavia capitalizzate e determinate, in base alla legge citata; 3) correttamente il c.t.u. aveva negato l’esistenza del nesso di causalità tra le trasfusioni con sangue infetto e le ulteriori patologie, diverse dall’epatite HCV, dalle quali era affetta la C..

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorrono C., T., M., L., G. e d.m., quali eredi della defunta Eugenia C., con unico atto affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della salute.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 213 c.p.c..

La censura si appunta sul fatto che il Tribunale, sostituendosi al Ministero convenuto, ordinò alla Regione Calabria la produzione in giudizio dei versamenti eseguiti in base alla L. n. 210 del 1992; documenti che, invece, era onere della parte che eccepiva la compensazione produrre in giudizio.

1.1. Il motivo non è fondato.

La costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’esercizio del potere di cui all’art. 213 c.p.c. appartiene alla facoltà discrezionale del giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità (sentenze 11 giugno 1998, n. 5794, 2 settembre 2003, n. 12789, e 12 marzo 2013, n. 6101).

Nel caso di specie, poi, la documentazione è stata fornita da un ente pubblico diverso, cioè la Regione Calabria, per cui non vi è stata alcuna inerzia processuale addebitabile al Ministero convenuto; nè può dirsi fondata la censura di violazione di legge nei confronti della decisione della Corte d’appello, tanto più che l’eccezione di compensazione è da intendere come eccezione in senso lato (sentenza 24 settembre 2014, n. 20111).

D’altra parte, in considerazione del fatto che la documentazione acquisita ha certamente una valenza sanitaria, è almeno dubbio che il Ministero potesse acquisirla, trattandosi di dati che rivestono natura di dati sensibili (v. sentenza 25 novembre 2014, n. 24986).

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, sostenendo che non si sarebbe dovuta operare la compensazione tra le somme percepite a titolo di risarcimento del danno con quelle percepite ed ancora da percepire a titolo di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992.

1.1. Il motivo non è fondato.

La possibilità di operare la compensatio lucri cum damno in relazione alle somme già percepite a titolo di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 è un’acquisizione ormai pacifica nella giurisprudenza di questa Corte (già a partire dalla nota sentenza 11 gennaio 2008, n. 584, delle Sezioni Unite), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione allo stesso fatto lesivo.

L’unico punto da discutere riguarda la compensabilità delle somme non percepite ma da erogare in futuro.

La questione è stata affrontata da alcune recenti pronunce alle quali la Corte ritiene di dover dare ulteriore continuità. In particolare, l’ordinanza 6 dicembre 2018, n. 31543, correttamente richiamata dall’Avvocatura dello Stato, ha stabilito che l’esigenza di evitare che il fatto dannoso si traduca in un vantaggio economico per la vittima “rimarrebbe in buona parte insoddisfatta ove il defalco dall’entità del risarcimento spettante venisse limitato ai ratei già corrisposti al momento della liquidazione del danno, con esclusione di quelli futuri, volta che nella specie deve ritenersi già determinato ovvero determinabile il loro preciso ammontare”; ciò in quanto si tratta “di erogazione periodica – assegno bimestrale calcolato in base alla gravità dei danni subiti (L. 29 aprile 1976, n. 177, tabella B allegata, come modificata dalla L. 2 maggio 1984, n. 111, art. 8:L. n. 210 del 1992, art. 2)”.

L’ordinanza citata ha anche ricordato che l’esigenza di detrarre dal risarcimento del danno la capitalizzazione delle somme future che il danneggiato percepirà trova indiretta conferma nella recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 12567 del 2018 “che, nel risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione se nella liquidazione del danno patrimoniale relativo alle spese di assistenza che una persona invalida sarà costretta a sostenere vita natural durante, debba tenersi conto, in detrazione, della indennità di accompagnamento erogata dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, hanno dato risposta positiva al quesito, identificando la posta da portare in diminuzione nel valore capitalizzato della indennità predetta”.

Sono in linea con questa pronuncia anche la sentenza 22 agosto 2018, n. 20909, e l’ordinanza 30 agosto 2019, n. 21837, le quali hanno sottolineato l’esigenza che si proceda alla compensazione in relazione a somme effettivamente versate o, comunque, determinate nel loro preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati, non potendosi invece procedere alla compensazione in assenza di tali elementi.

Nella specie, ad abundantiam, la sentenza impugnata ha anche affermato – con un rilievo che non è stato in alcun modo contestato – che la C. avrebbe avuto diritto a percepire, a titolo di risarcimento del danno ulteriore, una somma di circa 3.000 Euro alla data del 31 dicembre 2012; e poichè al momento della pronuncia della sentenza d’appello (24 novembre 2017) nessuno aveva negato l’avvenuta percezione di quelle somme, il credito suindicato era da ritenere pacificamente compensato. Sicchè, nel caso in esame, non si deve neppure parlare di compensazione con somme ancora da percepire (la C. è venuta a mancare il 18 marzo 2017), bensì di compensazione con somme già percepite nel momento del deposito della decisione di appello.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza e del procedimento per mancanza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali la Corte di merito ha negato l’esistenza del nesso di causalità tra le trasfusioni e le ulteriori patologie delle quali la C. aveva sofferto in vita.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello, riportando e facendo proprie le conclusioni del c.t.u., ha escluso che l’invocata causalità tra le trasfusioni e le ulteriori patologie potesse sussistere; ne consegue che la censura, oltre ad invocare una nullità per assenza di motivazione che non sussiste, si risolve nell’evidente tentativo di sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.

Costituisce pacifica acquisizione giurisprudenziale, del resto, il principio secondo cui il giudice di merito non è tenuto ad indicare specificamente le ragioni per le quali intende fare proprie le conclusioni del c.t.u. all’uopo nominato.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In considerazione della particolarità e delicatezza della vicenda, il Collegio ritiene di dover compensare anche le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 3 Civile, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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