Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29431 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/12/2020, (ud. 12/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36479-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 19,

presso lo studio dell’avvocato CORRADO SELVANETTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO BIAGINI;

– ricorrente –

contro

R.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO

D’AQUINO N. 75, presso lo studio dell’avvocato ROSA LANATA’, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TAMARA CORAZZA

SHIRLEY;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2289/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.D. convenne in giudizio C.S. davanti al Tribunale di Lucca, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni in conseguenza di comportamenti ingiuriosi e minacciosi tenuti nei suoi confronti e consistenti nel renderla bersaglio di una serie innumerevole di telefonate, di giorno e di notte, per l’arco di tempo di circa tre mesi.

Aggiunse che per la stessa vicenda si era svolto un processo penale al termine del quale la C. era stata condannata per i reati di ingiuria e minacce.

Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda. Espletata una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda e condannò la C. al pagamento della somma di Euro 50.000, con il carico delle spese di lite, utilizzando gli accertamenti compiuti in sede penale e le conclusioni della consulenza tecnica.

2. La Corte d’appello di Firenze, adita dalla parte soccombente, con sentenza del 4 ottobre 2018 ha rigettato l’appello, confermando la decisione del Tribunale e condannando l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze propone ricorso C.S. con atto affidato ad un solo motivo.

Resiste R.D. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La censura è suddivisa in due parti.

Nella prima si lamenta l’omessa considerazione, da parte della Corte d’appello, del fatto che la c.t.u. sulla persona della vittima si era svolta undici anni dopo i fatti, mentre gli esiti persecutori si erano protratti solo per tre mesi e non per undici anni; sicchè il giudizio della Corte di merito presenterebbe una grave lacuna per omissione.

Nella seconda si lamenta che la Corte d’appello abbia confermato la sentenza di primo grado dopo aver sospeso, in sede di inibitoria, l’efficacia esecutiva della medesima fino alla concorrenza della somma di Euro 32.500, ritenendo il danno compreso in tale ridotta misura.

1.1. Le censure sono, quando non inammissibili, comunque prive di fondamento.

La prima, infatti, si risolve nell’evidente tentativo di sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito, andando ben oltre i limiti della censura di vizio di motivazione. La sentenza impugnata, infatti, ha tenuto presente la critica mossa dall’odierna ricorrente, allora appellante, che aveva ad oggetto proprio la durata limitata del comportamento minaccioso ed ingiurioso, ed è pervenuta alla conclusione secondo la quale l’insorgenza del danno psichico era stata accertata subito dopo i fatti, mentre il successivo periodo di tempo di undici anni aveva dimostrato come quel danno si fosse ormai stabilizzato, senza possibilità di guarigione (percentuale di invalidità riconosciuta pari al 20 per cento).

Ne consegue che nessun omesso esame è ravvisabile nella pronuncia impugnata.

La seconda censura, che avrebbe dovuto essere posta, semmai, in termini di violazione di legge, è ugualmente inammissibile; è evidente, infatti, che l’inibitoria ha natura provvisoria, nè la sentenza definitiva è tenuta a giustificare le ragioni per le quali perviene ad una conclusione affatto diversa rispetto al provvedimento di sospensiva.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.400, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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