Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29429 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2019, (ud. 08/07/2019, dep. 13/11/2019), n.29429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21678-2017 proposto da:

D.V. COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI PAOLUCCI

DE’ CALBOLI 54, presso lo studio dell’avvocato STANISCI VALERIO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BOJANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 34, presso lo studio

dell’avvocato TORRESE ALBA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato QUARANTA ULRICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 50/2017 della COME D’APPULO di CAMPOBASSO,

depositata il 14/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Comune di Boiano era condannato, in sede arbitrale, al pagamento di alcune somme in favore dell’associazione temporanea di imprese costituita da Impresa Costruzioni F.G.L. s.r.l., Galasso Costruzioni Di P.F. s.p.a., D.V. Costruzioni s.r.l. e Geom. R.G. s.r.l..

2. – Il lodo arbitrale era impugnato dal Comune.

La Corte di appello di Campobasso, con sentenza del 12 settembre 2017, preso atto che le parti avevano concordemente richiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, disponeva in tal senso. Osservava, in proposito, che era stata prodotta in giudizio copia della scrittura privata di transazione a firma della società D.V. Costruzioni – in proprio e quale mandataria dell’a.t.i. – e del Comune di Boiano, con cui le parti avevano dichiarato di voler porre fine alla lite oggetto del giudizio regolamentando i rapporti tra di loro in essere e stabilendo che il procedimento pendente dovesse essere definito con sentenza di cessazione della materia del contendere. Alla declaratoria in tal senso – spiegava la Corte di merito conseguiva il venir meno del lodo arbitrale, giacchè il nuovo assetto pattizio, determinato dalla transazione, si sostituiva alla regolamentazione del rapporto discendente dal provvedimento impugnato che risultava, quindi, caducato e inidoneo al passaggio in giudicato.

3. – La sentenza è impugnata per cassazione da D.V. Costruzioni con un ricorso articolato in due motivi. Il Comune di Boiano resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1965 c.c. Sostiene la ricorrente che la transazione posta a fondamento della declaratoria di cessazione della materia del contendere non fosse novativa e che, in ragione di ciò, la Corte di appello non avrebbe potuto dare atto dell’intervenuta caducazione del lodo arbitrale. Assume che ove la pronuncia impugnata passasse in giudicato con riguardo a tale statuizione l’omesso pagamento, da parte del Comune di Boiano, delle somme oggetto della transazione precluderebbe ad essa ricorrente il diritto di agire in base al rapporto originario e dunque di ottenere l’integrale pagamento delle somme stabilite nel lodo arbitrale.

Col secondo mezzo viene lamentata la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza o del procedimento. Ad avviso della società istante il divieto, fatto al giudice, di pronunciare oltre i l’imiti della domanda, impediva al medesimo di pronunciarsi sul contenuto e sulla rilevanza della transazione.

2. – I due motivi sono palesemente infondati.

La pronuncia di cessazione della materia del contendere costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario, una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso, tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale: ad essa pertanto consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, dall’altro, la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa (Cass. Sez. U. 28 settembre 2000, n. 1048; Cass. 4 giugno 2009, n. 12887; Cass. 3 marzo 2006, n. 4714). La situazione non muta in caso di transazione, perchè in tale ipotesi il nuovo assetto pattizio voluto dalle parti si sostituisce alla regolamentazione datane nella decisione, che resta travolta ed è quindi inidonea a passare in giudicato (Cass. 3 marzo 2003, n. 3122): il principio è stato di recente ribadito dalle Sezioni Unite con riferimento all’eventualità che nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale; in tale ipotesi – è stato affermato – la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 11 aprile 2018, n. 8980).

Nè può configurarsi la lamentata ultrapetizione, giacchè, come è più che evidente, col dare atto del venir meno del lodo arbitrale, il giudice distrettuale si è limitato a precisare quale effetto processuale fosse disceso dalla intervenuta transazione.

3. – Il ricorso va dunque respinto.

4. – Segue, secondo soccombenza, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, cd agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 8 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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