Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29427 del 07/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/12/2017, (ud. 22/06/2017, dep.07/12/2017),  n. 29427

Fatto

RILEVATO

1. che la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di L.R. intesa all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane s.p.a., avente decorrenza dal 3.5.1999 al 31.5.1999, giustificato, ai sensi dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994 e dei successivi accordi integrativi del medesimo, dal ricorrere di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo riequilibrio sul territorio delle risorse umane”;

1.2. che, in particolare, il giudice di appello, premessa la astratta possibilità giuridica che il rapporto a tempo determinato, connotato da illegittimità del termine, si risolva per mutuo consenso, ha osservato che la disciplina dei contratti a termine non consente di assegnare rilievo giuridico alla comparativa considerazione tra la durata del rapporto a termine e il tempo dell’inerzia del lavoratore nell’attivarsi per far valere la illegittimità della clausola e nemmeno di comparare la fattispecie in oggetto con quelle relative alla cessazione del rapporto per licenziamento ovvero alla impugnazione delle rinunzie e transazioni, attesa la mancata previsione legislativa di termini di decadenza e di prescrizione; ha, quindi, ritenuto che, correttamente, il giudice di primo grado aveva ancorato la estinzione del rapporto non alla prolungata non operatività dello stesso (ricorso di primo grado depositato il 30.11.2006, richiesta del tentativo di conciliazione comunicata con lettera raccomandata del settembre 2006) dopo la scadenza del termine, ma anche ad ulteriori significativi comportamenti, quali la età della ricorrente (nata nel (OMISSIS)) e la sua presumibile aspirazione ad un’altra occupazione lavorativa, la particolare brevità del remoto rapporto a termine, la circostanza che nulla era stato indicato in ricorso a giustificazione del notevole ritardo e valorizzato, quale espressione del disinteresse della parte, la mancata presentazione all’udienza di discussione per rendere il libero interrogatorio;

1.3. che ad integrazione dei richiamati elementi ha ritenuto, a conferma della volontà solutoria, lo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze di terzi, dopo la cessazione del rapporto, quale attestata dalla documentazione acquisita nel corso del giudizio d’appello;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso L.R. sulla base di tre motivi;

3. che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

4. che entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo di ricorso si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, rappresentato dalla ritenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso del rapporto, ai sensi dell’art. 1372 c.p.c., censurandosi, in sintesi, la decisione per avere ricostruito la volontà risolutoria del rapporto sulla base elementi privi dell’indispensabile univocità; in particolare si evidenzia come, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, la mera inerzia o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto non sono significativi della volontà risolutiva del rapporto; quanto all’aspirazione ad una nuova occupazione lavorativa la stessa nasce dalla necessità di fare fronte ai bisogni di vita; quanto alla mancata comparizione della ricorrente alla prima udienza per il libero interrogatorio la stessa risulta ininfluente non essendo tale atto preordinato ai fini probatori o a provocare la confessione, ma solo a chiarire e precisare i fatti di causa. Si sottolinea la incongruenza di tali elementi a fronte della imprescrittibilità dell’azione di nullità;

2. che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. e dell’art. 2697 c.c.; si censura la decisione per non avere in concreto accertato se le parti avessero effettivamente raggiunto l’accordo solutorio; in questa prospettiva si ribadisce come non potessero essere considerati elementi significativi la mera inerzia, la accettazione del tfr e la mera ricerca di occupazione a seguito della perdita di lavoro; in ordine all’inerzia si sottolinea che la stessa era spiegabile con la circolare di Poste con la quale si diffidava dal proporre un giudizio pena la perdita definitiva della prospettiva occupazionale; la mancata comparizione a rendere il libero interrogatorio non poteva essere interpretata come espressione di disinteresse versandosi in controversia di accertamento della nullità del termine ad un contratto di lavoro del quale non erano contestate nè la sussistenza nè le modalità di svolgimento;

3. che con il terzo motivo si deduce omessa pronunzia e violazione ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.c., censurandosi la decisione per avere omesso di pronunziare sulla domanda intesa all’accertamento dell’illegittimità del termine;

4. che il primo ed il secondo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono articolati con modalità inidonee alla valida censura della decisione. Si premette che, in linea di principio, l’assunto del ricorrente, in ordine al carattere neutro del dato relativo al tempo decorso tra la cessazione del rapporto e l’iniziativa della lavoratrice, così come dell’avvenuta percezione del tfr, è coerente con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso – costituente una eccezione in senso stretto, Cass. 7/5/2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccipiente, Cass. 1/2/2010 n. 2279 – non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del termine, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (cfr., tra le altre, Cass. 17/3/2015 n. 5240, Cass. 28/1/2014 n. 1780, Cass. 11/3/2011 n. 5887, Cass. 4/8/2011 n. 16932, Cass. 18/11/2010 n. 23319, Cass. 15/11/2010 n. 23057) e che tali significative circostanze non possono ravvisarsi nella mera percezione del t.f.r. (indennità di fine lavoro), trattandosi di emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione del rapporto (Cass. 13/2/2012 n. 2044, Cass. 9/10/2014 n. 21310);

4.1. che, tuttavia, nel caso di specie occorre considerare che l’accertamento del giudice di appello in merito all’avvenuta risoluzione per mutuo consenso del rapporto è stata fondata su una pluralità di elementi fra i quali anche lo svolgimento, dopo la cessazione del rapporto, di attività lavorativa alle dipendenze di terzi, circostanza questa in alcun modo contestata dalla parte ricorrente la quale, peraltro, neppure ha argomentato in ordine alle caratteristiche, anche sotto il profilo della stabilità e della durata, dell’attività lavorativa richiamata dal giudice di appello;

4.2. che il reperimento di altra occupazione lavorativa dopo la cessazione del rapporto, considerato unitamente al tempo decorso tra la scadenza del contratto e l’iniziativa della lavoratrice, sono stati ritenuti dalla giurisprudenza di questa Corte indici sufficienti a giustificare l’accertamento del giudice di merito in ordine alla sussistenza di una tacita manifestazione negoziale di porre fine al rapporto (Cass. 11/02/2016 n. 2732, Cass. 27/10/2015 n. 21876);

4.3. che la decisione è pertanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte e si sottrae alle censure articolate con i motivi in esame;

5. che il terzo motivo di ricorso è infondato dovendosi escludere la configurabilità del denunziato vizio di attività del giudice d’appello. Invero, la verifica della estinzione del rapporto per volontà tacita delle parti, presuppone l’implicito accertamento della nullità del termine e, quindi, della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

6. che a tanto consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2017

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