Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29426 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 13/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 13/11/2019), n.29426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20395-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ELISABETTA LANZETTA, SEBASTIANO CARUSO, CHERUBINA CIRIELLO;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 42, presso lo studio degli avvocati ANTONIO DE PAOLIS,

PAOLO ERMINI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2306/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/08/2013 R.G.N. 10286/2010.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, ha riconosciuto il diritto di C.C., dipendente INPS, alle differenze retributive per lo svolgimento, tra il 2002 ed il giugno 2007 di mansioni da riportare all’Area C posizione 1, in luogo del formale inquadramento in Area B posizione B3;

la Corte territoriale, premesso come la differenza tra Area B ed Area C consistesse nello svolgimento di solo alcune fasi o fasce di attività (area B) o dell’intero processo produttivo (area C) e ritenendo non specificamente contestate le relative deduzioni fattuali, osservava come la ricorrente avesse svolto l’intero procedimento delle “aziende senza dipendenti”, dall’iscrizione, verifiche, emissione avvisi bonari, iscrizione a ruolo, applicazioni sanzioni, oltre all’attività di consulenza verso l’esterno;

aggiungeva poi che per processo produttivo non poteva intendersi l’intero processo di gestione conto assicurato – pensionato o l’intero processo di gestione conto aziende, ma anche ognuno della miriade di sottoprocessi esistenti nell’ente, purchè interamente gestito;

per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando due motivi di ricorso, resistiti con controricorso dalla lavoratrice, che in prossimità dell’adunanza camerale ha anche depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo l’I.N.P.S. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5);

l’ente critica in prima battuta la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto che non vi fosse stata contestazione sull’attività svolta, così indebitamente sollevando la ricorrente daì propri oneri probatori;

1.1 la Corte territoriale, in effetti ha mostrato, attraverso la condivisione in parte qua dell’assunto del Tribunale (per quanto poi scaturito in una decisione finale di senso diverso) e in parte richiamando essa stessa la mancata contestazione (rispetto all’attività di consulenza) di ritenere che effettivamente la narrativa delle mansioni trattate dalla C. non fosse stata in sè denegata dall’ente, come da onere processuale della parte convenuta nel giudizio del lavoro;

le critiche mosse dall’INPS a tale assunto non possono essere accolte;

la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla narrativa in quanto riguardante fatti storici non contestati attinenti all’attività lavorativa della C.: iscrizione assicurati, verifiche dei dati, gestione dei versamenti, emissione avvisi, applicazione sanzioni, predisposizione del ruolo per la riscossione, consulenza;

il motivo di ricorso per cassazione, nel sostenere che vi era stata contestazione, non richiama però tali fatti storici, quanto la censura rispetto alla loro valutazione giuridica quale pretesa nel ricorso introduttivo;

in esso si sostiene infatti che “le mansioni come descritte nel ricorso non potessero essere ascritte all’Area C” o che “già dalla stessa descrizione contenuta nel ricorso non appare possibile ricondurre l’attività lavorativa della ricorrente alla Area C”, il che è ragione di contestazione non dei fatti, che restano dunque acquisiti al processo, ma della valutazione degli stessi, che è questione diversa;

1.2 da altro punto di vista, ma nel corpo del medesimo motivo, l’INPS sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che lo svolgimento di un “sottoprocesso produttivo” potesse integrare la competenza sull'”intero processo produttivo” quale richiesta dalla contrattazione collettiva per l’inquadramento in Area C, ma di ciò si dirà nell’ambito della disamina del secondo motivo di ricorso in cui parimenti è affrontata tale tematica;

2. con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 13, 16 e 24 del CCNL 1998/2001, del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e succ. mod. dal D.Lgs. n. 387 del 19998, art. 56, ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52; dell’art. 1362 c.c., con riferimento alla interpretazione delle declaratorie contrattuali delle aree, allegato A al CCNL 1998-2001.

2.1 l’INPS critica la statuizione della Corte d’Appello secondo cui per il riconoscimento delle mansioni superiori non è necessario l’effettivo svolgimento di tutte le fasi del processo produttivo e che il dipendente assuma la responsabilità dell’attività svolta, essendo sufficiente che le stesse vengano in concreto svolte rispetto ad un singolo sottoprocesso, purchè con modalità da configurare i requisiti per il livello C1;

l’INPS ricorda il processo di riorganizzazione della propria attività e della gestione del personale, in modo da prevedere la completa gestione di un servizio da parte di unità di processo, incaricate di processi primari ed esternazione dei provvedimenti e non più la rigida divisione di compiti tra diversi settori;

pertanto la connotazione essenziale per rivendicare lo svolgimento di mansioni afferenti al profilo C) è proprio l’assunzione di responsabilità all’esterno della volontà provvedimentale dell’Ente, che nella specie era mancata, così come lo svolgimento di tutte le fasi del procedimento;

2.2 la censura non è fondata.

l’interpretazione delle declaratorie contrattuali Area B e area C, del CCNL enti pubblici economici del 1999, di cui si duole il ricorrente, ha costituito già oggetto di esame da parte di questa Corte, in relazione a fattispecie che analogamente a quella in esame, attenevano, sia pure con riguardo ad un diverso Ente (INAIL), all’attribuzione di differenze retributive per mansioni superiori;

nella sentenza n. 8683 del 2018 (cui adde, Cass. sentenza n. 14204 del 2018) si è affermato che il CCNL 16 febbraio 1999 per i dipendenti del comparto enti pubblici non economici inserisce nell’area B il personale “strutturalmente inserito nel processo produttivo” che svolge “fasi o fasce di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate attraverso la gestione delle strumentazioni tecnologiche”, valuta i casi concreti, interpreta le istruzioni operative e “risponde dei risultati secondo la posizione rivestita”;

all’area C appartiene, invece, il personale “competente a svolgere tutte le fasi del processo” che opera “a livelli di responsabilità di diversa ampiezza secondo lo sviluppo del curriculum”, e, quindi, differenziata in ragione della pluralità di ruoli organizzativi, di tipo sia gestionale (operatore di processo, facilitatore di processo, responsabile di processo, responsabile di struttura) che professionale (esperti di progettazione, specialisti di organizzazione); nella declaratoria generale dell’area si precisa che il personale nella stessa inserito “costituisce garanzia di qualità dei risultati, della qualità, di circolarità delle comunicazioni interne, di integrazione delle procedure, di consulenza specialistica”;

la posizione C1 presuppone “conoscenze ed esperienze idonee ad assicurare la capacità di gestire regolare i processi di produzione; attitudini al problem solving rapportate al particolare livello di responsabilità; capacità di operare orientando il proprio contributo all’ottimizzazione del sistema, contribuendo al monitoraggio della qualità; capacità di gestire le varianza del processo in funzione del cliente”;

si e quindi, affermato nella sentenza 8683 del 2018, che l’area C, quindi, si caratterizza rispetto a quella inferiore, oltre che per il diverso livello di conoscenze richiesto al dipendente, per la capacità di quest’ultimo di svolgere tutte le fasi del processo, garantendo la qualità del risultato e con assunzione di responsabilità che, seppure graduata con riferimento allo sviluppo professionale all’interno dell’area stessa, è elemento richiamato in tutti i profili;

al contrario il personale dell’area B, il quale esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, si limita a “rispondere dei risultati secondo la posizione rivestita”, circoscritta alla singola fase, nell’ambito della quale è tenuto solo ad “orientare il contributo professionale ai risultati complessivi del gruppo”;

2.3 venendo infine alle critiche mosse dall’INPS rispetto alla nozione di processo produttivo si osserva che il giudice di appello ha individuato il senso di essa come inerente alla gestione integrale dell’intera filiera di un dato procedimento, dall’atto iniziale agli atti finali, passando per l’istruttoria e la consulenza, intendendo poi per assunzione della responsabilità, anche solo la necessità di rispondere invia diretta del proprio operato al dirigente e ciò in coerenza con i precedenti specifici di questa Corte (Cass. 21 maggio 2013, n. 12407; Cass. 28 aprile 2014, n. 9344);

rispetto a tale compiuta e delineata nozione di processo produttivo, il motivo di ricorso riesce non ad essere concludente in senso critico, limitandosi ad addurre apoditticamente la necessità che per processo si intenda una (in realtà impalpabile) maggiore dimensione dell’attività aziendale interessata dalle lavorazioni;

2.4 in definitiva la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi sopra esaminati, interpretando correttamente le disposizioni contrattuali laddove ha appunto distinto tra fasi del processo e processo nella sua integralità ed ha quindi ritenuto, sulla base di una coerente nozione di processo produttivo, che la lavoratrice avesse appunto svolto l’intera filiera del profilo produttivo ad essa affidato.

3. il ricorso va quindi rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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