Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29425 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 28/12/2011), n.29425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Grazia – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17378-2010 proposto da:

C.V. ((OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. L. LAGRANGE 1, presso lo studio dell’avvocato CARMELO

PIRAINO, rappresento e difeso dall’avvocato SEBASTIANO GHIRLANDA

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE MILIZIE

1, presso lo studio dell’avvocato NAPOLITANI SIMONA, rappresentata e

difesa dall’avvocato CARMEN CURRO, giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 220/2010 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

22/03/2010, depositata il 09/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito l’Avvocato Carmen Curro difensore della ricorrente che insiste

per il rigetto del ricorso riportandosi agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO

che aderisce alla relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 24.11.2011, svoltasi con la presenza del Sost. Proc. Gen. dott. F. Sorrentino, osserva e ritiene:

– il relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si trascrive: “Il relatore, cons M.C. Giancola, esaminati gli atti, osserva:

– C.V. ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione nei confronti della moglie G.L., che ha debitamente resistito con controricorso;

– l’impugnazione concerne la sentenza in data 22.03-9.04.2010 (notificata il 26.04.2010), con cui la Corte di appello di Messina ha respinto il gravame m proposto dal C. contro la sentenza emessa dal Tribunale di Messina in data 10.12.2008, con la quale era stata pronunciata la separazione personale delle parti, con addebito al marito per infedeltà coniugale, nonchè disposto l’affidamento condiviso della figlia minorenne dei coniugi (nata il (OMISSIS)), con domiciliazione presso la madre e previsione di tempi e modi di permanenza presso il padre, nonchè ancora imposto al C. di corrispondere per il mantenimento sia della moglie che della figlia l’assegno mensile di complessivi Euro 1.100,00 (di cui Euro 600,00 per la minore), annualmente rivalutabile, oltre che di contribuire per il 50% alle spese straordinarie della minore;

– a sostegno del ricorso il C. denunzia:

1) Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo si articola in due profili, di cui il primo inerente all’addebito della separazione personale al ricorrente e concernente la prova della sua infedeltà ed il secondo, invece, relativo al regime di affidamento della figlia e segnatamente alle modalità di sua frequentazione della minore e più in particolare al rigetto, in tesi immotivato, del motivo d’appello volto ad ottenere che in un fine settimana al mese, la stessa permanesse e pernottasse presso di lui;

2) Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento alla quantificazione, in tesi incongrua per eccesso, degli assegni dovuti dal C. per il mantenimento della moglie e della figlia e specificamente alla ricostruzione della sua situazione reddituale, dai giudici di merito apprezzata non solo in base ai documentati compensi da lui percepiti sia dall’ASL che dall’Università di Messina, ma anche ai guadagni induttivamente riconnessi all’attività libero professionale di odontoiatra, che il ricorrente tra l’altro asserisce non redditizia all’epoca dell’introduzione del presente giudizio, per essere ancora privo della prescritta abilitazione professionale il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c. per esservi respinto, giacchè: a) entrambi i profili del primo motivo non hanno pregio.

La prova dell’infedeltà del ricorrente ben poteva essere desunta dal complesso degli emersi elementi presuntivi di indubbia valenza, poichè tra gli indizi vanno sicuramente annoverate le testimonianze de relato, le quali, quand’anche soltanto ex parte actoris, possono per giurisprudenza consolidata di questa Corte,, concorrere a determinare il convincimento del giudice, quando siano valutate in relazione a diverse altre circostanze obiettive e soggettive, nonchè ad altre risultanze probatorie, sia pure indiziarie, e tale apprezzamento globale suffraghi attendibilità e credibilità del riferito, avuto anche riguardo alla specificità della situazione rappresentata. D’altra parte, il C. si limita genericamente a richiamare le esigenze di adeguata consistenza dei riscontri e di congruo esame del complessivo quadro probatorio, senza specificare gli elementi che in concreto ne evidenzierebbero il mancato rispetto.

Inammissibile si rivela, invece, il secondo profilo di censura, in quanto relativamente al regime di affidamento condiviso della figlia minorenne delle parti, statuito dai primi giudici, l’impugnata pronuncia ha chiarito le ragioni di relativa conferma anche in ordine alle modalità di frequentazione paterna nonchè ritenuto generici i rilievi a tale riguardo svolti dal C., che anche in questa sede solo genericamente ed apoditticamente avversa tale sfavorevole conclusione, omettendo di fornire riscontri alle sue contestazioni, stante pure la mancata trascrizione delle doglianze formulate e disattese nel pregresso grado;

b) anche il secondo motivo non merita con evidenza favorevole apprezzamento.

Le avversate conclusioni circa la fruizione da parte del C. di redditi ulteriori rispetto a quelli da lui documentati, quali rinvenienti dallo svolgimento (non contestato) della collaterale attività di odontoiatra e circa l’implicita valutazione di capienza delle sue complessive, effettive risorse a fare fronte anche agli esborsi determinati per gli assegni di mantenimento, risultano non efficacemente contrastate dai rilievi dallo stesso svolti, che appaiono o indebitamente affidati a nuovi ed apodittici richiami fattuali o smentiti dal dettato normativo e dalla relativa elaborazione giurisprudenziale, a cui, invece, i giudici di merito si sono ineccepibilmente attenuti, posto che:

in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova e rientra nella discrezionalità del giudice di merito, sicchè il mancato esercizio del relativo potere non è censurabile in sede di legittimità, ove, come nella specie, sia pure per implicito, sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti nel giudizio di separazione l’accertamento della maggiore consistenza rispetto al documentato, dei redditi effettivi dell’obbligato, non deve essere ancorato all’uso di predeterminati parametri induttivi, quali anche quelli contemplati in ambito fiscale, ma è soggetto alle ordinarie regole probatorie, inerenti anche al fatto notorio ed alla prova per presunzioni, apprezzati in sede di merito ai fini della determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento è sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali delle parti.

la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero, che non ha depositato conclusioni scritte, nonchè notificata ai difensori delle parti, che non hanno depositato memorie avverso le proposte contenute nella relazione non è stata, dunque, mossa alcuna osservazione critica nè emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle rassegnate nella condivisa relazione di cui sopra il ricorso va, quindi, respinto, con conseguente condanna del C., soccombente, al pagamento le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il C. a rimborsare alla Giorgio le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500.00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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