Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29425 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 12/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13373/2019 proposto da:

I.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Daniele Romiti,

elettivamente domiciliato presso lo studio del Dott. Giuseppe ed

Alfredo Placidi, in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30, giusta

procura in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BOLOGNA n. 2653/2018,

pubblicata il 18 ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 18 ottobre 2018, la Corte di appello di Bologna, ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 12 luglio 2016 che aveva riconosciuto la protezione sussidiaria in favore di I.F., cittadino proveniente da (OMISSIS).

2. Il ricorrente ha dichiarato di avere lasciato la Nigeria per sfuggire alle minacce di morte ricevute da alcuni uomini che aveva ricondotto al parito (OMISSIS) e ha, poi, riferito che alcuni uomini, che lo consideravano responsabile della scomparsa della sorella che doveva sposare un altro uomo, avevano dato fuoco alla casa dello zio, in cui viveva fin da piccolo non avendo mai conosciuto il padre ed essendo morta la madre quando egli aveva appena otto mesi, causando la morte dello zio.

3. La Corte di appello di Bologna ha ritenuto il racconto del ricorrente inattendibile e contraddittorio e non ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e, con riguardo alla protezione umanitaria, ha affermato che non emergevano ragioni di tutela temporanea del ricorrente, nè era sufficiente la sua giovane età, tenuto conto che egli al momento delle fuga non era minorenne, ma aveva 23 anni.

4. I.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente va dichiarata la tardività del controricorso perchè notificato in data 29 maggio 2019, mentre il ricorso è stato notificato in data 18 aprile 2019.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27; artt. 16 e 46 della Direttiva 2013/32/UE; degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in quanto la Corte di appello ha ritenuto non attendibile il racconto del richiedente senza considerare i criteri di valutazione legali previsti dalla normativa, limitandosi a considerazioni del tutto soggettive e omettendo di disporre l’audizione del richiedente al fine di rendere i chiarimenti ritenuti necessari.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2 La valutazione in ordine alla credibilità della vicenda personale allegata dal cittadino straniero a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione internazionale costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nel caso in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340).

2.3 Il ricorrente, nel caso in esame, non ha prospettato tali vizi e ha ribadito la credibilità delle proprie dichiarazioni, che è stata esclusa dalla Corte territoriale, che ha specificamente evidenziato gli aspetti incoerenti del racconto e le contraddizioni, alle pagine 2 e 3 della sentenza impugnata.

Parimenti il ricorrente ha rilevato la conformità delle dichiarazioni rispetto alle informazioni relative al suo Paese di origine, che non può assumere rilievo, in presenza d’incongruenze tali da far dubitare che i fatti riferiti si siano effettivamente verificati come sono stati narrati.

2.4 Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria del Giudice, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona e che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass., 27 giugno 2018, n. 16925; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5973). Ne consegue che la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

2.5 Sul mancato accoglimento della richiesta di audizione va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui si tratta di un adempimento che, a differenza dell’udienza per la comparizione delle parti, la cui fissazione ha carattere obbligatorio in caso d’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a), deve considerarsi rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Anche di recente, questa Corte ha affermato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).

Ciò posto, il ricorrente, nel caso in esame, non ha dedotto fatti nuovi a sostegno della domanda e non ha precisato gli aspetti in ordine ai quali intendeva fornire chiarimenti.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3 e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, avendo omesso la Corte di appello, erroneamente interpretando l’istituto della protezione umanitaria, di considerare la situazione di insicurezza esistente nel Paese di origine ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

3.1 Il motivo è inammissibile.

I giudici di secondo grado, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, hanno evidenziato che gli elementi emersi non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del ricorrente e che non era sufficiente la sua giovane età, tenuto conto che egli al momento delle fuga non era minorenne, ma aveva 23 anni.

3.2 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

3.3 La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

3.4 La condizione di vulnerabilità, quindi, pur non essendo suscettibile di tipizzazione, non è identificabile con il mero stato d’insicurezza derivante dalla situazione d’instabilità politica e sociale del Paese di origine, ove la stessa, come nella specie, non comporti, in caso di rimpatrio del richiedente, il rischio d’immissione dello stesso in un contesto ambientale idoneo a determinare una significativa ed effettiva compressione dei suoi diritti fondamentali. Diversamente, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

4. Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese tenuto conto della statuizione di inammissibilità del controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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