Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29425 del 07/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 29425 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA

sul ricorso 22994-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
2882

PITOCCO ANDREA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato
SERGIO VACIRCA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CLAUDIO LALLI, giusta delega
in atti ;

Data pubblicazione: 07/12/2017

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 872/2011 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 13/10/2011 R.G.N.

974/2010.

Rilevato

1. che la Corte d’appello di L’Aquila, in riforma della decisione di primo
grado, ha dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra
Poste Italiane s.p.a. e Andrea Pitocco, nel periodo dal 2.1.2002 al 31.12.2002
e dichiarato, per l’effetto, l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato con decorrenza dal 2.1.2002 ; ha condannato la società

pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora, detratto quanto
percepito dal Pitocco in altre occupazioni;
1.2. che, in particolare, il giudice di appello ha escluso che il rapporto inter
partes si fosse risolto per mutuo consenso, rilevando che Poste non aveva
provato, come suo onere, la esistenza della volontà certa e chiara delle parti di
voler porre fine al rapporto, tale non potendo considerarsi il mero decorso del
tempo (circa sei anni) tra la cessazione del rapporto e l’iniziativa del
lavoratore, e dovendo altresì considerarsi che le scelte del Pitocco erano state
sicuramente condizionate dal timore di non essere richiamato a lavorare presso
la società, in ragione della circolare da questa indirizzata ai propri Direttori di
filiale con la quale si invitava gli stessi a non stipulare contratti a tempo
determinato con soggetti che avevano in atto un contenzioso, anche
extragiudiziale, con Poste;
1.3. che in relazione ai contratti in controversia, ritenuti assoggettati, ai
sensi dell’art. 11 d. Igs n. 368 del 2001, esclusivamente alla disciplina dettata
dal d. Igs n. 368 /2001, per essere venuta meno, alla data di stipula del primo
contratto, l’efficacia del contratto collettivo stipulato ai sensi dell’art. 23 L. n.
56 del 1987, il giudice di appello ha rilevato la genericità delle ragioni
giustificative dell’apposizione del termine, non essendo a tal fine sufficiente il
mero richiamo di un’ipotesi astratta formulata dalla contrattazione collettiva o
il riferimento ad accordi sindacali ( del 2001 e del 2002) relativi alla mobilità
del personale ;
1.4. che, infatti, alla luce della disciplina delineata dal d. Igs n. 368 /2001,
applicabile ratione temporis, la esigenza di specificità del termine richiedeva
l’esplicitazione delle ragioni giustificative dell’assunzione a tempo determinato

Poste Italiane s.p.a. alla riammissione in servizio del lavoratore ed al

in relazione alla concreta situazione rapportata al singolo lavoratore nello
specifica filiale o ufficio di destinazione;
1.5. che le deduzioni di fatto e probatorie della società Poste, se da un lato
dimostravano l’ampio processo di ristrutturazione interessante l’intero territorio
nazionale, non evidenziavano alcuna specifica correlazione tra tale processo e
la situazione dell’Ufficio o filiale alla quale il lavoratore era stato adibito e con

1.6. che, infatti, il lavoratore aveva svolto compiti assolutamente ordinari,
per far fronte a normali esigenze di lavoro, in cui erano sistematicamente
utilizzati lavoratori assunti a termine;
1.7. che la illegittimità dell’apposizione del termine e il conseguente
accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
comportava la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate
dalla data di messa in mora, detratto l’alíunde perceptum, non potendo trovare
applicazione il disposto dell’art. 32 comma 5 L. n. 183 del 2010, valevole solo
per i giudizi pendenti in primo grado all’atto della relativa entrata in vigore;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane
s.p.a. sulla base di cinque motivi;
3. che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
4. che entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato
1. che con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.
1372 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
decisivo per il giudizio e nullità della sentenza. Si censura la decisione per
avere respinto la eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso,
evidenziando di avere fatto riferimento al fine di dimostrare la avvenuta
risoluzione ad una serie di circostanze quali la conclusione del contratto alla
naturale scadenza , l’assenza di contestazioni del lavoratore al momento della
cessazione, l’accettazione senza riserve del tfr e di altre indennità connesse
alle cessazione e comunque il notevole lasso di tempo trascorso dalla
cessazione prima dell’iniziativa giudiziale

riferimento alle concrete mansioni da questi espletate;

2. che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione de d.
Igs n. 368 del 2001, art. 1 in relazione alla Direttiva comunitaria 99/70/CE e
all’Accordo quadro concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES e degli accordi
collettivi intervenuti tra Poste Italiane s.p.a. organizzazioni sindacali del 17, 18
e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 e 17 aprile 2002.
Si censura, in sintesi, la decisione per avere affermato la genericità della

produttivo, organizzativo e sostitutivo, emergevano dall’esame dei richiamati
accordi collettivi ed in particolare dell’Accordo 17.10.2001 che evidenziava le
carenze verificatesi nell’ambito del settore recapito

durante la realizzazione

dei processi volti a ridurre le eccedenze di organico ;
3. che con il terzo motivo di ricorso, svolto in subordine, si deduce omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia nonché, violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disposizioni
sulla legge i n generale , dell’art. 1419 cod. civ. , dell’art. 1 d. Igs n. 368 /2001
e dell’art. 115 cod. proc. civ.; si censura, in sintesi, la decisione per avere fatto
conseguire all’accertata illegittimità del termine la conversione del rapporto in
rapporto a tempo indeterminato;
4. che con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 414 cod. proc. civ.; si censura la decisione
per avere condannato la società datrice al risarcimento del danno pur in
mancanza di adeguata allegazione e prova, della quale era onerato il
lavoratore, del pregiudizio subito;
5. che con ulteriore motivo si deduce violazione dell’art. 32 L. n. 183 del
2010, censurandosi la mancata applicazione della norma richiamata ai fini della
liquidazione del danno;
6. che il primo motivo di ricorso è infondato atteso che la decisione
impugnata risulta coerente con il consolidato orientamento di questa Corte
secondo il quale, ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di
lavoro per mutuo consenso -costituente una eccezione in senso stretto, Cass.
7/5/2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente
sull’eccepiente,- Cass. 1/2/ 2010 n. 2279- non è di per sé sufficiente la mera

clausola del termine; si sostiene, infatti, che le ragioni di carattere tecnico,

inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del termine, essendo piuttosto
necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti
una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo (cfr. da ultimo Cass. 17/3/2015 n. 5240, Cass. 28/1/2014
n. 1780, Cass. 11/3/2011 n. 5887, Cass. 4/8/2011 n. 16932, Cass.

6.1. che tali significative circostanze non possono ravvisarsi nella mera
percezione del t.f : r. (indennità di fine lavoro), trattandosi di emolumento
connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur volontaria
accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione del rapporto
(Cass. 13/2/2012 n. 2044, Cass. 9/10/2014 n. 21310);
6.2. che in base alle considerazioni che precedono la decisione impugnata
si sottrae alle censure articolate essendo conforme al principio affermato da
questa Corte che va ribadito anche in questa sede, basato sulla necessaria
valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare
una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla
risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice
trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di
operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso
indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di
una presupposta valutazione sociale “tipica” (v., tra le altre Cass.5/6/2013 n.
14209, Cass. 6/7/ 2007 n. 15264), prescinde del tutto dal presupposto che la
risoluzione per mutuo consenso costituisce pur sempre una manifestazione
negoziale, anche se tacita (Cass. 28/1/2014 n. 1780);
7. che è infondato il secondo motivo di ricorso;
7.1. che, infatti, come ripetutamente chiarito da questa Corte in tema di
apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo
l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in
consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di
Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre;
sentenza del 22 novembre 2005, in causa C- 144/04), un onere di

18/11/2010 n. 23319, Cass. 15/11/2010 n. 23057).

specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di
indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti
identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua
portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal
modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni,
nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, ulteriormente

contratto di lavoro attraverso il riferimento per relationem ad altri testi scritti
accessibili alle parti (v., tra le recenti, Cass. 20/10/2015 n. 21243; Cass.
3/3/2015 n. 4248, cui si rinvia per ulteriori argomentazioni di supporto);
7.2. che la sentenza impugnata non si è discostata dai principi richiamati
avendo espressamente considerato il riferimento nella causale del contratto
individuale degli accordi collettivi richiamati da Poste, ritenendolo inidoneo a
dare contezza delle specifiche esigenze alla base dell’apposizione del termine in
relazione all’ufficio di destinazione del lavoratore e alle mansioni in concreto a
questa assegnate;
7.3. che tale accertamento di fatto, in quanto privo di incongruità ed
illogicità, si sottrae, pertanto, alle doglianze articolate;
8. che è infondato il terzo motivo di ricorso in quanto la sentenza
impugnata, laddove ha collegato alla nullità del termine la conversione del
rapporto in rapporto a tempo indeterminato, è conforme all’insegnamento di
questa Corte (v. tra le altre, Cass. 27/3/2014 n. 7244, Cass. 1/27/2010 n.
2279), secondo cui l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, anche anteriormente alla
modifica introdotta dall’art. 39 della legge n. 247 del 2007, ha confermato il
principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente
a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi
derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola
generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di
insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una
norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai
principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di

precisandosi che tale specificazione può risultare anche indirettamente nel

eterointegrazione

della

disciplina

contrattuale,

nonché

alla

stregua

dell’interpretazione dello stesso art. I citato nel quadro delineato dalla direttiva
comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema
generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato
dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine

parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato;
8.1. che le deduzioni sviluppate da Poste in ordine alla essenzialità del
termine sono inammissibili, in quanto, non essendo la relativa questione,
implicante accertamento di fatto, stata espressamente affrontata dalla Corte,
di merito, costituiva onere di parte ricorrente al fine di evitare una statuizione
di inammissibilità, per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta
deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale at
del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare
“ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la
questione stessa. £Cass. 22/1/2013 n. 1435 del 2013; Cass. 28/7/2008 n.
20518; Cass. 20/10/2006); deve, inoltre, rilevarsi che, come già chiarito da
questa Corte, l’ad 1, comma 2, d.lgs n. 368/2001, nello stabilire che
l’apposizione al contratto di lavoro di un termine non sorretto dalle ragioni di
cui al comma precedente ” è priva di effetto” , ossia cade lasciando in vita il
contratto che rimarrà perciò a tempo indeterminato, costituisce previsione
imperativa nel senso dell’alt 1418, primo comma, cod.civ.,destinata , pertanto,
a prevalere sulla clausola contrattuale che affermi l’essenzialità del termine;
tale clausola, infatti, costituisce manifestazione di autonomia privata, che non
può sovrapporsi alla tutela di un valore costituzionale, quale il lavoro (artt.1,.4,
36 Cost.), di fronte al quale gli interessi individuali recedono (v., tra le altre,
Cass. n. 7244/ 2014, cit.);
9. che è fondato il quinto motivo di ricorso, con effetto di assorbimento del
quarto; che, infatti, in continuità con precedenti arresti di questa Corte deve
essere affermata la applicabilità dello ius superveniens di cui all’art. 32 L. n.

ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità

183 del 2010 ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della norma , ivi
compreso quelli di legittimità (Cass. 09/08/2013 n. 19098, Cass. 29/02/2012
n. 3056„ Cass. 05/06/2012 n. 90239) ;
10. che a tanto consegue la cassazione della decisione nella parte in cui ha
escluso l’applicabilità del ridetto ius superveniens e il rinvio della Asa ad altro
giudice di secondo grado, che si indica nella Corte d’appello di L’Aquila , in

giudizio di legittimità;
P.Q.M.

La Corte accoglie il motivo relativo all’applicazione dell’art. 32 L. n. 183 del
2010 e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo

diversa composizione, al quale è demandato di provvedere sulle spese del

accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, k(-alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Roma 22 giugno 2017
Il President
i unzlorigio GiudIzteto

,

Giovanni R

CORTE SOPREMAD1 CASSAZIOtie
Seziono FIII~

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