Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29424 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 23/12/2020), n.29424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3708/2019 proposto da:

B.J., B.R., e J.D., elettivamente

domiciliati in Roma, Circ.ne Trionfale 77, presso lo studio

dell’avvocato Antonio Gugliotta, che le rappresenta e difende, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, unitamente, quanto

alle prime due al co-difensore avvocato Luciano Bason, in forza di

procura speciale in calce all’atto di costituzione di nuovo

co-difensore del 18/9/2020;

– ricorrenti –

contro

Procura presso il Tribunale per i Minori di Roma, Sindaco di Roma

Capitale, R.V.;

– intimati –

e contro

M.G., quale curatore, legale rappresentante e difensore dei

minori J.I.I., J.J.M.,

J.S., e R.F., elettivamente domiciliato in Roma

Via Giovanni Nicotera, 7, presso il proprio studio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8090/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale per i Minorenni di Roma con sentenza del 4/5/2018 n. 104 ha dichiarato lo stato di adottabilità di quattro minori R.F. (nata nel (OMISSIS)), J.J.M. (nato nel (OMISSIS)), J.S. (nata nel (OMISSIS)) e J.I.I. (nata nel (OMISSIS)), tutti figli di J.D. e soltanto la prima ( F.) figlia riconosciuta di R.V., confermando la nomina a tutore provvisorio del Sindaco di Roma, vietando i contatti fra i bambini e i parenti e disponendo il reperimento di una famiglia collocataria.

Avverso tale sentenza hanno separatamente proposto appello J.D., che ha chiesto la revoca dello stato di adottabilità e la ripresa dei contatti con i minori, R.V., che ha chiesto la revoca dello stato di adottabilità e l’affidamento dei minori, da collocare presso la nonna paterna, e la nonna paterna e due zie paterne, e cioè B.P., B.R. e R.R., che hanno chiesto la revoca dello stato di adottabilità e l’affidamento e la collocazione presso di loro dei nipoti.

I tre procedimenti sono stati riuniti; per i minori si è costituito

in giudizio il difensore d’ufficio, chiedendo la conferma della sentenza impugnata e l’estromissione di B.P., B.R. e R.R..

La Corte di appello di Roma, Sezione per i Minorenni, con sentenza del 19/12/2018 ha dichiarato inammissibile l’appello di B.P. e B.R.; ha dichiarato inammissibile l’appello di R.V. riguardo ai minori diversi da R.F.; ha respinto nel merito l’appello di R.V. quanto alla minore R.F.; ha respinto l’appello di J.D.; ha condannato B.J., B.R. e R.R. al pagamento delle spese nei confronti dei minori, compensandole fra le altre parti.

2. Avverso la predetta sentenza con atto notificato il 17/1/2019 hanno proposto ricorso per cassazione della L. n. 184 del 1983, ex art. 17, comma 2, J.D., B.J. e B.R., svolgendo cinque motivi.

Con atto notificato il 18/2/2019 ha proposto controricorso il difensore dei quattro minori R.F., J.J.M., J.S., J.I.I., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

In data 16/10/2020 per B.J. e B.R. si è costituto un nuovo co-difensore, depositando memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 15, comma 3 e art. 12, comma 1, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU.

1.1. Le ricorrenti si riferiscono alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello interposto da B.P. e R., nonna e zia paterna dei minori, e lamentano le ricorrenti che sia stata dichiarata l’inammissibilità della predetta impugnazione, avendo la Corte di appello ritenuto B.J. e B.R. mere litisconsorti eventuali non costituite in primo grado, nonostante la mancata notifica della richiesta del Pubblico Ministero del riconoscimento dello stato di abbandono dei minori.

1.2. Nessuna censura è stata proposta con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello proposto da R.R..

Inoltre nessun interesse apprezzabile possiede J.D. a ricorrere avverso la dichiarazione inammissibilità della impugnazione proposta da B.J. e B.R., che per l’appunto non la riguarda affatto, visto che non è stata messa in discussione la sua personale legittimazione ad impugnare.

1.3. La legittimazione attiva ad impugnare non può essere riconosciuta a B.J. e B.R., che non erano state parti nel giudizio di primo grado e avevano invece partecipato ad un giudizio anteriore e diverso in tema di sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale.

La legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonchè alla titolarità del rapporto sostanziale, purchè sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta.

(Sez. 6 – 5, n. 15356 del 20/07/2020, Rv. 658530 – 01; Sez. 5, n. 13584 del 30/05/2017, Rv. 644356 – 01) Sez. 6 – 5, n. 20789 del 02/10/2014, Rv. 632780 – 01).

Del tutto correttamente poi è stata esclusa la possibilità di un intervento adesivo in appello, consentito ex art. 344 c.p.c., solo chi potrebbe proporre opposizione ex art. 404 c.p.c., alla sentenza che pregiudica i suoi diritti.

Solo i terzi titolari di un diritto autonomo rispetto a quello oggetto di contesa tra le parti originarie, suscettibile di pregiudizio per effetto della decisione fra di esse pronunciata, possiede legittimazione ad intervenire in grado di appello, secondo la previsione dell’art. 344 c.p.c., in relazione all’art. 404 c.p.c. (Sez. 2, n. 31313 del 04/12/2018, Rv. 651601 – 02).

Proprio con riferimento alla materia del provvedimento dichiarativo dello stato di adottabilità è stato chiarito che la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo ed incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti (Sez. 1, n. 7698 del 06/08/1998, Rv. 517790 – 01).

1.4. Le due congiunte, nonna e zia paterna, reclamano la propria legittimazione sulla base del rapporto parentale entro il quarto grado con i minori.

E’ appena il caso di evidenziare che tale argomentazione vale solo per la minore R.F., figlia riconosciuta da R.V. e non per gli altri tre minori J.J.M., S. e I.I., che il predetto R.V. non ha mai riconosciuto, nè chiesto di poter riconoscere nell’ambito del presente procedimento, come ineccepibilmente argomentato dalla Corte capitolina alle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, a cui la sentenza impugnata si è conformata, ai fini della legittimazione all’opposizione avverso il decreto dichiarativo dello stato di adottabilità devono considerarsi genitori solo coloro che hanno acquisito giuridicamente il relativo status, non anche i genitori biologici – intesi come presunti o assunti tali – ai quali nel procedimento de quo non spettano notifiche o poteri processuali, salva la possibilità offerta dalla L. n. 184 del 1983, art. 11, di chiedere la sospensione della procedura per poter effettuare il riconoscimento (Sez. 1, n. 7698 del 06/08/1998, Rv. 517789 – 01).

E’ evidente che l’assenza del rapporto giuridico di filiazione con riferimento ai tre minori diversi da F., in conseguenza del mancato riconoscimento da parte dell’asserito padre biologico R.V., preclude in radice la configurabilità del rapporto parentale che ex art. 74 c.c., presuppone la filiazione, nel momento in cui definisce la parentela come il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo.

1.5. Quanto alla minore F., per cui il rapporto parentale effettivamente sussiste, la nonna e la zia paterna invocano la propria legittimazione quali litisconsorti necessari nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità ai sensi della L. n. 184 del 1983, artt. 11 e 12, quali “parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, i genitori dell’adottando, ove esistenti, sono le sole parti necessarie e formali dell’intero procedimento e quindi litisconsorti necessari anche nel giudizio di appello, quand’anche in primo grado non si siano costituiti, nonchè unici soggetti a dover essere obbligatoriamente sentiti, poichè la convocazione dei parenti entro il quarto grado è richiesta solo in mancanza dei genitori e sempre che tali familiari abbiano rapporti significativi con il minore, sicchè, ove i genitori del minore siano stati già sentiti nel corso del giudizio, la mancata audizione di parenti entro il quarto grado (nella specie, la nonna materna), per di più in difetto di specifiche indicazioni circa la sussistenza di rapporti significativi intrattenuti con il minore, non può avere conseguenza alcuna sulla legittimità del procedimento (Sez. 1, n. 15369 del 22/07/2015, Rv. 636485 – 01; vedi anche Sez. 1, n. 26879 del 23/10/2018, Rv. 651447 – 01; Sez. 1, n. 18689 del 22/09/2015, Rv. 637107 – 01; Sez. 1, n. 1840 del 26/01/2011, Rv. 616540 – 01).

Inoltre è stato precisato che lo stato di abbandono dei minori non può essere escluso in conseguenza della disponibilità a prendersi cura di loro, manifestata da parenti entro il quarto grado, quando non sussistano rapporti significativi pregressi tra loro ed i bambini, e neppure possano individuarsi potenzialità di recupero dei rapporti, non traumatiche per i minori, in tempi compatibili con lo sviluppo equilibrato della loro personalità (Sez. 1, n. 9021 del 11/04/2018, Rv. 648885 – 01; vedi anche Sez. 1, n. 2102 del 28/01/2011, Rv. 616556 – 01); si è aggiunto che lo stato di abbandono può essere escluso soltanto in presenza di rapporti pregressi ed attuali, fra il minore ed il predetto parente, caratterizzati da una sufficiente “autonomia” di tale congiunto dai genitori e tali da assicurare, direttamente o mediante sostegni esterni, una situazione affettiva, morale e materiale, da accertare con riscontri obbiettivi, idonea a prefigurare un adeguato equilibrio psico-fisico e l’armonioso sviluppo della sua personalità (Sez. 1, n. 2123 del 29/01/2010, Rv. 611588-01).

Inoltre si è sottolineato che la mera disponibilità verbale ad adempiere gli obblighi educativi nei confronti del minore ovvero un semplice dissenso rispetto all’atteggiamento dei genitori, manifestati dai parenti entro il quarto grado, non vale ad escludere lo stato di abbandono del minore, occorrendo a tal fine un comportamento attivo, volto, in caso di comportamenti pregiudizievoli dei genitori, ad impedirli ed a scongiurare la permanenza di una loro influenza negativa sul minore (Sez. 1, n. 18219 del 11/08/2009, Rv. 610348 – 01).

1.6. Nella specie il rapporto familiare significativo con la minore F. (e per quanto potesse valere, con gli altri minori non legati da rapporto parentale) è stato escluso dalla Corte di appello, alle pagine 13 e 14 e a pagina 18, con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio motivazionale nei limiti attualmente consentiti dal mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e comunque non specificamente censurato.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, le ricorrenti lamentano violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 10 e 11, per l’omessa valutazione e disposizione di accertamenti opportunamente richiesti in merito alla sussistenza di parenti entro il quarto grado con violazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU.

Quanto esposto con riferimento al primo motivo vale anche per il secondo, in particolare per quanto riguarda i tre minori più piccoli, non riconosciuti da R.V..

Il motivo, apparentemente formulato con riferimento dell’art. 360, n. 5, senza però dedurre alcun omesso esame di fatto storico oggetto di discussione fra le parti, sembra sottendere una mera violazione di legge.

Questa peraltro deve essere esclusa avendo la Corte romana valutato ed escluso la sussistenza di rapporti significativi della minore con nonna e zia.

Le ricorrenti in realtà esprimono una critica sul merito delle valutazioni della Corte di appello e delle fonti di prova da essa utilizzate, in particolare le relazioni dei servizi sociali, ritenute carenti e apodittiche, finendo con il proporre in una inammissibile critica all’attività di valutazione delle prove compiute dal Giudice del merito.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, le ricorrenti lamentano violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa valutazione e motivazione circa i motivi di doglianza esposti nell’atto d’appello della madre J.D., con particolare riguardo al mancato ascolto dei minori, con violazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU.

3.1. I minori, in particolare F. e M., avrebbero dovuto essere ascoltati o sottoposti a perizia ad hoc, visto che erano stati ritenuti capaci di discernimento tanto da utilizzare le loro dichiarazioni riportate dalle assistenti sociali (peraltro denunciate) come quelle di validi testimoni (con riferimento all’episodio del calcio sferrato da R.V. al passeggino di I. proiettandola contro un cancello di ferro e il selciato).

Le ricorrenti richiamano altresì l’art. 360 c.p.c., n. 4 e la L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4 e art. 10 e l’art. 336 c.c., comma 4, senza tuttavia esporre alcuna argomentazione a supporto della dedotta violazione di disposizioni che riguardano il diritto di difesa dei minori, concretamente assicurato nell’ambito del presente procedimento.

3.2. Sia l’art. 10, comma 5, sia della L. n. 184 del 1983, art. 15, comma 4, prevedono che l’audizione del minore sia obbligatoria solo nel caso minore in cui abbia compiuto gli anni dodici, ammettendo l’audizione anche del minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento.

E’ stato chiarito che l’audizione del minore non rappresenta una testimonianza o un altro atto istruttorio rivolto ad acquisire una risultanza favorevole all’una o all’altra soluzione, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto (Sez. 1, n. 7282 del 26/03/2010, Rv. 612679 – 01).

Nella fattispecie l’audizione dei minori non era obbligatoria e i Giudici del merito si sono avvalsi della loro discrezionalità nel non disporla.

Non sussiste poi alcun fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti il cui esame sia stato omesso, come sembrerebbero voler sostenere le ricorrenti con il ricorso al mezzo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Le ricorrenti fanno riferimento all’atto di appello di J.D. e al suo terzo motivo, ampiamente trascritto, in cui peraltro si instava solamente per l’esperimento di accertamenti ad hoc volti a inquadrare l’effettivo rapporto intercorrente tra la prole e la madre, senza richiedere l’audizione dei minori.

La Corte di appello ha comunque valutato la richiesta di ulteriori accertamenti specialistici per la valutazione del rapporto fra la J. e i quattro minori (pag. 19, terzo capoverso), disattendendola motivatamente alla luce dei gravissimi comportamenti tenuti dai genitori, della comprovata assenza di consapevolezza di detta gravità e dell’assenza di elementi attestanti la presenza di parenti legati da rapporti significativi con i bambini.

L’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito. (Sez. 6 – 1, n. 16214 del 17/06/2019, Rv. 654713 – 01; Sez. 2, n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 02; Sez. 6 – 1, n. 5654 del 07/03/2017, Rv. 643989 – 01; Sez. 3, n. 11457 del 17/05/2007, Rv. 596714 – 01).

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge e omesso esame di un fatto decisivo in riferimento alla mancata effettuazione di accertamenti sulla personalità della madre, ritenuta inidonea al ruolo genitoriale, con violazione della L. n. 183 del 1984, artt. 8 e 14.

Le considerazioni esposte nel paragrafo precedente valgono anche con riferimento alla richiesta di accertamenti sulla persona di J.D. e della sua attitudine al ruolo genitoriale, che è stata specificamente valutata dalla Corte di appello, al pari dell’istanza istruttoria di accertamenti, respinta con adeguata motivazione nell’esercizio dei poteri discrezionali che spettano al giudice del merito.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 10 e 11, con riferimento alla lamentata violazione del diritto all’unità familiare.

5.1. Le ricorrenti invocano il diritto dei minori a crescere nell’ambito della propria famiglia di origine, quale ambiente più idoneo al loro armonico sviluppo psicofisico, come scelta prioritaria da garantire attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere le situazioni di difficoltà e di disagio.

Secondo le ricorrenti nel giudizio in questione non erano stati fatti i necessari tentativi di mantenere la crescita dei minori nell’alveo familiare procedendo all’eventuale recupero delle inadeguatezze genitoriali e al riguardo la sentenza impugnata era totalmente carente di motivazione anche in violazione dell’art. 112 c.p.c..

5.2. E’ pur vero che nella giurisprudenza di questa Corte è stato affermato che in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori siano considerati privi della capacità genitoriale, la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l’adozione ultra-familiare costituisce l’extrema ratio impongono di valutare anche le figure vicariali dei parenti più stretti, che abbiano rapporti significativi con il bambino e si siano resi disponibili alla sua cura ed educazione. Tale valutazione richiede che un giudizio negativo su di essi possa essere formulato solo attraverso la considerazione di dati oggettivi, quali le osservazioni dei servizi sociali che hanno monitorato l’ambito familiare o eventualmente il parere di un consulente tecnico. (Sez. 1, n. 3915 del 16/02/2018, Rv. 647147 – 01).

Ed ancora posto che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una “soluzione estrema”, poichè il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali. (Sez. 1, n. 7559 del 27/03/2018, Rv. 648444 – 01).

5.3. Tuttavia la Corte territoriale non si è affatto sottratta a tale compito scrutinando attentamente le condotte genitoriali di J.D. e pervenendo a valutarla come “profondamente e irrimediabilmente abbandonica nei confronti di tutti e quattro i figli” (pag. 14) e ad asserire che “non vi è spazio per un recupero (che comunque allo stato è solo eventuale) tantomeno in tempi compatibili con le esigenze dei minori” (pag. 17), elencando nella pagine da 14 a 18 specificamente tutti i comportamenti di J.D. che fondavano tale valutazione complessiva.

Vale a dire: rifiuto di presentazione di denuncia a gennaio 2017 a tutela dei minori; contatto con i familiari a novembre 2017 quando ormai si trovava in struttura protetta con i minori e allontanamento dalla struttura con i minori un mese dopo; ammissione di contatti telefonici con i parenti e riconduzione dei

minori in ambito violento, pur avendo richiesto e ottenuto

protezione; anteposizione degli interessi del gruppo familiare che l’aveva venduta al R. a quelli dei quattro minori; rivelazione al R. dell’indirizzo del centro antiviolenza, consentendogli di accedervi gettando nel panico gli altri ospiti; mancanza di disciplina ed educazione, assenza di scolarizzazione, incompletezza delle vaccinazioni riferite dalla relazione dei servizi sociali del (OMISSIS); episodio parimenti riferito nella predetta relazione sulla base del racconto di F. e M. di un atto di violenza (calcio al passeggino con proiezione della bimba contro un cancello e il selciato) del R. nei confronti di I., soccorsa solo dai fratelli maggiori; disagio dei minori riferito dalle assistenti sociali all’udienza del 23/4/2018; partecipazione personale alla sottrazione di M. e S. dalla casa famiglia a (OMISSIS); costante minimizzazione dei comportamenti lesivi; considerazione recessiva delle esigenze dei minori rispetto alla relazione con il compagno maltrattante e violento, anche quando le è stata offerta protezione; risultanze della relazione del centro antiviolenza del (OMISSIS) circa le condizioni fortemente minate delle risorse della sig.ra J., in situazione di stress psicofisico e di incapacità di elaborazione del proprio vissuto personale di violenze subite.

La Corte di appello ha quindi affermato che non vi erano basi per ritenere che il terzo tentativo sarebbe andato a buon fine, diversamente dai primi due, per di più in tempo funzionalmente compatibili con i tempi di recupero dei figli, già costretti da anni a vivere in un contesto familiare degradato con l’impossibilità di un recupero genitoriale in tempi congrui (sentenza impugnata, pag. 17).

Per altro verso, a pag. 18, è stata valutata negativamente anche la possibilità di un coinvolgimento della nonna e della zia, figure parentali già non ritenute legate da un rapporto significativo con i minori, sia pur esclusivamente in relazione alla minore F., unica legata da vincolo parentale.

Il motivato accertamento in fatto così effettuato dal Giudice del merito esclude sia l’omissione di pronuncia, sia l’omissione di motivazione, sia la violazione di legge denunciata e appare quindi insindacabile in sede di legittimità.

6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite.

La Corte ritiene necessario disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto, della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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