Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29423 del 07/12/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 29423 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 16290-2015 proposto da:
CASASOLE GIUSEPPINA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE ANGELIC0,205, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCA TULANTI, rappresentata e
difesa dall’avvocato CLAUDIA POLACCHI, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2017
contro

2082

UNIONE AGRICOLTORI SERVIZI S.R.L.;
– intimata V

i.

Nonché da:

Data pubblicazione: 07/12/2017

UNIONE AGRICOLTORI SERVIZI S.R.L. in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo
studio degli avvocati ANGELO PANDOLFO, MARIALUCREZIA
TURCO, che la rappresentano e difendono, giusta

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

CASASOLE GIUSEPPINA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE ANGELIC0,205, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCA TULANTI, rappresentata e
difesa dall’avvocato CLAUDIA POLACCHI, giusta delega
in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 10075/2014 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/12/2014 R.G.N.
6997/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi;
udito l’Avvocato VERGHINI EMANUELE per delega
Avvocato POLACCHI CLAUDIA;
udito l’Avvocato CRISTIANA PILO per delega verbale

delega in atti;

\

Avvocato PANDOLFO ANGELO.

RG 16290/15

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Giuseppina Casasole impugnava la sentenza del Tribunale di Viterbo
(depositata il 16.5.13) che aveva respinto la sua domanda avanzata
nei confronti dell’Unione Agricoltori Servizi s.r.l. (di seguito UAS), ex
datrice di lavoro, volta ad ottenere l’accertamento della nullità ed

intimatole il 19.5.08, poco dopo l’ordinanza cautelare del Tribunale di
Viterbo che la reintegrava nel suo posto di lavoro presso l’UAS; il
Tribunale rigettava conseguentemente anche la proposta domanda di
risarcimento del danno biologico. Il primo giudice aveva ritenuto
infondata la domanda non sussistendo la prova della natura
discriminatoria e ritorsiva del licenziamento ed essendo emersa,
all’esito della prova orale e documentale, la sussistenza del giustificato
motivo addotto (impossibilità di mantenere in servizio la lavoratrice,
reintegrata nel posto di lavoro, in quanto l’organico del personale era
mutato, a seguito della cessione del servizio IVA; che le aziende
assistite erano passate dalle circa 650 del 2006 a poco più 500 unità
del 2007, con previsione di ulteriore diminuzione; che le funzioni a suo
tempo svolte dalla Casasole erano state da allora assegnate ad altro
dipendente; nonché l’insussistenza di altre mansioni equivalenti). Il
Tribunale riteneva altresì conforme a buona fede la scelta di licenziare
la ricorrente rispetto ad altri lavoratori, disimpegnanti, a differenza
della Casasole, mansioni fungibili.
L’appellante evidenziava l’erroneità della decisione, in particolare per
non avere accertato l’illegittimità del licenziamento: a) per nullità del
motivo, in quanto volto ad eludere il provvedimento di reintegra ed
intimato in ragione della sua precedente esclusione, accertata in
giudizio come illegittima, dal trasferimento presso la società (UAS),
quando a quest’ultima, l’associazione Unione Provinciale Agricoltori (di
seguito UPA), poi divenuta Confagricoltura Viterbo Rieti, aveva
trasferito il servizio IVA con il personale ad esso addetto; b) perché
adottato quale ritorsione al rifiuto opposto, nel 2000, al passaggio alle
dipendenze della Società, previe dimissioni e rinuncia ad ogni pretesa
verso l’Unione; c) per avere irritualmente ammesso la prova orale
3

illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

RG 16290/15

richiesta dalla società; d) per avere erroneamente ritenuto il
licenziamento sorretto da giustificato motivo oggettivo, nonché per
avere ritenuto corretta la scelta della ricorrente come destinataria
dell’atto espulsivo; e) per non aver deciso in ordine al richiesto
risarcimento del danno.
Radicatosi il contraddittorio, con sentenza depositata il 16.12.14, la

il licenziamento intimato alla ricorrente; condannava la società
appellata a riassumere la stessa entro tre giorni, ovvero a risarcirle il
danno, pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre
accessori di legge, nonché a pagare le spese del doppio grado.
Riteneva la Corte che la ragione fondamentale posta a base del
licenziamento consisteva nella mancanza di esperienza della lavoratrice
in mansioni diverse da quelle di addetta all’IVA, ma che tale ragione
era illecita in quanto derivante dalla mancata assunzione della Casasole
sin dal 2000 (allorquando venne trasferito da UPA all’UAS il servizio
Iva), tanto che intervenne (altra) sentenza di reintegra della lavoratrice
presso l’UAS (Trib. Viterbo n. 141\09). Riteneva infine la Corte non
provato il requisito dimensionale necessario ai fini dell’applicazione
dell’art. 18 L. n. 300\70.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Casasole, affidato
a cinque motivi.
Resiste l’Unione Agricoltori Servizi s.r.l. con controricorso, contenente
ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resiste la Casasole con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la lavoratrice denuncia la violazione dell’art. 112
c.p.c. dolendosi che la Corte capitolina aveva omesso di pronunciarsi
sulla lamentata inammissibilità delle prove testimoniali escusse in
primo grado.
Il motivo, così come proposto, difetta di interesse ed è dunque
inammissibile, non spiegando la ricorrente, incorrendo così anche nel
vizio di autosufficienza, perché, pur avendo la sentenza impugnata
4

Corte d’appello di Roma in riforma della sentenza impugnata, annullava

RG 16290/15

accertato l’illegittimità del licenziamento, la dedotta mancata
valutazione di inammissibilità delle prove escusse in primo grado sia
stata per essa fonte di pregiudizio.
2.- Con il secondo motivo la lavoratrice denuncia la violazione degli
artt. 416 e 421 c.p.c. per non avere la corte capitolina, al pari del
primo giudice, dichiarato l’inammissibilità (in primo grado) della prova

alla ricerca della verità materiale), giungendo così a dichiarare
illegittimo e non nullo il licenziamento intimatole (ritenendo in sostanza
esservi la prova, in tesi nulla, delle condizioni obiettive del
licenziamento in questione).
Anche tale motivo difetta di interesse per ragioni sostanzialmente
analoghe a quelle esposte sub 1), posto che se è vero che la sentenza
impugnata ha affermato sussistere in teoria le condizioni per un
giustificato motivo obiettivo di licenziamento, ha comunque dichiarato
tale licenziamento illegittimo (ed in sostanza illecito) per essere
fondato sulla mancata esperienza della Casasole in mansioni diverse da
quelle inerenti VIVA, circostanza che tuttavia derivava dalla mancata e
dovuta assunzione, sin dal 2000, della lavoratrice, così “elevando,
inammissibilmente, il suo inadempimento a ragione giustificatrice del
recesso”.
3.- Col il terzo motivo la lavoratrice denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 18 L. n. 300\70, avendo la sentenza impugnata
escluso la relativa necessaria consistenza numerica dell’azienda sulla
base delle dette testimonianze e sulle altre emergenze di causa, in
particolare escludendo che la UAS e la Confagricoltura potessero
considerarsi un unico centro di imputazione giuridica.
Il motivo, che comunque non chiarisce per quale specifica ragione le
due associazioni dovessero considerarsi tali, è inammissibile.
Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio
di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla
motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai
di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del
processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato
5

per testi avversaria (senza peraltro far uso dei poteri ufficiosi diretti

RG 16290/15

sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone
la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non
ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art.
360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione
interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di
legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053),

ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione
del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di
legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione
(rimessi all’apprezzamento del giudice di merito,) ineriscono ad un
vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di
diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo,
in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.
4.- Con il quarto motivo la Casasole denuncia l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, e cioè che l’organico della datrice di lavoro UAS era rimasto
invariato sia prima che dopo il licenziamento intimatole e che il suo
posto di lavoro non era stato soppresso.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, come in precedenza
detto, avendo comunque la sentenza impugnata dichiarato illegittimo il
licenziamento. Inoltre, quanto alla esclusione della tutela cd. reale, non
può che rinviarsi alle considerazioni esposte sub 3) circa
l’inammissibilità della censura, inerendo accertamenti di fatto compiuti
dalla sentenza impugnata.
5.- Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art.
132 n. 4 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al
mancato riconoscimento del danno non patrimoniale richiesto.
Il motivo, sotto il profilo della denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c.,
è infondato, avendo la corte di merito motivato sul punto, ritenendo
sfornita di prova la relativa richiesta. A questo punto la censura, che
investe le valutazioni operate dalla sentenza impugnata in ordine alla
insufficiente documentazione sanitaria al riguardo prodotta, diviene
inammissibile alla luce del novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.
6

coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi

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6.- Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato.
Venendo all’esame del ricorso incidentale si osserva.
7.-

Con il primo motivo l’UAS denuncia la violazione e falsa

applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., dell’art. 3 L. n. 604\66,
nonché dell’art. 115 c.p.c.
Lamenta che la corte di merito basò l’illegittimità del licenziamento

mansioni diverse da quelle inerenti le operazioni i.v.a., ciò derivando
solo dal colpevole inadempimento della società all’obbligo di assumere
la lavoratrice sin dal 2000 (allorquando il servizio venne ceduto all’UAS
dalla UPA).
Si duole che in tal modo la sentenza abbia inammissibilmente
sindacato, nella sostanza, delle scelte imprenditoriali tutelate dall’art.
41 Cost.
Il motivo è infondato, non avendo la corte territoriale sindacato scelte
imprenditoriali ma ritenuto in contrasto con i canoni di correttezza e
buona fede il licenziamento intimato alla lavoratrice per tale ragione.
Inoltre, se è vero che la giurisprudenza di legittimità ha, in via
generale, ritenuto che la violazione dei canoni di correttezza e buona
fede configuri eccezione da sollevarsi esplicitamente (Cass. n. 5974\05,
n. 4229\01, n.7050\97), nella specie, in realtà, la corte di merito ha
valutato la correttezza, contestata dalla lavoratrice, della scelta di
recesso ricadente sulla sua persona, mentre la stessa società (pag. 5
sentenza) ha dedotto di avere agito secondo correttezza e buona fede,
sicché la questione era legittimamente devoluta ed esaminabile dal
giudice di appello.
Risulta infondato anche il secondo profilo di censura incidentale, circa
l’illegittima applicazione dei parametri di cui all’art. 5 L. n. 223\91 per il
licenziamento individuale in questione. Ed invero la sentenza
impugnata ha esplicitamente escluso di poter far ricorso a tali criteri
(pag. 6 sentenza).
8.-Entrambi i ricorsi debbono pertanto essere rigettati.
Le spese di lite, stante la reciproca soccombenza, sono interamente
compensate tra le parti.

7

sulla dedotta mancanza di esperienza lavorativa della Casasole in

RG 16290/15

Risultando la Casasole ammessa al patrocinio a spese dello Stato, deve
escludersi, allo stato, la debenza di quanto previsto dall’art. 13 c. 1
quater del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n.
228.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del presente

n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il relativo ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art.13.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 10 maggio 2017
Il Cons. est.

Il Presidente
(dr. Vincenzo Di Cerbo)

il Funzionario Giudizitzio
. Giovanni R

9~-;

CORTE SUPREMA N CASSADONt •

IV Seziono 1.11111110~ ,

giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.

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