Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29422 del 07/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/12/2017, (ud. 10/05/2017, dep.07/12/2017),  n. 29422

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Viterbo, C.G. deduceva: di esser stata assunta ad ottobre 1975 dall’Unione Provinciale Agricoltori di Viterbo (di seguito UPA), successivamente divenuta CONFAGRICOLTURA Viterbo-Rieti, come impiegata di concetto a tempo parziale e dal settembre 1977 a tempo pieno, rapporto regolarizzato nel febbraio 1978; – che dal 1982 al 2000 aveva in gestione l’intero servizio IVA, mansioni corrispondenti al superiore inquadramento come funzionario di primo livello; – che nel gennaio 1984 veniva promossa a funzionario di 2^ livello; – che dal maggio 1993 il rapporto di lavoro veniva trasformato in part time; – che nel 2000 l’UPA realizzava il trasferimento di tutti i servizi – compreso quello gestito dalla ricorrente – alla società Unione Agricoltori Servizi, sollecitando tutti i dipendenti da trasferire a sottoscrivere un verbale di conciliazione con rinuncia ai diritti maturati nel pregresso periodo; – che la ricorrente, essendosi rifiutata di firmare la predetta rinuncia, veniva mantenuta in servizio presso l’associazione UPA – unica tra tutti i dipendenti addetti ai servizi trasferiti; – che nel maggio 2001 riceveva un ordine di servizio nel quale figurava inquadrata nel 4^ livello ed addetta a mansioni esecutive, servizi assicurativi e rapporto soci; che, a fronte di minaccia di licenziamento, la ricorrente – madre di tre figli e con famiglia monoreddito – si vedeva costretta a firmare verbale dl conciliazione con accettazione del demansionamento e rinuncia ad ogni pretesa per il pregresso; -che, rientrata in servizio dopo la maternità, veniva collocata nell’androne di ingresso e privata della possibilità di collegamento al sistema centrale; – che a causa di tale comportamento la ricorrente veniva colpita nel 2004 da sindrome ansioso depressiva; – che il 5.4.05 veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo.

Tanto premesso, conveniva in causa la CONFAGRICOLTURA VITERBO-RIETI e la UNIONE AGRICOLTORI SERVIZI s.r.l. chiedendo: – dichiararsi la nullità del licenziamento od in subordine la illegittimità con applicazione della tutela obbligatoria; – dichiarare, in ogni caso, costituito, dalla data del trasferimento del ramo di azienda alla UNIONE AGRICOLTORI SERVIZI, il rapporto di lavoro con quest’ultima società con inquadramento come funzionario di 2^ livello e conseguentemente dichiarare nullo il licenziamento intimato da altro datore di lavoro; condannare le convenute in solido o ciascuna per la sua parte al pagamento dello straordinario, delle differenze retributive, delle ferie non godute; – condannare le convenute al risarcimento dei danni morale, biologico ed esistenziale per il demansionamento ovvero per il comportamento vessatorio; – dichiarare nulla o annullare la transazione dell’11.6.01; – condannare le convenute al risarcimento del danno da omissione contributiva e della differenza di TFR in ragione del periodo non regolarizzato.

Si costituivano ritualmente le convenute contestando la domanda.

Il Tribunale di Viterbo, con sentenza n. 141/09, relativamente alle pretese retributive per superiore inquadramento e straordinari, riteneva valida ed efficace, in parte qua, l’intervenuta conciliazione con l’UPA con rinuncia ai diritti pregressi; -dichiarava che il rapporto di lavoro della ricorrente doveva ritenersi proseguito – a parità di qualifica, mansioni, anzianità e trattamento retributivo – con la Unione Agricoltori Servizi s.r.l., dovendosi valutare come imprenditoriale l’attività svolta dall’UPA (Unione Provinciale Agricoltori Viterbo, oggi Confagricoltura Viterbo-Rieti) con conseguente applicazione alla vicenda dell’art. 2112 c.c., ordinava alla società la reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni dovute dal 6.4.05 all’effettiva reintegra; dichiarava inesistente il licenziamento intimato da Confagricoltura; annullava il verbale di conciliazione limitatamente alla parte relativa alla ricollocazione aziendale ed al reinquadramento; – condannava le convenute in solido al risarcimento del danno patrimoniale da demansionamento nella misura di Euro 10.000,00; – rigettava ogni ulteriore domanda.

Avverso tale sentenza proponevano appello tutte le menzionate parti. Radicatosi il contraddittorio, con sentenza depositata il 2.9.14, la Corte d’appello di Roma rigettava i contrapposti gravami.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C., affidato a cinque motivi.

Resistono l’Unione Agricoltura servizi s.r.l. e la Confagricoltura Viterbo Rieti con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la C. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la C. denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.

Lamenta che la sentenza impugnata, pur avendo essa ricorrente richiesto la declaratoria di nullità del licenziamento, aveva ritenuto non provata la natura ritorsiva del recesso (in tesi causata dalla mancata accettazione della rinuncia ai diritti maturati al momento del trasferimento del servizio IVA).

Il motivo è inammissibile, difettando di interesse, avendo la sentenza impugnata comunque dichiarato illegittimo il licenziamento in questione. Nè sussistono differenze sul piano sanzionatorio, applicandosi in ogni caso la cd. tutela reale, disposta dal giudice di merito.

2.- Con il secondo motivo la C. denuncia ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la sentenza impugnata omesso di esaminare la voce di danno da demansionamento sotto il profilo di perdita di chances, pur avendo riconosciuto quelli all’immagine, alla vita di relazione e biologico.

Il motivo è infondato, non avendo la ricorrente principale dimostrato affatto in cosa consisterebbe il lamentato danno da perdita di chances (e cioè della possibilità di ricevere ulteriori utilità economiche, preclusa da un comportamento illegittimo del datore di lavoro), nè circostanze più precise risultano dedotte in sede di gravame, sì da ritenersi comunque implicitamente respinto dalla sentenza impugnata.

3.- Con il terzo motivo la C. denuncia ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2.

Lamenta che la corte di merito, nell’esaminare le varie poste di danno reclamate, nominò c.t.u. medico legale, alle cui conclusioni si attenne acriticamente e senza esaminare le c.t. di parte, in special modo per quanto concerne la riferibilità della sindrome ansioso depressiva all’attività lavorativa.

Il motivo è inammissibile in base al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 2, censurando apprezzamenti di fatto del giudice di merito che ha comunque, secondo la stessa censura attorea, esaminato la questione, rimarcando che il c.t.u. aveva escluso la genesi lavorativa della dedotta infermità.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che sia la sentenza impugnata, sia il c.t.u. nominato in grado di appello, omisero di esaminare gli atti vessatori posti in essere dal datore di lavoro, tra i quali il licenziamento illegittimo e la forzata inattività lavorativa conseguitane.

La censura è inammissibile, oltre che per il fatto che la c.t.u. non risulta prodotta per esteso dalla ricorrente (in contrasto con l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) per le stesse ragioni esposte sub 3), senza poi considerare che secondo le stesse allegazioni dell’odierna ricorrente il c.t.u. escluse una causa lavorativa della patologa denunciata. Al riguardo conviene riportare quanto affermato al riguardo dalle sezioni unite di questa Corte: il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introduce nell’ordinamento un (nuovo) vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez.un. 22 settembre 2014 n. 19881).

5.- Con il quinto motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, oltre a nullità della sentenza per mancanza di motivazione.

Lamenta che sia la sentenza impugnata che il c.t.u. omisero di esaminare la documentazione sanitaria allegata, con ciò omettendo di esaminare fatti decisivi per il giudizio.

Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni indicate sub 4), cui va aggiunta la mancata produzione della certificazione medica invocata.

6.- Venendo all’esame del ricorso incidentale si osserva:

Con il primo motivo le associazioni denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2112 e 2082 c.c.; L. n. 108 del 1990, art. 4 oltre all’art. 115 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata aveva confermato che il rapporto di lavoro intercorso sino al 1.6.2000 tra la lavoratrice e l’UPA era proseguito a parità di mansioni e qualifica con l’Unione Agricoltura Servizi s.r.l. (UAS), senza valutare adeguatamente le risultanze istruttorie a fronte delle quali l’UPA avrebbe dovuto qualificarsi organizzazione di tendenza, ritenendo invece che l’attività dell’UPA consisteva anche in assistenza fiscale di imprese non associate e dietro versamento di un corrispettivo.

Il motivo è inammissibile, in base al novellato n. 5 dell’art. 360, comma 1, avendo la sentenza impugnata accertato, in fatto, la natura imprenditoriale dell’UPA.

Premesso poi che l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta L. n. 108 del 1990 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento in concreto da parte del giudice di merito (nella specie effettuato) dell’assenza nella singola organizzazione di una struttura imprenditoriale e della presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, come definita dalla stessa legge all’art. 4 (Cass. n. 12634/06), deve considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi riformulato in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Occorre del resto evidenziare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 8262/10) non osta, alla configurabilità del trasferimento ex art. 2112 c.c., la mancanza di un fine di lucro, purchè sussista un’organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento, dovendosi ritenere irrilevante, alla luce della giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di giustizia CE, sentenza 26 settembre 2000, C-175/99, Mayeur e con riferimento a vicende diverse dal trasferimento d’impresa, sentenza 16 ottobre 2003, Commissione c. Italia, C-32/02) che, ai fini dell’applicabilità della direttiva CE 77/187, l’attività sia esercitata non a fini di lucro o nell’interesse pubblico.

Deve in ogni caso rimarcarsi che la L. n. 108 del 1990, art. 4 esclude i rapporti di lavoro con le cd. organizzazioni di tendenza quanto alle conseguenze del licenziamento illegittimo (artt. 1, 2 e dall’applicazione dell’art. 2112 c.c..

6.- Con il secondo motivo del ricorso lamentano l’erronea valutazione della conciliazione 11.6.01 e del licenziamento intimato alla C. il 5.4.05, lamentando che il giudice di merito ritenne illegittima la conciliazione in questione stante l’applicabilità dell’art. 2112 c.c.

La prima parte del presente motivo, strettamente connesso al precedente, non può che seguire le medesime sorti, mentre, quanto al licenziamento, le associazioni lamentano che non vi era possibilità di occupare la C. in diverse mansioni equivalenti e che gravava su quest’ultima provare il contrario.

Tale censura è in contrasto con l’orientamento, ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’onere della prova dell’impossibilità di reimpiego del lavoratore licenziato per g.m.o., grava interamente sul datore di lavoro (Cass. n.5592/16, Cass. n. 12101/16, Cass. n. 160/17).

7.- Entrambi i ricorsi debbono essere dunque rigettati.

Le spese di lite, stante la reciproca soccombenza, sono interamente compensate tra le parti.

Risultando la C. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, deve escludersi, allo stato, la debenza di quanto previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il relativo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2017

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