Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29420 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 12/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10753/2016 r.g. proposto da:

G.R., (cod. fisc. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di

erede di D.F.G., rappresentata e difesa, giusta

procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato Olindo

Di Francesco, con cui elettivamente domicilia in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE SANT’ANGELO scpa, (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura richiamata in atti,

dall’Avvocato Giuseppe Taibi, con il quale elettivamente domicilia

in Roma, Viale delle Milizie n. 22, presso lo studio dell’Avvocato

Igor Turco.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, depositata in

data 16.3.2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/10/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza appellata dalla Banca popolare di S. Angelo ed emessa il 18.1.2008 dal Tribunale di Agrigento, con la quale – nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso il 16.7.2004 ed avente ad oggetto il pagamento del saldo debitorio del conto corrente intestato al D.F., ammontante ad Euro 24.649,98 (in relazione al quale la G. era fideiussore) – era stato revocato il predetto decreto ingiuntivo ed era stata condannata la banca al pagamento in favore degli opponenti della somma pari ad Euro 21.742,65, dopo aver depurato il credito da ogni forma di capitalizzazione. La corte di appello palermitana ha dunque rideterminato il credito restitutorio in favore del correntista nella diversa e minor somma pari ad Euro 12.935,59.

La corte del merito ha ritenuto, per quanto qui ancora rilevi, che: a) l’eccezione di nullità della fideiussione prestata era infondata, in quanto la fideiussione rilasciata in data 24.1.1991 dalla G.R. era stata integrata successivamente in data 14.5.1991 dall’espressa previsione di un limite massimo di Lire 100.000.000, integrando sia l’originaria fideiussione che la successiva integrazione la forma scritta, tramite moduli prestampati sottoscritti dalla G.; b) gli estratti conto erano stati correttamente inviati al D.F. presso l’indirizzo fornito al momento della stipula del contratto di conto corrente, e cioè in (OMISSIS), non potendosi dolere il correntista della mancata ricezione della documentazione bancaria in mancanza della comunicazione all’istituto di credito del trasferimento di residenza; c) la nullità della clausole che prevedono interessi anatocistici, l’applicazione di tassi usurari e di quelli ultralegali poteva sempre essere fatta valere e doveva essere dichiarata indipendentemente dalla mancata contestazione degli estratti conto; d) il Ctu aveva altresì accertato che dal 1.7.2000 la Banca si era adeguata alla Delibera CICR, applicando la capitalizzazione trimestrale degli interessi sia attivi che passivi; e) la consulenza tecnica aveva accertato che il tasso di interesse ultralegale risultava espressamente pattuito per iscritto (cfr. lettera convenzione del 24.1.1991 di accensione del conto corrente con apertura di credito) nella misura del 18.50% entro fido e del 21.50% annuo extra fido e che anche la commissione di massimo scoperto era stata prevista nel contratto nella misura dello 0,500%; e) il Ctu aveva accertato che il tasso d’interesse passivo aveva superato il tasso soglia solo nel primo e secondo semestre 2002.

2. La sentenza, pubblicata il 16.3.2015, è stata impugnata da G.R., in proprio e nella qualità di erede di D.F.G., con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la BANCA POPOLARE SANT’ANGELO scpa ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente, lamentando – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c. e degli artt. 115 e 116c.p.c., nonchè dell’art. 120 del T.u.b. e della Delib. CICR 9 febbraio 2000, si duole del mancato accertamento dell’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, in assenza di alcuna pattuizione scritta tra le parti riguardanti l’anatocismo bancario, con inevitabile peggioramento della condizioni economiche del cliente.

2. Con il secondo mezzo si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 195 c.p.c., nonchè dell’art. 120 T.u.b. e della Delib. CICR 9 febbraio 2000, in relazione all’erroneo recepimento da parte dei giudici del merito delle conclusioni del Ctu e all’omessa valutazione della documentazione allegata.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 120 T.u.b. e della Delib. CICR del 9 febbraio 2000, in relazione all’omessa considerazione dell’effettività del credito della banca nella somma pari ad Euro 24.649,98 e alla conseguente erronea quantificazione del credito dei correntisti nella somma pari ad Euro 12.935,59.

4. Il ricorso è fondato per le ragioni qui di seguito precisate.

4.1 Il primo motivo di doglianza è fondato ed il suo accoglimento determina l’assorbimento degli ulteriori motivi sopra riportati.

4.1.1 Sul punto, è necessario ricordare che proprio recentemente la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, verbatim, “In ragione della pronuncia di incostituzionalità del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della Delib. CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della Delib. del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicchè in tali contratti perchè sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta Delib.” (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9140 del 19/05/2020).

In realtà, come correttamente spiegato nell’arresto da ultimo citato, “le previsioni della Delib. CICR 9 febbraio 2000, trovano il loro fondamento, sul piano legislativo, nel D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, commi 2 e 3 (che doveva attuare una ampia delega legislativa, comprensiva dell’emanazione di “diposizioni integrative e correttive” del testo unico bancario emanato con D.Lgs. n. 385 del 1993). Il comma 2 del detto art. 25 ha modificato l’art. 120 t.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993), prevedendo, per l’appunto, che il CICR stabilisse “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”, disponendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Il comma 3 del cit. art. 25 ha previsto, per quanto qui interessa, che le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della Delib. di cui al comma 2, dovessero essere adeguate al disposto del detto atto normativo secondario, il quale avrebbe altresì stabilito le modalità e i tempi dell’adeguamento. Il CICR, con la nominata Delib., ha poi stabilito (art. 2) che nel conto corrente dovesse essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori e che le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente Delib. dovessero essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000, con effetto dal successivo 1 luglio (art. 7, comma 1); in particolare, ove le nuove condizioni contrattuali non comportassero un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, avrebbero potuto provvedere all’adeguamento mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e previa comunicazione per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, comunque entro il 31 dicembre 2000 (art. 7, comma 2). L’approvazione specifica da parte del correntista (e quindi la conclusione di un nuovo accordo fondato sulla specifica adesione da parte di quel soggetto) era richiesta per la diversa ipotesi in cui le nuove condizioni contrattuali comportassero un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate (art. 7, comma 3)” (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra).

E’ intenzione di questo Collegio fornire continuità applicativa, anche in questo contesto decisorio, al principio secondo cui occorre sempre una nuova approvazione per iscritto delle clausole anatocistiche, basandosi sul dato giuridico della nullità delle clausole anatocistiche originariamente convenute, come già affermato da una convincente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26769, non massimata; Cass. 21 ottobre 2019, n. 26779, non massimata): giurisprudenza cui anche occorre fornire, dunque, continuità di applicazione, nel solco già segnato dal pronunciamento più recentemente reso da questa Corte di legittimità e sopra ricordato (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra).

Va, infatti, ricordato che la Delib. CICR 9 febbraio 2000, è stata emanata prima che fosse dichiarata l’incostituzionalità della previsione, contenuta nel D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, con cui erano state dichiarate valide ed efficaci le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della Delib. stessa (Corte Cost. 17 ottobre 2000, n. 425). La richiamata pronuncia di incostituzionalità non ha interessato, tuttavia, quella parte dell’art. 25 cit., comma 3, in cui è stato regolamentato l’adeguamento dei vecchi contratti alle prescrizioni della Delib. CICR: infatti, la pronuncia del giudice delle leggi si è fondata sull’eccesso di delega (rispetto alla cit. L. n. 128 del 1998, art. 1, comma 5), avendo la Corte costituzionale escluso “che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante”.

La pronuncia di incostituzionalità ha investito, così, il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la Delib. 9 febbraio 2000 e non ha direttamente inciso sull’attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime: profilo della disciplina, quest’ultimo, che presentava una propria innegabile autonomia logica e giuridica rispetto alla sanzionata previsione della sanatoria dei contratti contenenti clausole anatocistiche conclusi prima del 21 aprile 2000 (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra).

Tuttavia, la circostanza che il potere regolamentare del CICR non sia stato messo in discussione dalla nominata pronuncia di incostituzionalità non implica che quest’ultima abbia mancato di incidere sulla portata della Delib. 9 febbraio 2000, che di tale potere regolamentare ha costituito espressione. Va infatti ricordato che – in ragione della pronuncia di incostituzionalità (che ha ovviamente avuto efficacia retroattiva) le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della Delib. CICR non possono che considerarsi nulle: e cioè colpite da quell’invalidità che l’art. 25 aveva inteso rimuovere (alla condizione del successivo adeguamento dei contratti, specificata nell’ultima parte del comma 3) con la più volte richiamata sanatoria (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra).

Così, una volta appurato che la Delib. CICR non ha affatto valorizzato la circostanza della mera applicazione di fatto della clausola anatocistica nulla, occorre verificare se fosse necessario procedere a una nuova pattuizione in tema di capitalizzazione o se, all’opposto, fosse sufficiente attendere alla pubblicizzazione delle nuove condizioni contrattuali nella Gazzetta Ufficiale e alla comunicazione di queste al cliente alla prima occasione utile (art. 7, comma 2, cit.).

Come precisato nell’arresto sopra citato (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra), verbatim, “Il presupposto di questa seconda forma di adeguamento è, come in precedenza accennato, il fatto che “le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate”. Il raffronto deve avere naturalmente ad oggetto la sola clausola anatocistica, dal momento che la Delib. CICR 9 febbraio 2000, si occupa di tali disposizioni pattizie e solo di tali disposizioni pattizie: è escluso, pertanto, che il peggioramento o meno delle nuove condizioni possa essere apprezzato avendo riguardo a clausole del contatto di diverso contenuto. Nel contratto di conto corrente la comparazione deve investire, poi, la clausola nel suo complesso, e quindi la disciplina della capitalizzazione degli interessi sia attivi che passivi; e non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la clausola da regolarizzare deve compararsi alla clausola che prevede la “stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori” (art. 2, comma 2, della Delib., indirettamente richiamata dall’art. 7, comma 1): sicchè è con riguardo a tali condizioni (che riguardano, dunque, entrambe le indicate tipologie di interessi) che deve accertarsi se vi sia stato o meno il peggioramento di cui è parola nell’art. 7, commi 2 e 3″.

Ciò posto, è da evidenziare che nella situazione determinatasi a seguito della nominata pronuncia di incostituzionalità l’operazione di raffronto imposta dalla Delib. si dimostra inattuabile.

Invero, in assenza di usi normativi contrari, le nominate condizioni contrattuali sono nulle, in base all’art. 1283 c.c., con la conseguenza che le condizioni indicate dalla disposizione della Delib. CICR – circa la pari periodicità del conteggio degli interessi stessi – non possono essere confrontate con una valida disposizione anatocistica, contenuta nel contratto di conto corrente, da considerarsi tamquam non esset (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra).

Ne consegue che l’impossibilità di correlare la disciplina transitoria di cui al cit. art. 7 al contatto di conto corrente contenente la clausola anatocistica nulla implica che le parti potessero applicare al contratto una nuova disciplina della capitalizzazione, solo addivenendo a una specifica pattuizione conforme all’art. 2 della Delib. CICR.

Tale conclusione allinea la disciplina dei vecchi contratti contenti clausole anatocistiche colpite da nullità a quella dei contratti di conto corrente conclusi dopo l’entrata in vigore della Delib. CICR: ma tale operazione appare giustificata, se si tiene conto che, nell’uno come nell’altro caso, la disciplina della capitalizzazione degli interessi che le parti intendono fissare non si innesta su altra valida pattuizione e non ha, dunque, contenuto modificativo rispetto a una precedente regolamentazione pattizia (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra). Così è stato precisato nell’arresto da ultimo citato che: “Rileva, in altre parole, la prossimità, e – in definitiva – la sostanziale assimilabilità tra due fattispecie: quella della stipula di un contratto di conto corrente che le parti intendano munire di una clausola anatocistica e quella dell’inserzione di una tale clausola in un contratto vecchio che ne sia privo (per la nullità della relativa pattuizione). In entrambi i casi è necessario che il correntista esprima la propria volontà circa l’introduzione, nel contratto, della clausola di capitalizzazione con pari periodicità, giacchè sul punto non è previsto alcun automatismo, ma è rimesso all’autonomia delle parti decidere se il contratto debba produrre, alla detta condizione, interessi anatocistici”.

In conclusione, una volta affermato che – ai fini della Delib. CICR 9 febbraio 2000, art. 7 – assume rilievo non già l’applicazione de facto delle condizioni anatocistiche pattuite in precedenza, ma la nullità che affligge le stesse, il criterio posto dai commi 2 e 3 dello stesso articolo, che presuppone la validità di tali pattuizioni e l’intervenuta modificazione delle stesse, risulta essere inapplicabile, con la conseguenza che per munire un contratto di conto corrente concluso prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 2, dell’attitudine a produrre interessi anatocistici è necessario addivenire a una nuova pattuizione avente ad oggetto la capitalizzazione degli interessi, nel rispetto dell’art. 2 della nominata Delib. (cfr. sempre Cass. n. 9140/2020, cit. supra).

Ciò posto, risulta evidente che la statuizione della Corte di merito si è posta – quanto a quest’ultimo profilo di legittimità dell’applicazione delle clausole anatocistiche – in evidente e frontale contrasto con i principi affermati da questa Corte per come sopra ricordati e qui riaffermati laddove ha affermato (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) che la forma scritta necessaria per la validità delle predette clausole e la pattuizione convenzionale delle stesse tra le parti fosse stata rispettata attraverso il mero richiamo al contratto scritto originario del 24.1.91 (contenente le clausole nulle), senza riscontrare e ritenere necessaria, invece, la nuova rinegoziazione ed approvazione delle clausole in parola, in linea con la Delib. CICR attraverso la previsione di uguale capitalizzazione per interessi attivi e passivi, e ritenendo sufficiente, invero, il mero avviso effettuato con la comunicazione dell’estratto conto.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Palermo, per un nuovo esame che tenga in considerazione i principi di diritto sopra riaffermati.

Le spese del giudizio di legittimità sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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