Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2942 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/02/2017, (ud. 17/11/2016, dep.03/02/2017),  n. 2942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19724-2015 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA

11, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO CARINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIAN PIETRO COCCHI in virtù di mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. S.P.A., C.F. e P.I.

(OMISSIS), socio unico Intesa Sanpaolo, appartentente al Gruppo

Bancario Intesa Sanpaolo, in persona del suo Amministratore Delegato

e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. GALATI, 100/C, presso lo studio dell’avvocato ANNA

D’ALISE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALDO MANNA giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

FRATELLI C. LEGNAMI S.R.L., C.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2125/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

emessa il 09/05/2014 e depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. OLIVIERI STEFANO.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha

depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., di seguito

trascritta, proponendo il rigetto del ricorso ai sensi dell’art. 375

c.p.c., comma 1, n. 5).

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

La Corte d’appello di Napoli con sentenza 14.5.2014 n. 2125, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da C.G. (fidejussore di C. Legnami s.r.l.), determinava l’ammontare massimo della obbligazione del garante in relazione al saldo debitore del conto n. (OMISSIS) – relativo ad apertura di credito in c/c- risultante alla data 24.6.1987, del recesso dalla fidejussione, rigettando il gravame nella parte in cui tendeva ad ottenere la ulteriore riduzione di tale debito per effetto delle rimesse attive effettuate dal debitore principale, successivamente alla predetta data, in quanto il C. non aveva fornito prova che la banca avesse concesso al debitore principale una nuova linea di credito diversa dalla apertura di credito originaria, atteso che 1-la banca nel ricorso monitorio aveva fatto riferimento esclusivamente all’unico rapporto di c/c instaurato nel 1986, e 2 – dai documenti depositati dall’appellante concernenti “nuove linee di credito” comunicate nell’anno 1994, non risultavano dimostrate la sentenza è impugnata per cassazione dal C. con un unico motivo per vizio di “omessa, erronea, insufficiente, motivazione” ed omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697c.c., sostenendo che il Giudice di merito aveva omesso di esaminare i documenti prodotti;

– resiste SGA s.p.a. con controricorso;

– non svolgono difese gli intimati C.C., F.lli C. Legnami s.r.l. e Intesa San paolo s.p.a..

si osserva quanto segue:

Occorre premettere che trova applicazione la norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’il settembre 2012). Il controllo del vizio di legittimità (fino ad allora esteso anche al processo logico argomentativo fondato sulla valutazione dei fatti allegati assunti come determinanti in esito al giudizio di selezione e prevalenza probatoria, potendo essere censurata la motivazione della sentenza, oltre che per “omessa” considerazione di un fatto controverso e decisivo dimostrato in giudizio, anche per “insufficienza” e per “contraddittorietà” della argomentazione) rimane, pertanto, circoscritto alla verifica del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario- secondo cui tale requisito minimo non risulta soddisfatto esclusivamente qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si risolvono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla – esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale) residua ormai soltanto l’omesso esame di un “fatto storico” (principale o secondario) controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte Cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016). Ne segue che la censura di vizio di motivazione deve essere veicolata dai seguenti elementi indefettibili:

individuazione di un “fatto storico” -ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, ritualmente accertato mediante verifica probatoria – che abbia costituito oggetto di discussione in contraddittorio tra le parti incidenza di tale fatto su uno o più degli elementi costitutivi della fattispecie normativa disciplinatrice del diritto controverso, rivestendo quindi carattere di decisività ai fini della decisione di merito “omesso esame” di tale fatto da parte del Giudice di merito, inteso come mancata rilevazione ed apprezzamento del dato probatorio tale da tradursi in una carenza argomentativa inficiante la relazione di dipendenza logica tra le premesse in fatto e la soluzione in diritto adottata dal Giudice, che deve essere evidenziata dallo stesso testo motivazionale (come ad es. nel caso in cui il Giudice formuli la “regula juris” del rapporto controverso omettendo, a monte, di considerare la prova acquisita al giudizio- di uno degli elementi costituivi della fattispecie, ovvero di un fatto incompatibile con la realizzazione della fattispecie, che sia stato oggetto di verifica probatoria: cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 15205 del 03/07/2014) rendendo per conseguenza l’argomentazione priva del pur minimo significato giustificativo della decisione e dunque affetta da invalidità.

Rimane dunque estranea al predetto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., comma 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, valutando la maggiore o minore attendibilità

delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 che, icasticamente, afferma come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non essendo, pertanto, censurabile con il vizio in questione errori attinenti alla individuazione di “questioni” o le “argomentazioni” relative all’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), risultando in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

Tanto premesso la sentenza d’appello ha ritenuto, con accertamento in fatto, che dai documenti prodotti, risultava che anche dopo il recesso del fidejussore fosse proseguito il rapporto bancario di apertura di credito, non risultando comprovata una ridefinizione dei rapporti tra debitore principale e banca dopo l’anno 1994, con la conseguenza che le rimesse attive sul conto corrente effettuate dal debitore principale non potevano essere considerate separatamente -ai fini solutori del debito del garante- dalle operazioni passive, tanto in applicazione del principio affermato nel precedente di questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 2871 del 09/02/2007 secondo cui, nel caso di nullità sopravvenuta della garanzia così come nel caso di recesso del fidejussore, occorreva avere riguardo alla circostanza della prosecuzione ovvero della modifica del rapporto di credito bancario attesa a) la inscindibilità delle rimesse attive e delle operazioni passive inerenti il medesimo rapporto bancario garantito, pur se effettuate dopo il recesso del fidejussore, atteso che la obbligazione del garante – nei limiti dell’importo accertato alla data di recesso- diventa attuale quando l’obbligazione garantita, con l’estinzione del rapporto di apertura di credito, viene definitivamente determinata e diventa esigibile; b) la efficacia solutoria del debito del garante da riconoscere invece alle successive rimesse attive effettuate dal debitore principale, laddove sia cessato il rapporto originariamente garantito, essendo stato sostituito da nuovi rapporti di credito bancario.

Orbene la Corte d’appello ha esaminato il materiale istruttorio prodotto in giudizio pervenendo al convincimento che il rapporto bancario fosse unico e che le lettere del 1994 non comprovavano la concessione di nuove linee di credito. Difetta pertanto lo stesso presupposto del vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo indicato il fatto storico, verificato nel processo, che il Giudice di merito avrebbe illegittimamente pretermesso. Nè viene peraltro evidenziato il carattere “decisivo” del documento, tale cioè da determinare una decisione di merito favorevole al ricorrente: meramente anapodittica è, infatti, l’affermazione del ricorrente secondo cui la “conferma” delle facilitazioni (conferma della apertura di credito in c/c, del fido sullo sconto di tratte di ricevute bancarie e del fido su “neg.ne acc.ni comm. li nei 180 gg.”: cfr. lettera 19.10.1994) dovrebbe intendersi come rinegoziazione delle condizioni contrattuali e come concessione di nuove linee di credito, non essendo neppure allegato dal ricorrente se e quando l’originario rapporto garantito fosse cessato (per scadenza del temine contrattuale), o quali fossero le diverse condizioni pattuite in precedenza rispetto a quelle indicate nella lettera del 1994, o ancora se alla data predetta i limiti di fido originariamente garanti fossero stati tutti già esauriti dal debitore principale (dalla sentenza di appello emerge che tale condizione si era verificata solo successivamente, nell’anno 1996: cfr. in motivazione pag. 10) rendendosi quindi necessaria una rinegoziazione della apertura di credito: Del tutto priva di rilevanza decisiva è poi la lettera 21.11.1994, peraltro solo parzialmente trascritta dal ricorrente (pag. 16), ma riportata integralmente nel controricorso (pag. 7), dalla quale emerge la semplice disponibilità della banca da esaminare la proposta di un eventuale aumento delle linee di credito, solo dopo la trasmissione da parte della società correntista di “un dettagliato previsionale ed economico per l’anno 1995”.

L’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale in ordine alla unicità del rapporto di credito bancario dedotta in giudizio, esclude “ab imis” una violazione del riparto dell’onus probandi (art. 2697 c.c.) e la fondatezza delle altre censure (artt. 115 e 116 c.p.c.) prospettate come “errori di diritto” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulate sul presupposto dell’errato convincimento del Giudice di appello della inesistenza di documenti a supporto della asserzione del C. concernente il “rinnovo delle linee di credito” senza considerare che in tal caso il ricorso si paleserebbe ictu oculi inammissibile in quanto volto a far valere un vizio revocatorio per il quale è apprestato un distinto mezzo di impugnazione (art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4).

La Corte, riunita in camera di consiglio, ha condiviso i motivi di diritto esposti nella relazione – non inficiati dal contenuto della memoria presentata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, e la soluzione proposta.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 7, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore di SGA s.p.a. in Euro 5.600,00 per compensi, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% dei compensi ex art. 2, comma 2 Tariffa, ed accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2017

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