Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29419 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 15/11/2018), n.29419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27637-2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati EMANUELE FILOGRANA,

EMANUELE LAMBERTI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 414/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/09/2013 R.G.N. 399/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 414/2013, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’irripetibilità degli importi erogati a D.G.A. a titolo di indennità di accompagnamento, la cui restituzione per l’importo totale superiore ad Euro 55.000, era stata richiesta dall’Inps dopo oltre 10 anni dalla visita di revisione (avvenuta il 6 novembre 2000) che, pur confermando l’invalidità civile del 100% della percipiente, aveva però attestato l’inesistenza del diritto all’indennità di accompagnamento.

A fondamento della sentenza la Corte rilevava che, pur non potendosi applicare alla fattispecie dell’indebito assistenziale la medesima disciplina di quello previdenziale, tuttavia, sulla scorta dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con la ordinanza n. 448 del 2000, andava notato che il giudizio di infondatezza della questione di legittimità costituzionale incentrato sul meccanismo delineato dalla L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 8 non potesse essere estrapolato dal contesto nel quale era stato reso; la Corte Costituzionale aveva affermato la legittimità della disciplina che consente nel caso di indebito assistenziale la ripetizione di somme versate solo dalla data della visita di verifica, ma per giungere a tale conclusione essa, dopo aver rilevato l’esistenza di analogie tra la disciplina dell’indebito assistenziale e quella in materia di indebito previdenziale, aveva sottolineato, quanto alla ripetibilità delle somme versate dopo la visita di verifica, l’esistenza di un termine che l’istituto previdenziale deve rispettare “onde evitare che la percezione indebita possa protrarsi eccessivamente nel tempo”; pertanto, nel caso in cui, come nella fattispecie, l’Inps disponga la sospensione dell’erogazione della prestazione a distanza di oltre 10 anni dall’espletamento della visita di revisione si era davanti ad una fattispecie radicalmente diversa da quella in relazione alla quale la Corte Costituzionale aveva formulato il proprio giudizio di infondatezza della questione di legittimità costituzionale. E ciò a maggior ragione considerando che nel caso in esame la mancata adozione di provvedimenti da parte dell’Inps dopo la visita di revisione aveva fatto sì che l’assistita omettesse, a sua volta, di proporre tempestivamente ricorso avverso l’esito di detta visita trovandosi così priva di idonee tutele (amministrative e giurisdizionali) in relazione all’accertamento del proprio stato di salute risalente ad oltre 10 anni prima.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inps con un motivo al quale ha resistito D.G.A. con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso l’Inps deduce la violazione ed errata applicazione della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1,della L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 1, del D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 4, comma 3 bis convertito con modificazioni in L. 8 agosto 1996, n. 425, della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 37 e dell’art. 2033 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo l’Istituto, la suggestiva ricostruzione effettuata dalla Corte d’Appello di Genova non trovava riscontro nè nella normativa sopra indicata, applicabile ratione temporis alla fattispecie, nè tantomeno nella giurisprudenza di legittimità) atteso che alle provvidenze di natura assistenziale si applica, invece, il principio generale dell’art. 2033 c.c. in base al quale ogni erogazione attribuita in assenza dei requisiti prescritti dalla legge è da considerare indebita e soggetta a ripetizione, non essendo richiesta alcuna condizione soggettiva del beneficiario per la ripetibilità delle somme. La disciplina della ripetibilità andava ricercata nella normativa appositamente dettata in materia, potendo il legislatore derogare mediante espresse previsioni e per casi specifici; per quanto riguarda l’indebito riferito a motivi sanitari, il protrarsi del pagamento dei ratei della prestazione assistenziale anche dopo l’esito negativo della visita di revisione integrava, ad avviso dell’INPS, una prestazione non dovuta disciplinata dall’art. 2033 c.c. senza alcuna deroga; pertanto, come già dichiarato dalla giurisprudenza, la revoca dei benefici previdenziali e assistenziali agli invalidi produceva effetti dalla data della visita sanitaria di verifica, con conseguente restituzione di tutti i ratei maturati dopo tale momento. Nè poteva rilevare, al fine di escluderne la ripetizione, il mancato rispetto da parte dell’amministrazione dell’obbligo di sospendere i pagamenti e di emanare un formale provvedimento di revoca entro termini prefissati essendo stato affermata dalla giurisprudenza l’irrilevanza della data della revoca dei benefici assistenziali o della comunicazione della revoca, non incidendo tale provvedimento sulla ripetibilità delle prestazioni indebitamente percepite dopo la visita di verifica.

2.- Va rilevata l’inammissibilità del ricorso per i seguenti motivi.

Anzitutto deve considerarsi che in tema di indebito assistenziale questa Corte di Cassazione non ha mai affermato che si tratti di materia soggetta integralmente al principio generale dell’art. 2033 c.c.) avendo per contro individuato, in relazione alle singole e diversificate fattispecie esaminate, una articolata disciplina che distingue vari casi, a seconda che il pagamento non dovuto afferisca, volta per volta, alla mancanza dei requisiti reddituali, di quelli sanitari, di quelli socio economici (incollocazione o disoccupazione) o a questioni di altra natura (come ad es. l’esistenza di ricovero ospedaliero gratuito nel caso dell’indennità di accompagnamento).

In termini generali, questa Corte ha infatti sempre precisato (fin dalla sentenza n. 1446/2008 est. Picone, sentenza n. 11921/2015) che “nel settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percepiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha rilevato che il canone dell’art. 38 Cost., appresta al descritto principio di settore una garanzia costituzionale in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione di prestazioni naturaliter già consumate in correlazione – e nei limiti – della loro destinazione alimentare (C. cost. n. 39 del 1993; n. 431 del 1993)”.

3. In effetti, lo stesso Giudice delle leggi – pronunciandosi anche con successive ordinanze n. 264/2004 e n. 448/2000, con specifico riferimento all’indebito assistenziale – pur affermando che non sussisto un’esigenza costituzionale che imponga per l’indebito previdenziale e per quello assistenziale un’identica disciplina, ha ritenuto che operi anche “in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell’indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile” (ord. n. 264/2004). Ed ha pure rilevato – in relazione alla regolamentazione apprestata proprio dall’art. dal D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 4, convertito in L. 8 agosto 1996, n. 425 – come si tratti di una disciplina che “si avvicina a quella relativa all’indebito previdenziale” “nella parte in cui non consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite a titolo di assegno di invalidità civile e di indennità di accompagnamento” erogate prima della visita di verifica. Mentre, per le somme erogate dopo la visita di verifica – le uniche a porre quindi il “problema della ripetibilità” – la stessa Corte Cost. n. 448/2000 ha evidenziato che esista pure l’esigenza di non gravare eccessivamente il percipiente e di tutelarne l’affidamento rispetto alla condotta obbligata dell’INPS; avendo evidenziato come la legge vuole evitare che la percezione indebita di somme dopo la visita di verifica, “possa protrarsi eccessivamente nel tempo, atteso che la sospensione dell’erogazione deve essere immediata e che il provvedimento di revoca deve intervenire nel breve lasso di tempo di novanta giorni dalla sospensione”. Ed è per tali ragioni, pure richiamate nella sentenza impugnata – per il fatto cioè di escludere la ripetizione delle somme percepite indebitamente prima della data della visita di revisione avvicinandosi all’indebito previdenziale e di curarsi di non gravare, con la previsione dell’immediata sospensione, sulla concreta condizione economica e di vita del percipiente, in relazione alle somme percepite dopo la stessa visita – che la stessa disciplina è stata ritenuta complessivamente “diretta ad approntare una tutela idonea, come tale rispettosa dell’art. 38 Cost., comma 1”.

4. Ora, tenuto conto di tali complessive considerazioni, pure messe in evidenza dalla Corte genovese, il ricorso dell’Inps non risulta adeguatamente diretto a contrastare le varie rationes decidendi su cui si regge la sentenza impugnata; e mentre invoca una generalizzata applicazione dell’art. 2033 c.c. in relazione alle somme pagate dopo la visita di verifica, da contenersi invece – per i giudici d’appello ed in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata – in caso di sforamento dei termini dettati per l’adozione del provvedimento di revoca) trascura del tutto di censurare l’altra argomentazione, che pure sorregge autonomamente la decisione impugnata, secondo cui la mancata adozione di provvedimenti per oltre dieci anni da parte dell’Inps, dopo la visita di revisione, aveva fatto sì che l’assistita omettesse, a sua volta, di proporre tempestivamente ricorso avverso l’esito di detta visita trovandosi così priva di idonee tutele (amministrative e giurisdizionali) in relazione all’accertamento del proprio stato di salute risalente ad oltre 10 anni prima.

5.- Si era dunque venuta configurando, secondo la Corte d’Appello, una vera e propria situazione di affidamento dell’assistito, che si è sviluppata ben oltre il periodo entro cui era legittimo attendersi una revoca della prestazione da parte dell’INPS, affidamento riposto da una persona comunque invalida al 100%, che già godeva dell’indennità di accompagnamento, che nel corso dello stesso lungo periodo di tempo poteva anche subire un mutamento delle proprie condizioni di salute; e che non aveva però ragione di dover richiedere quella tutela assistenziale che in concreto l’ordinamento provvedeva ad erogarle. Nè tale affidamento – ingenerato, si ripete, dal concreto e successivo mantenimento dell’erogazione della provvidenza da parte dell’INPS potrebbe essere escluso per il solo fatto che l’assistita conoscesse l’esito negativo della precedente visita di verifica.

6.- Per i motivi esposti il ricorso va quindi dichiarato inammissibile (Cass. 15399/2018), con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

Deve darsi atto invece che sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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