Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29419 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 13/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Gugliemo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19196-2015 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO

18, presso lo studio dell’avvocato LUCA FONTANA, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE DEL GIUDICE;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1280/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 22/07/2014; r.g.n. 1581/2012.

Fatto

PREMESSO

che con sentenza n. 1280/2014, depositata il 22/7/2014, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale della medesima sede aveva accertato il diritto di B.M., dipendente della S.p.A. Poste Italiane, all’inquadramento nel profilo “Professionale” dell’Area Quadri di 1 livello, in luogo del profilo “Tecnico” erroneamente assegnatogli; mentre l’ha riformata nella parte in cui il Tribunale aveva respinto l’eccezione di prescrizione quinquennale del diritto al pagamento delle conseguenti differenze retributive, per l’effetto limitandone la condanna al periodo dal 9 settembre 1999 al 28 aprile 2000, oltre interessi e rivalutazione;

– che la Corte ha osservato a sostegno della propria decisione, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, come – in difetto del benchè minimo riconoscimento dei diritti del lavoratore – non potesse attribuirsi valore e significato di atto interruttivo alla mera partecipazione di un rappresentante della società al tentativo di conciliazione effettuato presso l’UPLMO;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il B. con unico motivo, cui ha resistito Poste Italiane S.p.A. con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che con l’unico motivo proposto, deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il lavoratore censura la sentenza impugnata per avere accolto l’eccezione di prescrizione senza considerare che, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 2, la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione costituisce già, di per sè, atto interruttivo;

osservato:

che il motivo è fondato e deve essere accolto;

– che solo la comunicazione al debitore della richiesta di tentativo di conciliazione, e non anche la partecipazione del debitore stesso al suo espletamento, interrompe il corso della prescrizione, con effetto permanente fino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della procedura conciliativa, ex art. 410 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 12516/2014);

– che, tuttavia, tale comunicazione non ha formato oggetto di alcun esame nella sentenza impugnata, la quale ha unicamente posto in rilievo che “in mancanza del benchè minimo riconoscimento dei diritti del lavoratore, deve negarsi valore e significato di atto interruttivo alla semplice partecipazione di un rappresentante delle Poste al tentativo di conciliazione, peraltro conclusosi con esito negativo” (cfr. pp. 7-8);

– che, come già precisato da questa Corte in fattispecie anteriore alla L. n. 183 del 2010 e alla riformulazione da essa operata dell’art. 410 c.p.c., ma con affermazione di un principio di diritto cui si ritiene di dover dare continuità, “la convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all’esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate (nella specie, l’accertamento dell’interposizione vietata e della sussistenza di un rapporto di lavoro con le Ferrovie dello Stato, oltre alle conseguenti differenze retributive) costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943 c.c., comma 4, ai fini dell’interruzione della prescrizione, contenendo l’esplicitazione della pretesa e manifestando l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo. L’accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici (Cass. n. 6336/2009);

– che è stato ritenuto che “l’eccezione di interruzione della prescrizione, configurandosi diversamente dall’eccezione di prescrizione come eccezione in senso lato, può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado del processo, ma sulla base di allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e, in ordine alle controversie assoggettate al rito del lavoro, sulla base dei poteri istruttori legittimamente esercitabili anche di ufficio ai sensi dell’art. 421 c.p.c., comma 2, dal giudice, tenuto, secondo tale norma, all’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai fini della decisione” (Cass. n. 16542/2010, fra altre conformi);

ritenuto:

conclusivamente che, in accoglimento del ricorso, l’impugnata sentenza n. 1280/2014 della Corte di appello di Palermo deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte in diversa composizione, la quale – disposta l’acquisizione, ove non già in atti, della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione e della relativa comunicazione alla parte debitrice, avvalendosi, se del caso, dei propri poteri officiosi – ne valuterà l’eventuale idoneità a costituire valido atto interruttivo della eccepita prescrizione, con le statuizioni conseguenti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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