Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29416 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. I, 23/12/2020, (ud. 12/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13524/2016 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Caverni

Raffaele n. 6, presso lo studio dell’avvocato Annamaria Santini,

rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola Benvenuto, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Intesa Sanpaolo S.p.a., già Banca di Trento e Bolzano S.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Corso Italia n. 29, presso lo studio

dell’avvocato Benucci Marco, rappresentata e difesa dall’avvocato

Christian Gecele, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 367/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 20/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/10/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Orizzonti Moda srl (già R.P. e cC. sas) e il R. in proprio agivano in giudizio, esponendo che la predetta società aveva aperto un conto corrente affidato (n. (OMISSIS)) presso la Banca di Trento e Bolzano; che un analogo conto (n. (OMISSIS)) era stato aperto in proprio dal R. (legale rappresentante e socio accomandatario); che la società aveva emesso quattro assegni che la Banca trattaria aveva protestato in violazione degli accordi, comunicando il recesso da entrambi i conti, chiedendo l’immediato rientro dalle esposizioni debitorie e applicando interessi usurari e anatocistici. Essi chiedevano di rideterminare il credito della Banca, espungendo le poste illegittime e, con riferimento al protesto degli assegni e al recesso ritenuto illegittimo, il risarcimento dei danni anche per il discredito commerciale.

La Banca di Trento e Bolzano si costituiva chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al pagamento delle somme a saldo dei conti correnti.

Il Tribunale di Trento, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della Banca, condannava gli attori a corrispondere, in solido, l’importo di Euro 47269,98, oltre accessori, e rigettava le domande degli attori, ritenendole sfornite di prova.

Il R. proponeva appello, rigettato dalla Corte territoriale di Trento, con sentenza del 20 novembre 2015.

La Corte riteneva che l’appello era stato proposto dal solo R. in proprio e non per conto della società di cui, in primo grado, si era dichiarato rappresentante, sicchè la sentenza del tribunale era passata in giudicato nei confronti della società; rigettava il motivo di gravame concernente l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni derivati personalmente al R., in conseguenza del protesto degli assegni e del recesso della Banca, avendo la Corte rilevato che il tribunale si era pronunciato negativamente su tale domanda, avendo escluso profili di illegittimità e scorrettezza della Banca in entrambe le vicende considerate (protesto degli assegni in presenza di sconfinamento non consentito dal fido e richiesta di rientro avvenuta secondo le modalità previste nelle condizioni contrattuali); osservava che il R. non aveva dimostrato di avere subito danni a titolo personale per la eventuale illegittimità del protesto relativo agli assegni emessi sul conto della società e, inoltre, non aveva titolo per dolersi personalmente del recesso della Banca dal rapporto di conto corrente con la società, peraltro avvenuto nel rispetto delle previsioni negoziali; con riguardo alla chiusura dal conto personale del R., la Corte osservava che era stato lo stesso correntista a chiederne la chiusura, come rilevato dal tribunale e non contestato in appello, e che comunque nessun pregiudizio era stato dimostrato dall’interessato; infine, con riguardo al motivo di gravame concernente l’omessa pronuncia sull’eccezione di nullità o inesistenza dell’obbligazione fideiussoria assunta dal R., la Corte osservava che lo stesso appellante aveva introdotto la questione solo nella memoria di replica in primo grado e che comunque non si ravvisava alcuna nullità o inesistenza, essendo valida la fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile in favore di società di persone che, seppure priva di personalità giuridica, costituisce un distinto e autonomo centro di interessi e di imputazione di situazioni giuridiche, rientrando la suddetta garanzia tra quelle prestate per le obbligazioni altrui, a norma dell’art. 1936 c.c.; infine, giudicava inammissibile l’eccezione di decadenza dalla garanzia, ai sensi dell’art. 1957 c.c., perchè proposta tardivamente nella comparsa conclusionale davanti al tribunale, e comunque infondata, stante la clausola contrattuale di deroga all’applicazione della citata disposizione.

Avverso questa sentenza il R. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, resistiti da Intesa San Paolo, già Banca di Trento e Bolzano, anche con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso denuncia omesso esame di fatto decisivo costituito dall’essere gli assegni stati effettivamente pagati e dunque erroneamente inoltrati per il protesto.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., per avere (il tribunale) affermato che l’affidamento accordato alla società non consentisse il pagamento degli assegni con addebito sul conto della società e (la corte territoriale) giudicato che gli assegni fossero scoperti e insussistente la concessione dell’aumento del fido e, in definitiva, che la condotta della Banca fosse stata corretta, senza tuttavia esaminare la documentazione prodotta dalle parti.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2313 e 2318 c.c. e del R.D. n. 1736 del 1933, art. 45, per avere ritenuto che il R. non avesse subito pregiudizi di tipo personali in relazione agli assegni emessi per conto della società, senza tuttavia considerare che egli era legale rappresentante e socio accomandatario, che era stato protestato personalmente quale traente degli assegni ed aveva subito pregiudizi personali.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1845 c.c., artt. 1175 e 1375 c.c., per avere ritenuto legittima la chiusura dell’affidamento e dei conti correnti, essendosi trattato invece di un recesso improvviso e arbitrario, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, tanto più che il recesso aveva riguardato non solo il conto corrente (della società) oggetto del presunto sconfinamento ma anche il conto personale del R..

Il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 2043 e 2059, anche in relazione agli artt. 1226 e 2055 e 2056 e art. 2797 c.c., per avere escluso, omettendo di fare applicazione delle presunzioni, l’esistenza di pregiudizi economici derivanti personalmente al R. in conseguenza del protesto degli assegni, per la lesione dell’onore e della reputazione anche commerciale che egli aveva subito, essendo socio accomandatario e imprenditore.

Il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 2313,2318 e 1936 c.c., per avere rigettato la domanda di nullità o inesistenza per difetto di causa della fideiussione rilasciata dal R. il 4 settembre 2007, in forza della quale egli era stato condannato al pagamento, avendo egli garantito l’adempimento delle obbligazioni della s.a.s. di cui già rispondeva come legale rappresentante e unico socio accomandatario illimitatamente responsabile.

Il primo, secondo e quarto motivo (quest’ultimo nella parte concernente la chiusura del conto della società) sono avvinti dalla comunanza delle censure proposte che riguardano il protesto degli assegni emessi dalla società e la chiusura del relativo conto corrente, in quanto prospettati come fattori causali di pregiudizi arrecati alla società, rispetto ai quali il ricorrente è privo di legittimazione a dolersi nel presente giudizio di cassazione. Ed infatti, la Corte territoriale ha affermato che la società sarebbe stata legittimata ad agire a tutela dei suoi diritti a fronte del protesto di assegni tratti sul suo conto, in considerazione della autonomia patrimoniale di cui godeva quale s.a.s., ma non aveva proposto appello avverso la sentenza (impugnata dal solo R. personalmente) del tribunale, con conseguente formazione del giudicato sulla statuizione di rigetto della domanda della società. In questi termini è dunque fondata l’osservazione, svolta nel controricorso, secondo cui il R. non è legittimato in questa sede a dolersi dell’accertamento relativo al protesto degli assegni e alla chiusura del conto della società, vicende in relazione alle quali la legittimazione spettava esclusivamente alla società intestataria del conto, a carico della quale erano stati effettuati gli addebiti. A questo riguardo, sarebbe vano fondare una conclusione diversa richiamando la concorrente posizione di fideiussore del R.. Si deve ribadire che il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria, desumibile dagli artt. 1939 e 1945 c.c., consente al fideiussore di opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, ma non comporta l’attribuzione di una legittimazione sostituiva ai fini della proposizione delle azioni che competono a quest’ultimo nei confronti del creditore, neppure quando le stesse si riferiscano alla posizione debitoria per la quale è stata prestata la garanzia, ostandovi anche il principio generale sancito dall’art. 81 c.p.c., secondo cui, in mancanza di un valido titolo che consenta la sostituzione, legittimato ad agire in giudizio, in via di azione ed in nome proprio, è solo il titolare dell’interesse leso (cfr. Cass., Sez. I, 4.12.2019, n. 31653; Sez. III, 20.8.2003, n. 12225).

I suddetti motivi (primo e secondo), peraltro, sono inammissibili anche perchè intendono sovvertire apprezzamenti di fatto incensurabilmente operati dalla Corte territoriale in senso contrario, anche in relazione alla chiusura del conto corrente della società (avvenuta secondo le modalità contrattuali previste) e del conto personale del R. (cfr. quarto motivo), avendo i giudici di merito – con statuizione non censurata in questa sede – accertato che era stato lo stesso correntista a chiederne la cessazione, come rilevato dal tribunale e non contestato neppure in appello.

Il ricorrente è invece legittimato a proporre il terzo e quinto motivo, riguardanti i pregiudizi lamentati alla sua sfera personale e patrimoniale, riferibili, oltre che alla chiusura del conto personale, anche alle conseguenze delle vicende – intangibilmente accertate nel processo – relative al protesto degli assegni e alla chiusura del conto della società. Anche i suddetti motivi sono tuttavia inammissibili poichè contestano incensurabili apprezzamenti di fatto adeguatamente operati dai giudici di merito, i quali hanno escluso i lamentati pregiudizi economici dedotti dal R. per difetto di prova in concreto, con argomentazione non contraddetta dalla qualità di socio accomandatario già rivestita dal R..

Il sesto motivo non censura la ratio decidendi di tardività della introduzione della questione di nullità della fideiussione nel giudizio di merito ed è comunque infondato, alla luce del principio secondo cui il socio di una società di persone, ancorchè illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società, giacchè questa, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e d’imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi; la predetta garanzia rientra, infatti, tra quelle prestate per le obbligazioni altrui secondo l’art. 1936 c.c., non sovrapponendosi alla garanzia fissata “ex lege” dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, potendo sussistere altri interessi che ne giustificano l’ottenimento in capo al creditore sociale, quali, ad esempio, l’interesse a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l’altro dal limite, sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione, del “beneficium excussionis” di cui all’art. 2304 c.c.. In tale situazione, il socio, il quale sia stato escusso quale fideiussore e, nella qualità, abbia provveduto al pagamento del debito sociale, è legittimato all’esercizio dell’azione di regresso ex art. 1950 c.c., contro la società (Cass. n. 7139 del 2018).

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per compensi, oltre accessori dovuti per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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