Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29415 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.M.R. (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al

ricorso, dall’Avv. Pellegrini Enrico Alfredo ed elettivamente

domiciliato in Roma, alla via salaria, n. 227, presso lo studio

dell’Avv. Gianluca Fonsi;

– ricorrente –

contro

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA DI FOGGIA, in

persona del Prefetto pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Giudice di pace di Foggia n.

1385 del 2010, depositata il 2 novembre 2010 (e notificata il 23

novembre 2010);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PATRONE Ignazio, che nulla ha osservato in ordine alla

relazione predisposta in virtù dell’art. 380 bis c.p.c..

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 26 ottobre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “Con ricorso notificato il 30 dicembre 2010 e depositato il 13 gennaio 2011, il sig. M.M.R. proponeva direttamente ricorso per cassazione (articolato su un unico motivo) avverso la sentenza del Giudice di pace di Foggia n. 1385 del 2010 (depositata il 2 novembre 2010 e notificata il 23 novembre 2010), con la quale era stata respinta a sua opposizione formulata ai sensi della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 nei confronti dell’ordinanza prot. n. 10030/2010 emessa dal Prefetto della Provincia di Foggia in ordine alla violazione dell’art. 186 C.d.S., comma 2. L’intimata Prefettura non si è costituita in questa fase.

Ritiene il relatore che, nella specie, emergono i presupposti per ritenere inammissibile il proposto ricorso, siccome la sentenza impugnata non era direttamente ricorribile per cassazione ma appellabile.

Si osserva al riguardo che la L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c. – prima della sua abrogazione per effetto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 26, comma 1, lett. b) (recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2″) ed applicabile alle ordinanze pronunciate ed alle sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006 – dichiarava inappellabili le sentenze emesse in sede di opposizione ad ordinanza- ingiunzione: il carattere di specialità che connotava fortemente l’intero procedimento giustificava – nell’impostazione originaria della stessa legge depenalizzatrice – che tali sentenze non potevano essere appellate, ma solo impugnate direttamente dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto si considerava che, rispetto al procedimento in questione, il codice di rito si poneva come lex generalis, ad eccezione del caso in cui l’oggetto della sanzione amministrativa impugnata fosse riconducibile a prestazioni previdenziali od assistenziali, nella quale ipotesi, prima dell’esercizio del diritto di ricorrere in cassazione, era ritenuta esperibile l’altra impugnazione ordinaria dell’appello. La giurisprudenza, in proposito, aveva, infatti, statuito che, in materia di applicazione delle sanzioni amministrative ai sensi della L. n. 689 del 1981, il principio generale del previgente art. 23, u.c., della legge stessa – che stabiliva l’inappellabilità e la ricorribilità per cassazione delle sentenze di primo grado rese sull’opposizione all’ordinanza- ingiunzione – non trovava applicazione con riguardo alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, attinenti ad omesso versamento di contributi assicurativi, per le quali il successivo art. 35, comma 4, prescriveva (e continua, tuttora, a prevedere) che il giudizio introdotto dall’opposizione suddetta si sarebbe dovuto svolgere nelle forme di cui all’art. 442 c.p.c. e segg., con la conseguenza che la sentenza di primo grado era (salvo il limite di valore di Euro 25,82) suscettibile di appello secondo le modalità e i termini previsti dall’art. 433 c.p.c. e non direttamente di ricorso per cassazione.

A seguito dell’evidenziata soppressione dell’ultimo comma del citato L. n. 689 del 1981, art. 23 (e, perciò, della previsione del regime speciale di impugnabilità delle sentenze p emesse nella materia delle sanzioni amministrative, ad eccezione di quelle ricadenti nell’ambito di applicabilità del disposto di cui all’art. 35 della stessa legge), il legislatore, dunque, ha inteso estendere alle sentenze – senza individuare alcun’altra peculiare disciplina (nemmeno con la successiva L. 18 giugno 2009, n. 69) – il regime impugnatorio ordinariamente applicabile, ai sensi della norma generale di cui all’art. 339 c.p.c., comma 1, alle sentenze di primo grado e, perciò, stabilire che le stesse – sia se emesse dal giudice di pace che dal tribunale in composizione monocratica (in dipendenza delle rispettive competenze fissate nella stessa L. n. 689 del 1981, art. 22 bis) – rimangono assoggettabili fisiologicamente all’appello, il quale dovrà essere proposto dinanzi allo stesso tribunale in composizione monocratica (non ricadendosi in una delle ipotesi di rimessione alla decisione collegiale previste dall’art. 50 bis c.p.c.) nel caso in cui venga impugnata una sentenza del giudice di pace e davanti alla Corte di appello per l’eventualità in cui ad essere impugnata sia una sentenza di primo grado emanata dal tribunale.

Nel nuovo quadro normativo, quindi, la regolamentazione delle impugnazioni delle sentenze in materia di sanzioni amministrative è stata sottratta al pregresso regime speciale e ricondotta nel solco della disciplina impugnatoria comune (ovvero ordinaria), con la conseguente possibilità di sottoporre dette sentenze ad un doppio gravame di controllo, il primo di merito (con l’appello) e il secondo di legittimità (mediante il ricorso per cassazione).

Conseguentemente, essendo stata, nella specie, direttamente impugnata in cassazione (non sussistendo, in ogni caso, i presupposti per l’applicabilità dell’art. 360 c.p.c., comma 2) una sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione da parte del competente Giudice di pace (cfr. Cass., S.U., n. 20544 del 2008 e SU. n. 9691 del 2010) nella suddetta materia (anzichè appellarla), il ricorso proposto andrebbe dichiarato inammissibile, in tal senso, quindi, ravvisandosi l’emergenza delle condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c.”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti (non essendo risultate depositate memorie a tal fine e non essendo comparso alcuno all’adunanza camerale);

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile senza far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente fase, in difetto della costituzione dell’intimato Prefetto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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