Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29414 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.V. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Maffei Fulvio ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio, in Roma, alla v. Brentonico, n. 110;

– ricorrente –

contro

C.S. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso,

dall’Avv. Bogino Carlo ed elettivamente domiciliata presso il suo

studio in Roma, al viale Ippocrate, n. 104;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

4458 del 2009, depositata il 11 novembre 2009 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria difensiva depositata nell’interesse del ricorrente;

udito per il controricorrente l’avv. BOGINO Carlo;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PATRONE Ignazio, che nulla ha osservato in ordine alla

relazione predisposta in virtù dell’art. 380 bis c.p.c..

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 8 ottobre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c: “Con atto di citazione notificato il 20 ottobre 2004 la sig.ra C.S. – proprietaria, in quanto erede del marito V.M., di un lotto di terreno dell’estensione di mq. 1670 sito in (OMISSIS), in catasto al foglio 1073, particella 49 – aveva proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 34539/2003 con la quale era stata rigettata la domanda dalla stessa avanzata nei confronti del sig. S.V., occupante del fondo, al fine di ottenere, previa declaratoria della sua esclusiva proprietà, la condanna al rilascio del fondo stesso ed alla rimozione dei manufatti e delle colture, mentre, in accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dal predetto convenuto, era stato dichiarato l’intervenuto acquisto, da parte del medesimo S., della proprietà dell’immobile dedotto in controversia per compiuta usucapione. L’adita Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4458/2009 (depositata l’11 novembre 2009 e non notificata), ha accolto il gravame principale e, per quanto di ragione, quello incidentale, statuendo, in riforma della sentenza impugnata, che il fondo in questione era di proprietà della C.S., con conseguente condanna del S. al rilascio del fondo in suo favore e la correlata condanna della medesima appellante principale al pagamento, a vantaggio dell’appellato, di un’indennità computata nella misura di Euro 1839,59 con gli interessi legali dalla data dell’effettivo rilascio;

infine, condannava il S. al pagamento della metà delle spese del doppio grado di giudizio, compensando tra le parti la residua metà.

A sostegno dell’adottata sentenza di secondo grado la Corte capitolina rilevava che, sulla scorta delle prove orali espletate e delle stesse ammissioni operate in sede di interrogatorio formale da parte del S., non era emersa la prova di un possesso utile “ad usucapionem” in capo allo stesso S., nei cui riguardi (e dovendo lo stesso considerarsi possessore di mala fede dalla proposizione della domanda di usucapione) doveva essere, tuttavia, liquidato apposito indennizzo ai sensi dell’art. 1150 c.c..

Avverso la menzionata sentenza della Corte romana ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 15 dicembre 2010 e depositato il 23 dicembre successivo) il S.V. basato su due motivi.

Con il primo motivo ha dedotto il vizio di violazione di legge, in riferimento all’art. 12 preleggi e art. 360 c.p.c., n. 3.

Con il secondo e più articolato motivo ha denunciato la violazione di legge unitamente all’insufficienza, contraddittorietà, incongruenza e illogicità della motivazione per mancato e/deficiente esame e/o per frammentarietà ostativa della motivazione, sotto il profilo logico-formale, con carenza e/o insufficiente esame e valutazione di fatti e punti decisivi e di elementi di prova di detti fatti provati in giudizio, univoci, prospettati dalla parte e accolti anche nella sentenza di primo grado, il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e all’art. 12 preleggi.

Si è costituita in questa fase l’intimata con apposito controricorso, ritualmente notificato e depositato.

Ritiene il relatore che sembrano sussistere, nella fattispecie, le condizioni, in relazione all’art. 380 bis c.p.c., per pervenire al possibile rigetto del ricorso per sua manifesta infondatezza.

Occorre, invero, rilevare che, nel caso in questione, al di là dell’erroneo riferimento alla supposta violazione dell’art. 12 preleggi (che riguarda l’individuazione dei criteri ermeneutici della legge), anzichè all’art. 116 c.p.c. (che investe la disciplina della valutazione delle prove civili), il ricorrente (il quale manifesta, nello svolgimento del ricorso stesso, di averne direttamente consapevolezza) ha inteso, in sostanza, prospettare (non essendo risultata esplicitata la suddetta violazione di legge) l’errata valutazione delle prove da parte della Corte capitolina, in tal senso deducendo un complessivo vizio di motivazione dell’impugnata sentenza. Tuttavia, in tal modo, rievocando le complessive prove orali assunte e palesando un possibile diverso convincimento al quale il giudice del merito sarebbe potuto pervenire, la difesa del S. ha, in effetti, voluto risollecitare questa Corte di legittimità a rivisitare il ragionamento logico del giudice di appello, invocando un diverso apprezzamento dei riscontri probatori, così intendendo demandare a questa Corte una diversa valutazione di merito di dette risultanze. Ma tale aspettativa del ricorrente collide con l’orientamento univoco della giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 15489 del 2007 e Cass. n. 6288 del 2011), secondo il quale il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, con la conseguenza che tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.

Orbene, nella fattispecie, la Corte capitolina, con motivazione sufficiente e logicamente adeguata, ha evidenziato le risultanze probatorie ritenute più pertinenti e decisive ai fini de proprio convincimento (attingendo sia da quelle conseguenti alle prove testimoniali che all’interrogatorio formale dello stesso odierno ricorrente) per desumere che, in effetti, il S., nel decorso del tempo, si era rapportato con il fondo dedotto in controversia nella consapevolezza che quella sua relazione nasceva dalla disponibilità e dalla tolleranza del precedente proprietario (cui era succeduta la C.), senza che, perciò, i relativi poteri esercitati sul bene potessero contraddistinguersi come utili a configurare un possesso “uti dominus”, propriamente necessario ai fini dell’usucapione. Del resto ancora la giurisprudenza di questa Corte (v., da ultimo, Cass. 5241 del 2011) è pacifica nel ritenere che ai fini dell’adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 115 e 116 c.p.c., è indispensabile che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell’esito dell1 esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite. In conclusione, si ribadisce che, nel caso in esame, sembrano emergere le condizioni per pervenire al rigetto del formulato ricorso siccome manifestamente infondato”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra (che non risultano scalfite dalle ulteriori argomentazioni dedotte dal difensore del ricorrente nella memoria difensiva depositata, con la quale, in effetti, viene attestata l’inammissibilità della richiesta relativa ad una nuova valutazione delle prove in sede di legittimità), riconfermandosi che la Corte territoriale ha fornito un’adeguata e logica motivazione del convincimento raggiunto in ordine alle risultanze probatorie acquisite;

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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