Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29413 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.C. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv. Falanga Ciro ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

F. Crispi, n. 10, presso lo sudio dell’Avv. Vincenzo Falanga;

– ricorrente –

contro

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA DI NAPOLI, in

persona del Prefetto pro tempore, e MINISTERO DELL’INTERNO, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi “ex lege”

dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso i suoi

Uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza del Giudice di pace di Torre

Annunziata n. 1482 del 2010, depositata il 30 settembre 2010 (e non

notificata);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PATRONE Ignazio, che nulla ha osservato in ordine alla

relazione predisposta in virtù dell’art. 380 bis c.p.c..

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 6 settembre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “Con ricorso notificato il 25 novembre 2010 e depositato il 13 dicembre successivo, il sig. T.C. proponeva direttamente ricorso per cassazione (articolato in sette motivi) avverso la sentenza del Giudice di pace di Torre Annunziata n. 1482/2010, depositata il 30 settembre 2010, con la quale era stata respinta la sua opposizione formulata ai sensi della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23 nei confronti dell’ordinanza-ingiunzione prot. n. 5780-area 3^ter del 14 dicembre 2009 emessa dal Prefetto della Provincia di Napoli in ordine alle violazioni previste dall’art. 186 C.d.S., comma 7, e dall’art. 187 C.d.S., comma 9, c.d.s. 1992. In questa fase si è costituito con controricorso l’intimato Ministero dell’Interno. Ritiene il relatore che, nella specie, siano ravvisabili i presupposti per ritenere inammissibile il proposto ricorso, siccome la sentenza impugnabile non era direttamente ricorribile per cassazione ma appellabile.

Si osserva al riguardo che la L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c. – prima della sua abrogazione per effetto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 26, comma 1, lett. b) (recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2″) ed applicabile alle ordinanze pronunciate ed alle sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006 – dichiarava inappellabili le sentenze emesse in sede di opposizione ad ordinanza- ingiunzione: il carattere di specialità che connotava fortemente l’intero procedimento giustificava – nell’impostazione originaria della stessa legge depenalizzatrice – che tali sentenze non potevano essere appellate, ma solo impugnate direttamente dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto si considerava che, rispetto al procedimento in questione, il codice di rito si poneva come lex generalis, ad eccezione del caso in cui l’oggetto della sanzione amministrativa impugnata fosse riconducibile a prestazioni previdenziali od assistenziali, nella quale ipotesi, prima dell’esercizio del diritto di ricorrere in cassazione, era ritenuta esperibile l’altra impugnazione ordinaria dell’appello. La giurisprudenza, in proposito, aveva, infatti, statuito che, in materia di applicazione delle sanzioni amministrative ai sensi della L. n. 689 del 1981, il principio generale del previgente art. 23, ultimo comma, della legge stessa – che stabiliva l’inappellabilità e la ricorribilità per cassazione delle sentenze di primo grado rese sull’opposizione all’ordinanza-ingiunzione – non trovava applicazione con riguardo alle violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, attinenti ad omesso versamento di contributi assicurativi, per le quali il successivo art. 35, comma 4, prescriveva (e continua, tuttora, a prevedere) che il giudizio introdotto dall’opposizione suddetta si sarebbe dovuto svolgere nelle forme di cui all’art. 442 c.p.c. e segg., con la conseguenza che la sentenza di primo grado era (salvo il limite di valore di Euro 25,82) suscettibile di appello secondo le modalità e i termini previsti dall’art. 433 c.p.c. e non direttamente di ricorso per cassazione.

A seguito dell’evidenziata soppressione della L. n. 689 del 1981, art. 23, u.c. cit. (e, perciò, della previsione del regime speciale di impugnabilità delle sentenze emesse nella materia delle sanzioni amministrative, ad eccezione di quelle ricadenti nell’ambito di applicabilità del disposto di cui all’art. 35 della stessa legge), il legislatore, dunque, ha inteso estendere alle sentenze – senza individuare alcun’altra peculiare disciplina (nemmeno con la successiva L. 18 giugno 2009, n. 69) – il regime impugnatorio ordinariamente applicabile, ai sensi della norma generale di cui all’art. 339 c.p.c., comma 1, alle sentenze di primo grado e, perciò, stabilire che le stesse – sia se emesse dal giudice di pace che dal tribunale in composizione monocratica (in dipendenza delle rispettive competenze fissate nella stessa L. n. 689 del 1981, art. 22 bis) – rimangono assoggettabili fisiologicamente all’appello, il quale dovrà essere proposto dinanzi allo stesso tribunale in composizione monocratica (non ricadendosi in una delle ipotesi di rimessione alla decisione collegiale previste dall’art. 50 bis c.p.c.) nel caso in cui venga impugnata una sentenza del giudice di pace e davanti alla Corte di appello per l’eventualità in cui ad essere impugnata sia una sentenza di primo grado emanata dal tribunale (v., da ultimo, ad es., Cass., sez. 2^, ord. n. 12927/2011).

Nel nuovo quadro normativo, quindi, la regolamentazione delle impugnazioni delle sentenze in materia di sanzioni amministrative è stata sottratta al pregresso regime speciale e ricondotta nel solco della disciplina impugnatoria comune (ovvero ordinaria), con la conseguente possibilità di sottoporre dette sentenze ad un doppio gravame di controllo, il primo di merito (con l’appello) e il secondo di legittimità (mediante il ricorso per cassazione).

Conseguentemente, essendo stata, nella specie, direttamente impugnata in cassazione una sentenza di primo grado del competente Giudice di pace nella suddetta materia (anzichè appellarla), il ricorso proposto andrebbe dichiarato inammissibile, in tal senso, quindi, rilevandosi l’emergenza delle condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c.”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti (non essendo risultate depositate memorie a tal fine e non essendo comparso alcuno all’adunanza camerale);

Ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in complessivi Euro 600,00, oltre eventuali spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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