Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29411 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 28/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.S. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Rizzo

Francesco e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria della Corte

di cassazione;

– ricorrente –

contro

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO PER LA PROVINCIA DI CALTANISSETTA,

in persona del Prefetto pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 1146 del

2010, depositata il 10 marzo 2010 (e non notificata).

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 dicembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PATRONE Ignazio che nulla ha osservato in ordine alla

relazione predisposta in virtù dell’ari. 380 bis c.p.c..

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 6 settembre 2011, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “Il Tribunale di Catania, pronunciando sull’appello proposto dalla Prefettura di Caltanissetta nei confronti di S.S. avverso la sentenza n. 193 del 2008 de Giudice di pace di Niscemi, lo accoglieva e, per l’effetto, rigettava il ricorso in opposizione avanzato dal S. in relazione all’ordinanza-ingiunzione emessa dalla suddetta Prefettura il 23 ottobre 2006 (e notificata il 25 novembre 2006), riguardante le violazioni di cui agli artt. 171 e 213 C.d.S. del 1992.

Il menzionato giudice di appello rilevava che, nella fattispecie, essendo stato accertato l’illecito amministrativo il 20 marzo 2006, la confisca del ciclomotore condotto da minore senza l’uso del casco obbligatorio era da ritenersi obbligatoria alla stregua dell’allora vigente disposto del D.Lgs. n. 285 del 2002, art. 213, comma 2 sexies, (solo successivamente modificato dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 169, conv., con modif., nella L. n. 286 del 2006).

Inoltre, altrettanto legittimamente la sanzione era stata irrogata nei confronti del S.S., quale genitore tenuto ad esercitare la dovuta sorveglianza sul figlio minore, rispondendo a titolo autonomo per la contestata l’infrazione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 2 non avendo lo stesso non solo dimostrato ma addirittura neppure allegato di non aver potuto impedire la circolazione del figlio sul ciclomotore senza il prescritto casco protettivo.

Avverso la menzionata sentenza (non notificata) ha proposto ricorso ordinario per cassazione (notificato il 23 marzo 2010 e depositato il 13 novembre successivo), basato su tre motivi.

Con il primo motivo risulta dedotta la violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 171 come modificato dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 169, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Con il secondo motivo è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 213 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Con il terzo ed ultimo motivo risulta prospettata la violazione dell’art. 92, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

L’intimata Amministrazione non si è costituita in questa fase.

Ritiene il relatore che, avuto riguardo all’art. 380 bis c.p.c. in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 e all’art. 360 bis c.p.c., n. 1), sussistono le condizioni per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta infondatezza in ordine ai primi due motivi e per dichiararlo inammissibile in ordine al terzo.

Con riguardo alla prima doglianza il ricorrente ha sostenuto la illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo che con essa il giudicante non aveva tenuto conto che, ai sensi dell’art. 213 C.d.S., comma 2 sexies del 1992, come novellato dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 169, conv., con modif., nella L. 24 novembre 2006, n. 286 vigente al momento dell’emissione della sentenza con la quale era stato definito il giudizio di opposizione, non poteva più ritenersi applicabile la confisca nel caso in cui il ciclomotore fosse stato usato per la commissione della violazione dell’art. 171 C.d.S., essendo necessario il riferimento alla commissione di un reato.

Tale motivo si prospetta evidentemente infondato perchè, avuto riguardo all’epoca di commissione dell’infrazione amministrativa (marzo 2006), si sarebbe dovuta applicare la versione della stessa norma vigente in quel momento (che prevedeva l’obbligatorietà della confisca anche nella mera ipotesi in cui il motociclo fosse stato adoperato, oltre che per commettere un reato, anche per la commissione delle violazioni amministrative di cui all’art. 168 C.d.S., commi 2 e 7, artt. 170 e 171 C.d.S.). In tal senso il Tribunale di Catania ha fatto corretta applicazione del principio di irretroattività sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 1 in virtù del quale la giurisprudenza (v., ad es., tra le tante, Cass. n. 3676/2004; Cass. n. 5210/2007 e Cass. n. 21584/2009) – unitamente alla dottrina assolutamente prevalente – ha rilevato che, in materia di illeciti amministrativi, la previsione dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia, risultanti dal citato art. 1, comporta l’assoggettamento del comportamento considerato alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine, senza che rilevi in contrario la circostanza che la più favorevole disciplina posteriore alla data della commissione del fatto sia entrata in vigore anteriormente all’emanazione dell’ordinanza- ingiunzione per il pagamento della sanzione pecuniaria (e a maggior ragione della sentenza che abbia deciso sulla relativa opposizione) e senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2 c.p., commi 2 e 3, i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore.

Anche con riguardo al secondo motivo il suddetto Tribunale ha applicato correttamente i principi già enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 7268/2000 e Cass. n. 17189/2008), secondo cui, in caso di violazione amministrativa commessa da minore degli anni diciotto, incapace “ex lege”, di essa risponde in via diretta, a norma della L. n. 689 del 1981, art. 2, comma 2, applicabile anche agli illeciti amministrativi previsti dal codice della strada (art. 194), colui che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, che, pertanto, non può essere considerato persona estranea alla violazione stessa e che deve ritenersi responsabile qualora non abbia provato di non aver potuto impedire il fatto, circostanza questa non rimasta riscontrata nella fattispecie alla stregua degli accertamenti di merito congruamente effettuati e non potendo ritenersi certamente esimente al riguardo la generica imprevedibilità ed incontrollabilità della condotta del minore dedotta dal ricorrente (occorrendo la dimostrazione, in concreto, incombente sul genitore, di aver impartito al minore un’educazione conforme alle sue condizioni familiari e sociali, nonchè di aver esercitato una effettiva e costante vigilanza adeguata all’età, al carattere ed all’indole del medesimo, oltre il riscontro dell’inevitabilità assoluta della condotta trasgressiva del minore da sorvegliare, previa adozione di tutte le precauzioni indispensabili ad evitare la realizzazione della condotta illecita stessa). In ordine all’ultimo motivo rileva il relatore che lo stesso, riferito all’assunta violazione delle tariffe forensi nella liquidazione delle spese processuali, si risolve in una generica contestazione dell’illegittimità della condanna sul piano quantitativo, senza porre alcuno specifico riferimento alla misura dei parametri tariffari applicabili nella fattispecie e all’individuazione, altrettanto specifica, delle voci che sarebbero state effettivamente riconoscibili nella controversia in questione in relazione alle attività espletate in concreto (con indicazione della correlata misura dei compensi legittimamente liquidabili), in modo tale da evidenziare gli eventuali errori commessi dal giudicante, così incorrendo nella violazione del necessario principio di autosufficienza (v., ad es., Cass. n. 14744/2007 e Cass. n. 22287/2009), con la conseguente inammissibilità dell’inerente doglianza. In definitiva, si riconferma che – essendo, tra l’altro, state decise nella sentenza impugnata le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e non avendo offerto l’esame dei motivi elementi per mutare l’orientamento di detta giurisprudenza – sussistono le condizioni, in ordine all’art. 380 bis c.p.c., per definire nelle forme camerali il proposto ricorso sulla scorta della manifesta infondatezza dei primi due motivi e dell’inammissibilità del terzo”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti (non essendo risultate depositate memorie a tal fine e non essendo comparso alcuno all’adunanza camerale);

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato senza far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente fase, in difetto della costituzione dell’intimato Prefetto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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