Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29406 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 13/11/2019), n.29406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5781-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.F. DEI F.LLI B. & C. SAS IN CONCORDATO

PREVENTIVO, B.F., B.A.,

BE.AL.;

– intimati –

Nonchè da:

B.A., BE.AL., B.F.,

G.F. DEI F.LLI BELLOTTI & C. SAS IN CONCORDATO PREVENTIVO,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEL POZZETIO 122, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO CARBONE, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti incidentali –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 941/2014 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 22/07/2014;

udita la relazione della causa svolta camera di consiglio del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO DEFERICI.

Fatto

RILEVATO

Che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 941/31/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte il 22.07.2014, che, accogliendo parzialmente l’appello proposto dalla G.F. s.a.s. dei F.lli B., nonchè da B.F., B.A., Be.Al., aveva ridotto le pretese della Amministrazione avanzate nei confronti dei contribuenti con quattro avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2006.

Ha rappresentato che a seguito di verifica fiscale presso la società, fabbricante mangimi per animali da allevamento, aveva notificato alla contribuente avviso di accertamento con cui erano stati ripresi a tassazione componenti negativi del reddito d’impresa per costi da essa dichiarati, che invece l’Ufficio riteneva indeducibili, con conseguente rideterminazione dell’imponibile e delle imposte (oltre all’applicazione di interessi e sanzioni). Successivamente aveva notificato ai soci gli atti impositivi con cui recuperava a tassazione i redditi imputati alla società di persona, D.Lgs. n. 917 del 1986, ex art. 5.

In particolare l’Agenzia, condividendo le conclusioni del processo verbale di constatazione, aveva ripreso a tassazione numerose componenti negative, perchè prive del requisito d’inerenza o per altre ragioni, incidenti sull’imponibile, nonchè detrazioni Iva, considerate non spettanti per violazione dei presupposti richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

Gli avvisi di accertamento erano stati impugnati dai contribuenti con altrettanti ricorsi, sollevando eccezioni e contestando nel merito i rilievi elevati dalla Amministrazione.

La Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo, con sentenza n. 54/03/2013, aveva rigettato i ricorsi riuniti. Nel successivo giudizio di appello, con la sentenza ora al vaglio della Corte, erano state invece accolte le ragioni dei contribuenti per alcuni dei costi dedotti e per alcune detrazioni iva, trovando l’accertamento conferma per il resto dei rilievi.

L’Agenzia censura la decisione con quattro motivi.

Con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, e art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per omesso deposito brevi manu di copia dell’atto di appello presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale;

con il secondo per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione dell’esposizione in fatto e in diritto dei motivi della decisione, nonchè in ordine alla valutazione delle prove;

con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè dell’art. 2709 c.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente annullato il recupero ad imposta di Euro 437.768,83, scomposto in una scrittura rettificativa pari ad Euro 45.768,83 e in un bonifico bancario di Euro 392.000,00, portante la dicitura “pagamento fatture”;

con il quarto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 21 e 26, comma 2, nonchè degli artt. 1326,1333,2702 e 2704 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto illegittimo il recupero dell’iva detratta per la variazione in diminuzione di operazioni economiche, derivanti da due note di credito emesse a favore di una società cliente.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale provvedimento.

Si sono costituiti i controricorrenti, che hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, e nel merito la sua infondatezza. Con ricorso incidentale hanno a loro volta censurato la sentenza con sei motivi, in riferimento ai rilievi per i quali gli atti impositivi hanno trovato conferma in grado di appello.

Con il primo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 112, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 58.183,04 dichiarati come perdite riconducibili ad operazioni finanziarie fuori bilancio con finalità di copertura;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50 comma 1, lett. c-bis, art. 95, comma 5, art. 109, comma 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 12.000,00 dichiarati come costi per compensi agli amministratori;

con il terzo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 95, comma 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 3.800,00 dichiarati come costi per trasferte dell’amministratore presso Confindustria;

con il quarto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 45, comma 2, nonchè dell’art. 1815 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 8.330,00 dichiarati come costi per interessi sostenuti per finanziamenti concessi alla società Gatti;

con il quinto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, comma 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 15.863,00 dichiarati dal contribuente per svalutazione del valore delle rimanenze finali di prodotti finiti;

con il sesto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 26, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 11.234,82 dichiarati per la detrazione iva per variazione in diminuzione di operazioni economiche eseguite.

Hanno chiesto pertanto la cassazione della sentenza nei limiti delle censure mosse, con ogni consequenziale provvedimento.

Estata depositata memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Esaminando il ricorso dell’Agenzia, il primo motivo, con il quale si lamenta che erroneamente il giudice regionale non ha accolto l’eccepita inammissibilità dell’appello, è infondato.

Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, cui questo collegio intende dare continuità, ha affermato che nel processo tributario il deposito di copia dell’appello nella segreteria della commissione tributaria di primo grado previsto, a pena d’inammissibilità, ove il ricorso non sia notificato a mezzo ufficiale giudiziario dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, (oggi abrogato dal D.Lgs. n. 175 del 2014), può avvenire anche a mezzo posta con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto e non da quella di spedizione, non derivando da tale irritualità una sanzione di nullità in mancanza di un’espressa disposizione in tal senso (Cass., n. 423/2019; 24669/2015).

E’ infondato, quando non inammissibile, anche il secondo motivo, con il quale la ricorrente lamenta incongruenze nel contenuto della pronuncia quanto ad esposizione in fatto e in diritto dei motivi della decisione, nonchè in ordine alla valutazione delle prove. A parte la singolare finalità della critica sviluppata con il motivo, che mira a dare un quadro generale della vicenda ricostruita dai giudici regionali, senza che in verità denunci uno specifico errore, tanto da prendere in considerazione una operazione, quella dello spostamento di utili su divise per l’importo di Euro 784.000,00 da una società, la Agricola Br. s.s., a beneficio della G. s.r.l. odierna controparte, che non è stato oggetto di specifici rilievi, l’inquadramento dei rapporti tra la predetta società e le altre collegate, evidenziato dai giudici regionali, mirava a constatare la stretta colleganza tra varie compagini sociali, in alcuni casi con soci comuni. Ciò tuttavia costituiva una premessa, laddove nella analisi degli specifici rilievi le valutazioni hanno seguito un percorso che, condivisibile o meno, non autorizza a ritenere che fosse “giustificata” da quell’inquadramento.

E’ infondato il terzo motivo, con il quale l’Amministrazione si duole della decisione di annullamento del recupero ad imposta di Euro 437.768,83, scomposto in una scrittura rettificativa pari ad Euro 45.768,83 e in un bonifico bancario di Euro 392.000,00, portante la dicitura “pagamento fatture”. La Agenzia sostiene che la decisione sia viziata da una errata applicazione dei principi sulla prova, in particolare di quella presuntiva. La critica si infrange sulla verifica dei dati oggettivi evincibili dal processo, ossia per un verso sulla constatazione che il recupero ad imponibile è stato formalizzato dall’Ufficio sull’assunto che agli importi non corrisponderebbero le fatture, le quali pertanto non sarebbero state mai emesse; per altro verso che tale assunto è stato ritenuto “debole” dal giudice regionale, che ha valutato la assenza di riscontri e l’omissione di ulteriori verifiche che l’Amministrazione avrebbe potuto eseguire per provare quanto affermato.

La valutazione del giudice d’appello costituisce un giudizio di merito, intangibile sotto il profilo logico e materiale, ancorchè la ricorrente voglia invocare la valenza delle prove presuntive, perdè, anche se questa fosse la loro natura, resta il fatto che nell’esercizio dei suoi poteri di valutazione il giudice regionale ha evidentemente ritenuto non sufficiente quanto allegato dall’Ufficio.

Infondato infine è il quarto motivo, che denuncia l’erroneità della pronuncia per aver ritenuto illegittimo il recupero dell’iva, detratta per la variazione in diminuzione di operazioni economiche, cui sono riferibili due note di credito emesse a favore di una società cliente. La questione, che si relaziona al recupero a tassazione di operazioni di rettifica dell’imponibile, in diminuzione, relative all’anno d’imposta 2005, mediante l’emissione di due note di credito per sconti concessi sui prodotti acquistati dalla società cliente Br., va decisa alla luce della disciplina applicabile, ossia il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2. L’Ufficio ha negato i necessari presupposti del diritto alla detrazione, ossia la prova dell’accordo tra le parti circa la concessione di uno sconto, la individuazione dell’epoca in cui questo accordo fu predisposto tra le parti. Anche in questo caso il ricorso non coglie nel segno perdè, a fronte della discussione sollevata dall’Ufficio sulla efficacia probatoria delle lettere commerciali, il giudice regionale ha affermato che “quanto alla antieconomicità dell’operazione si rileva che da un verbale del 24 ottobre 1998 di assemblea dei soci della Soc. G. srl e presenti i rappresentati di….(sono elencate varie società clienti della G.), tutti i partecipanti convengono di fissare un margine di recupero dei costi sostenuti dalla G. srl differenziando notevolmente i prezzi usuali (dia quelli delle vendite nei loro confronti da cui le note di credito. Relativamente alle eccezioni sul valore probatorio del documento si rileva che non è disconosciuta la registrazione sul libro Iva e quanto alla competenza temporale le variazioni dovute come nel caso possono avvenire senza limiti temporali.”. Anche in questo caso l’esame degli elementi che assurgono a presupposto della contestata detrazione ha condotto ad una decisione in senso favorevole alla contribuente, che risulta esente da vizi logici o errori materiali. Pertanto l’assenza di incongruenze nelle argomentazioni utilizzate nella decisione di merito impedisce a questa Corte ulteriori valutazioni, perchè in sede di legittimità l’alveo del giudizio critico è circoscritto alla pronuncia, senza potersi estendere ai fatti.

Venendo ora all’esame dei motivi del ricorso incidentale, nessuno di essi appare fondato.

Infondato è il primo motivo, con il quale i contribuenti criticano la decisione per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 58.183,04 dichiarati come perdite riconducibili ad operazioni finanziarie fuori bilancio con finalità di copertura da rischi di cambio Euro/dollaro per l’acquisto di materie prime.

Sul punto la Commissione regionale ha affermato che “non essendo emersa una esigenza certa legata alla operatività della società si deve ritenere che la scelta di effettuare operazioni speculative sia del tutto estranea alla gestione aziendale.”. La motivazione, senz’altro sintetica, sottolinea la carenza di allegazioni, di cui era pur onerata la contribuente, interessata a supportare sul piano probatorio i costi dichiarati.

Premesso che nel giudizio non risulta neppure chiarito quale strumento finanziario sia stato utilizzato per le suddette operazioni finanziarie, con riferimento a tale area negoziale, in particolare con riguardo ai contratti di “interest rate swap”, tra i più significativi contratti utilizzati a titolo di copertura per rischi di cambio, si è di recente affermato che in tema di deducibilità dei costi ai fini fiscali, vanno esclusi dai componenti negativi del reddito d’impresa gli accantonamenti per la copertura del rischio inerente il contratto denominato “interest rate swap”, quando la società non operi nel settore creditizio o finanziario, perchè manca il requisito della inerenza del costo alla attività d’impresa, richiesto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, all’epoca vigente, medesimo D.P.R., ora art. 109, (Cass., Sez. 5, sent. n. 5160 del 2017).

Questo orientamento va valorizzato, con alcune puntualizzazioni, atteso che non si pone in discussione che la deducibilità di costi per contratti su interessi possa riguardare anche operazioni fuori bilancio, e non è neppure in discussione che tutta la disciplina prevista dalla norma ratione temporis vigente, art. 103 bis, compreso il comma 3, (del TUIR, ora art. 112, comma 5 e 6), sia stata estesa a soggetti diversi dagli enti creditizi e finanziari; quello che resta vincolante sotto il profilo della interpretazione delle regole di computo dei costi e dei ricavi è che nel caso che ci occupa doveva rigorosamente valutarsi la sussistenza delle condizioni di deducibilità dei costi di cui all’art. 109, proprio per carenza della loro inerenza – da intendersi come compatibilità, coerenza e correlazione del costo – alla attività di impresa svolta dalla società. Posto infatti che la società pacificamente produceva e commercializzava mangimi e certamente non operava nel settore dei servizi creditizi o finanziari, occorreva spiegare quale correlazione fosse concretamente ravvisabile tra la perdita derivante dalle operazioni su divise ed i ricavi o componenti positivi derivanti dalla attività esercitata dalla società nè può affermarsi che l’inerenza, qualunque valore ad essa voglia attribuirsi (cfr. da ultimo Cass., ord. n. 450 del 2018), sussista ogni qual volta i costi siano riferibili a qualsiasi operazione idonea a produrre reddito, poichè la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sè, ma all’oggetto dell’impresa (costante in tal senso la giurisprudenza, Sez. 5, sent. n. 10269/2017; sent. n. 3746/2015; sent. n. 21184/2014; sent. n. 7701/2013).

Pur tenendo conto della prospettazione difensiva della contribuente, secondo cui le operazioni su divise erano a copertura di rischi inerenti all’attività di impresa, ciò doveva essere provato dalla G. s.a.s., considerando che l’Amministrazione, senza che la circostanza risulti in alcun modo neppure genericamente contestata dalla contribuente, aveva evidenziato che la società nel corso dell’anno d’imposta aveva movimentato ben 166,5 milioni di dollari americani in acquisto, vendendone 101,5 milioni, importi che, se rapportati alla dimensione sociale, apparivano vistosamente esagerati. In tale contesto non meraviglia dunque che il giudice regionale abbia attribuito finalità speculativa alle suddette operazioni.

D’altronde, e a margine, perchè possa riconoscersi finalità di copertura del rischio cambio al prodotto derivato – in assenza di una specifica definizione -, è utile fare riferimento alla Circolare n. 166 del 1992 della Banca d’Italia, che nel p. 5.9 definisce operazioni di copertura quelle effettuate a scopo di protezione -dal rischio di variazioni negative dei tassi di interesse, dei tassi di cambio o dei prezzi di mercato – del valore di singole attività o passività in bilancio o fuori bilancio o di insiemi di attività o di passività, a tal fine richiedendosi il concorso delle seguenti condizioni: a) l’intento dell’ente di porre in essere la copertura; b) l’elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d’interesse, ecc.) delle attività/passività coperte e quelle del contratto di copertura; c) la documentazione, risultante da evidenze interne, della sussistenza delle prime due condizioni. Tali condizioni sono peraltro richiamate dalle determinazioni Consob 26 febbraio 1999, necessarie per rilevare una stretta correlazione tra l’operazione di “copertura” e il rischio da coprire (cfr. Cass., Sez. 1, sent. n. 19013/2017 nella diversa ma per certi aspetti accomunabile questione della necessaria correlazione tra l’operazione di copertura e il rischio da coprire al fine della valutazione di meritevolezza degli interessi perseguiti con i contratti cd. “derivati”.

Ebbene, nessun elemento è stato addotto dalla ricorrente incidentale per rappresentare la relazione tra le operazioni su divise e le esigenze di copertura. In conclusione manca ogni riferimento oggettivo idoneo a evidenziare l’illogicità e l’erroneità della decisione del giudice regionale.

Non è fondato il secondo motivo, con il quale i ricorrenti incidentali sostengono l’erroneità della pronuncia per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 12.000,00 dichiarati come costi per compensi agli amministratori. La tesi dei contribuenti è che tali costi sarebbero imputabili secondo il principio di competenza, essendo gli amministratori legati alla società da rapporto di parasubordinazione. Secondo il giudice d’appello a tali compensi va invece applicato il principio di cassa, e ciò trova riscontro nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 95, comma 5, che stabilisce la deducibilità dei compensi attribuiti agli amministratori delle società nell’esercizio nel quale sono corrisposti (cfr. Cass., n. 23763/2015; 26431/2018). Il principio affermato dalla Commissione regionale è corretto ed è incontestato che quei compensi furono pagati nel 2007.

E’ infondato il terzo motivo, con il quale la socie e i suoi soci sostengono l’erroneità della pronuncia per aver confermato la ripresa a tassazione di Euro 3.800,00 dichiarati come costi per trasferte dell’amministratore presso Confindustria.

Si tratta delle spese sostenute dall’amministratore della società per la partecipazione all’estero ad una conferenza quale componente di Confindustria, che la Commissione regionale ha ritenuto di natura personale. I ricorrenti insistono sulla legittima deducibilità della spesa, per la potenziale e astratta idoneità della trasferta dell’amministratore a produrre benefici anche solo indiretti all’attività dell’impresa.

Questa Corte ha sostenuto che spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi dedotti, negandone la deducibilità quando sproporzionati ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass., 13300/2017). A tal fine si è pertanto riconosciuta la sindacabilità dei compensi nel quantum da parte della Amministrazione finanziaria, che pub operare una valutazione di congruità, a prescindere dalla presenza di irregolarità contabili (cfr. Cass., n. 33217/2018). Nel caso di specie manca nella difesa dei ricorrenti ogni pur labile riferimento ai vantaggi, anche indiretti, conseguiti dalla società per la partecipazione dell’amministratore ad una conferenza all’estero nell’ambito del suo personale impegno associativo in Confindustria.

Infondato è anche il quarto motivo, con il quale si censura la conferma, ritenuta erronea, della ripresa a tassazione di Euro 8.330,00 dichiarati come costi per interessi sostenuti per finanziamenti concessi alla società Gatti.

La società e i soci hanno insistito sulla legittima appostazione al passivo dell’importo degli interessi sostenuti per procurarsi la somma di Euro 307.592,00, concessi a finanziamento infruttifero alla società Gatti. L’apparente irragionevolezza del mutuo infruttifero, che tuttavia importa un costo per il mutuante, è spiegato dai contribuenti come frequente nella prassi commerciale per fidelizzare un cliente.

Il giudice regionale, dopo aver preso atto delle difese, e aver dichiarato che ciò sarebbe astrattamente possibile, afferma tuttavia che “l’importo finanziato è di tale rilievo che dovrebbe aver costituito fonte di contratto con data certa che non si rileva nella documentazione.”. La motivazione sottende un giudizio critico in fatto, peraltro coerente con la presunzione di onerosità del mutuo, sancita tanto dalla norma civilistica (art. 1815 c.c.), quanto da quella fiscale (TUIR, art. 45), superata dalla diversa volontà delle parti, che il giudice può nel caso di specie non ha ritenuto provata. Nè assume valore l’invocazione delle lettere commerciali, cui si fa cenno nella sentenza nella parte in fatto, riportando però che si tratta di documenti privi di data certa.

Una rivalutazione degli elementi sottende ad una revisione della motivazione, inammissibile sia perchè non richiesta, sia perchè inibita in sede di legittimità.

Infondato è anche il quinto motivo, con il quale i ricorrenti incidentali si dolgono della conferma della ripresa a tassazione di Euro 15.863,00 dichiarati dal contribuente per svalutazione del valore delle rimanenze finali di prodotti finiti. Anche in questo caso si muove una critica in punto di error in iudicando, che tuttavia non coglie nel segno. A fronte del tentativo di insistere sul calo naturale del prodotto la pronuncia ha prima evidenziato che i dati delle rimanenze sono stati forniti dal contribuente e poi ha affermato che “in considerazione delle giustificazioni fornite dal contribuente non supportate da dati tecnici si ritiene corretto il recupero a tassazione.”.

Deve infine dichiararsi l’inammissibilità del sesto motivo, perchè il ricorso incidentale, pur richiamando la conferma della ripresa a tassazione delle detrazioni iva D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 26, comma 2, sulle rimanenze finali, ha articolato la difesa sulla detrazione iva per le variazioni in diminuzione di operazioni economiche eseguite, importo per il quale le doglianze dei contribuenti avevano già trovato accoglimento.

In conclusione l’intero ricorso incidentale va rigettato.

Al rigetto tanto del ricorso principale quanto del ricorso incidentale segue la compensazione delle spese del giudizio di legittimi. Attesa comunque la soccombenza dei contribuenti quanto all’introdotto ricorso incidentale, sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del medesimo art., comma 1-bis.

Il medesimo obbligo non trova invece applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass., ord. n. 1778/2016; 5955/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale. Compensa le spese processuali. Attesta la ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del medesimo art., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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