Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29405 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 13/11/2019), n.29405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3682-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempoere,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.F. DEI F.LLI B. & C. SAS, B.F.,

B.A., BE.AL.;

– intimati –

Nonchè da:

BE.AL., B.A., B.F.,

G.F. DEI F.LLI B. & C. SAS, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA DEL POZZETTO 122, presso studio dell’avvocato PAOLO

CARBONE, che li rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 780/2014 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 12/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2019 del Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO cha ha chiesto

l’accoglimento del 4 motivo di ricorso.

Fatto

RILEVATO

Che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 780/22/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte il

12.06.2014, che, accogliendo parzialmente l’appello proposto dalla G.F. dei F.lli B. s.a.s., nonchè da B.F., B.A., Be.Al., aveva ridotto le pretese della Amministrazione avanzate nei confronti dei contribuenti con gli avvisi di accertamento relativi all’anno d’imposta 2005.

Ha rappresentato che a seguito di verifica fiscale presso la società, fabbricante mangimi per animali da allevamento, aveva provveduto a notificare alla società l’avviso di accertamento con cui erano stati ripresi a tassazione componenti negativi del reddito d’impresa per costi dichiarati dalla contribuente, ritenuti invece dall’Ufficio indeducibili, con conseguente rideterminazione dell’imponibile e delle imposte (oltre all’applicazione di interessi e sanzioni). Successivamente aveva notificato ai soci gli atti impositivi con cui aveva recuperato a tassazione i redditi imputati alla società di persona, D.Lgs. n. 917 del 1986, ex art. 5.

In particolare l’Agenzia, condividendo le conclusioni della verifica fiscale, aveva ripreso a tassazione costi non certi e determinati, privi dunque dei requisiti previsti dall’art. 109 TUIR, corrispondenti a due note di credito, emesse dalla società nei confronti di due aziende sue clienti, la Azienda Agricola Braida, e la Azienda Agricola Le Cascine, a titolo di sconti sul prodotto acquistato, “per allineamento del prezzo al mercato”. Aveva ritenuto infatti che l’operazione, che di fatto comprimeva gli utili della Genta s.n.c., senza costituire imponibile per le società beneficiate perchè già in perdita, fosse finalizzata al solo conseguimento di vantaggi fiscali. Inoltre l’Amministrazione aveva disconosciuto la detrazione dell’IVA nella misura di Euro 15.720,00, derivante dalla emissione di precedenti note di credito, relative ad operazioni imputabili all’anno 2004, per violazione dei presupposti richiesti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

Gli avvisi di accertamento erano stati impugnati dai contribuenti con altrettanti ricorsi, sollevando eccezioni e contestando nel merito i rilievi elevati dalla Amministrazione. In particolare avevano insistito sulla correttezza della appostazione dei costi, perchè lo sconto era stato concesso nel contesto di accordi commerciali preesistenti con le due clienti.

La Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo, con sentenza n. 168/02/2012, aveva rigettato i ricorsi. Nel successivo giudizio di appello, con la sentenza ora al vaglio della Corte, erano state invece accolte le ragioni dei contribuenti riferite ai costi per gli sconti praticati alle società clienti, trovando invece conferma il disconoscimento della detrazione Iva.

L’Agenzia censura la decisione con quattro motivi.

Con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè il giudice regionale avrebbe annullato la ripresa a tassazione della componente negativa del reddito dell’importo di Euro 535.000,00 ricorrendo ad elementi richiamanti la disciplina Iva in tema di detraibilità da nota di credito, anzicchè valutare le emergenze della verifica fiscale in ordine alla certezza e determinatezza del costo;

con il secondo per violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 e 1333 c.c., dell’art. 2704c.c., dell’art. 116 c.p.c. in ordine alla corretta applicazione dell’art. 109 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la decisione avrebbe erroneamente ritenuto provato l’accordo tra le parti sullo sconto “di fine anno” a favore delle società acquirenti;

con il terzo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 26, ai fini della corretta applicazione dell’art. 109 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erronea attribuzione di valenza probatoria alle “note di credito”;

con il quarto per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, ai fini della corretta applicazione dell’art. 109 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto della differenza, ai fini fiscali, tra gli “sconti” e i “premi di fine anno”.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale provvedimento.

Si sono costituiti i controricorrenti, che hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, e nel merito la sua infondatezza. Con ricorso incidentale hanno a loro volta censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 26, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver erroneamente negato la detrazione Iva nonostante la presenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza limitatamente al capo impugnato.

E’ stata depositata dai contribuenti memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Esaminando il ricorso dell’Agenzia, il primo motivo, con il quale si lamenta che la decisione sia affetta da ultrapetizione per aver assunto a fondamento della decisione elementi richiamanti la disciplina Iva in tema di detraibilità dell’imposta per note di credito, senza invece valutare le emergenze della verifica fiscale in ordine alla certezza e determinatezza del costo, è infondato.

L’Amministrazione lamenta che il giudice regionale avrebbe assunto, a conforto del valore probatorio delle note di credito relative agli sconti sulla merce fornita alle società clienti, poste poi a fondamento della deduzione dei componenti negativi appostati a bilancio, la disciplina applicabile ai fini Iva, senza invece considerare le ragioni secondo le quali l’erario aveva messo in discussione la certezza e determinatezza del costo. A tal fine rinvia al contenuto dell’atto impositivo, che aveva evidenziato gli “indizi” che mettevano in dubbio la certezza del costo sostenuto.

La censura non coglie nel segno perchè la sentenza, su cui deve appuntarsi il giudizio critico di questa Corte e che certamente analizza e valuta positivamente la valenza probatoria delle note di credito ai fini della dimostrazione della effettiva applicazione degli sconti, si diffonde però anche sugli ulteriori elementi evidenziati dai verificatori e condivisi dalla Amministrazione finanziaria nell’avviso di accertamento (primo periodo della penultima pagina del provvedimento). Il giudice di merito ha infatti ritenuto irrilevante la circostanza che a fruire dello sconto fossero state solo due aziende e non tutte le clienti, perchè esse rappresentavano i tre/quarti del fatturato complessivo; ha ritenuto infondate le accuse di antieconomicità dell’operazione di sconto, ritenendo convincenti le motivazioni addotte dalla società Genta, che aveva dichiarato di riuscire ad acquistare le materie prime a prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato; ha valorizzato il rilievo dei contribuenti, secondo cui gli sconti rientravano in una strategia funzionale alla fidelizzazione della clientela “rispondente a una logica di incentivazione, sviluppo e rafforzamento della attività di impresa.”. Dunque il giudice regionale ha affrontato proprio le questioni poste dalla Agenzia (non tutte), che aveva dubitato della certezza e determinatezza del costo, allegando gli elementi che a suo parere mettevano in dubbio l’operazione di sconto. La pronuncia a tal fine ha dunque esaminato il merito della vicenda, con un giudizio di valore sugli elementi fattuali addotti da ciascuna parte, preferendo le motivazioni declinate dai contribuenti a conforto della effettività degli sconti praticati e dunque del diritto alla riduzione dei ricavi nella misura corrispondente alle note di credito.

Trattasi di una valutazione di merito, il cui riesame è precluso a questa Corte, tanto più che alla decisione trova applicazione la nuova formulazione del vizio motivazionale impugnabile, introdotto da D.L. n. 83 del 2012, cono. con modificazioni in L. n. 134 del 2012.

Gli altri tre motivi, con i quali, invocando la violazione di norme civilistiche e di quelle relative alla disciplina sull’Iva, l’Agenzia sostanzialmente si duole della erroneità della motivazione per aver ritenuto provato l’accordo tra le parti sullo sconto “di fine anno” a favore delle società acquirenti, nonchè per aver attribuito valenza probatoria alle “note di credito”, restano assorbiti dalle ragioni di rigetto del primo, atteso che trattasi di censure che sottendono il tentativo di una rivalutazione degli elementi fattuali su cui la decisione si poggia, ossia ad una rivisitazione del merito della controversia, senza peraltro neppure accennare per quali fatti, decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione, sia mancato l’esame.

In conclusione il ricorso principale va rigettato.

Esaminando ora quello incidentale dei contribuenti, che si dolgono della decisione, che avrebbe erroneamente negato la detrazione Iva nonostante la presenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto, essa è altrettanto infondata. La società e i suoi soci affermano che la disciplina che regola la fattispecie, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, dà diritto al computo della detrazione iva, in forza sempre del principio della neutralità, ogni qual volta l’operazione originaria venga meno, in tutto o in parte. Ciò afferisce, tra le numerose ipotesi riportate nel comma 2, anche agli “abbuoni o sconti previsti contrattualmente.”. E a tal fine non è richiesto che la previsione contrattuale sia contenuta in uno scritto oppure sia solo verbale. Sennonchè quello che i contribuenti non colgono è che comunque l’operazione deve essere realmente venuta meno.

A tal fine questa Corte ha affermato che le variazioni dell’imponibile o dell’imposta contemplate dal citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, alle quali si ricollega l’obbligo di emettere la fattura e procedere alle relative annotazioni, qualora si tratti di variazioni in aumento, ovvero la facoltà di portare in detrazione l’imposta e registrare tale operazione, qualora si tratti di variazioni in diminuzione, sono configurabili soltanto quando, per eventi successivi all’emissione della fattura o per inesattezze, vengano modificati gli estremi di una determinata operazione imponibile, ovverosia di un rapporto di cessione di beni o prestazione di servizi singolarmente considerato (Cass., n. 715/2007). E tuttavia la facoltà di regolarizzazione dell’Iva presuppone necessariamente che le operazioni per le quali siano state emesse le fatture da rettificare o da regolarizzare, perchè relative ad operazioni venute meno in tutto o in parte, siano effettive e pertanto non è applicabile nel caso in cui le operazioni siano inesistenti (Cass., 24231/2011; cfr. anche n. 10939/2015; n. 20060/2015).

Nel caso di specie la declaratoria di illegittimità delle note di credito relative alle pretese rettifiche verificatesi nell’anno d’imposta 2004, con il venir meno in parte dei corrispettivi delle operazioni, è stata affermata dal giudice d’appello, in mancanza di prova di una “qualsivoglia previsione contrattuale” dello sconto praticato, circostanza che in alcun modo risulta contestata dai contribuenti. Ne consegue che nessuna detrazione di iva è possibile riconoscere. L’unico motivo del ricorso incidentale va in conclusione rigettato.

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno rigettati e, considerato l’esito processuale, vanno compensate le spese del giudizio di legittimità. Attesa comunque la soccombenza dei contribuenti quanto all’introdotto ricorso incidentale, sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

Il medesimo obbligo non trova invece applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass., ord. n. 1778/2016; 5955/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale. Compensa le spese processuali. Attesta la ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per ii ricorso incidentale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 13 novembre 2019

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