Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29404 del 15/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 15/11/2018, (ud. 19/06/2018, dep. 15/11/2018), n.29404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25618-2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BEATO ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato CARLO DE MARCHIS, rappresentato e

difeso dall’avvocato GRAZIA ANNA RIZZI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.N.A.S. S.P.A., – AZIENDA NAZIONALE AUTONOMA DELLE STRADE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO D’AQUINO 75,

presso lo studio dell’avvocato ROSA LANATA’, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1689/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/10/2014 R.G.N. 2035/2012.

Fatto

FATTO E DIRITTO

PREMESSO:

che con sentenza n. 1689/2014, depositata il 23 ottobre 2014, la Corte di appello di Palermo, in riforma totale della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda, con la quale M.M., dipendente di A.N.A.S. S.p.A. con qualifica di capo cantoniere (B1) presso il Compartimento per la Viabilità della Sicilia, aveva chiesto l’attribuzione della posizione organizzativa ed economica B, sul rilievo di avere svolto dal gennaio 2000 le mansioni superiori proprie della figura di assistente di nucleo, con le pronunce conseguenti;

– che avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi e assistito da memoria;

– che la società ha depositato controricorso tardivo;

rilevato:

che con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte pronunciato sulle eccezioni di inammissibilità dell’atto di appello proposte con la memoria di costituzione;

– che, con il secondo, viene dedotta la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112 e 132 c.p.c. per non avere la Corte, pur chiamata a pronunciarsi su tali eccezioni, reso alcuna motivazione del loro eventuale rigetto implicito;

– che, con il terzo, viene dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115,416,345,346 e 437 c.p.c. per avere la Corte ritenuto non raggiunta la prova da parte del ricorrente dello svolgimento dei compiti previsti dalla declaratoria del richiesto livello B (profilo professionale di assistente di nucleo) e del prescritto grado di autonomia, nonostante che sulle relative circostanze non vi fosse stata contestazione di A.N.A.S.;

– che, con il quarto e con il quinto (subordinato) motivo, viene dedotta la nullità della sentenza e del procedimento e la violazione dell’art. 2909 c.c. e di varie norme del Codice di rito (artt. 112, 324, 342, 345, 346 e 437) per violazione del giudicato interno, essendosi la Corte di appello pronunciata sulle mansioni svolte dal ricorrente, sulla loro corrispondenza a quelle previste dalla superiore declaratoria rivendicata e sull’autonomia richiesta dai compiti di assistente di nucleo e cioè su accertamenti di fatto che, in quanto non oggetto di impugnazione da parte di A.N.A.S., erano da ritenersi passati in giudicato;

– che, con il sesto, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2103 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e delle norme collettive sulle declaratorie e i profili professionali, avendo la Corte errato nella valutazione del materiale istruttorio e nel confronto delle prove assunte con i tratti qualificanti del livello di appartenenza e di quello richiesto;

– che, con il settimo motivo, viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte di appello omesso di esaminare i fatti allegati e risultanti dall’istruttoria in relazione alle mansioni effettivamente svolte dal ricorrente;

– che, con l’ottavo, viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè il vizio di cui all’art. 360, n. 3, per non essersi la Corte pronunciata sulla violazione delle norme (art. 2103 c.c. e Allegato 5 del Protocollo di intesa 26 luglio 2007, poi CCNL 2006/2009) che prevedono l’assegnazione della qualifica superiore nel caso in cui lo svolgimento delle corrispondenti mansioni si sia prolungato per un periodo non minore di tre o sei mesi;

– che, con il nono, viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte omesso di considerare la circostanza che il ricorrente aveva il coordinamento di più squadre;

– che, con il decimo, viene infine dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 346 e 436 c.p.c. per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che la domanda concernente la decorrenza del riconoscimento delle mansioni superiori, pur disattesa dal primo giudice, non fosse stata ritualmente riproposta nelle forme dell’appello incidentale;

osservato:

che i primi due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati, posto che la Corte di appello ha esaminato e rigettato nel merito la domanda, in tal modo manifestando di ritenere superati i rilievi di inammissibilità del gravame;

– che è invero del tutto consolidato l’orientamento, per il quale ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; e ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia: cfr., fra le più recenti, Cass. n. 24155/2017 (ord.);

– che il terzo motivo è infondato;

– che, infatti, nel rito del lavoro, la mancata contestazione di un fatto costitutivo della domanda, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 3, esclude il fatto non contestato dal tema di indagine solo allorchè il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l’esistenza o l’inesistenza ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite (Cass. n. 5363/2012; conforme Cass. n. 26395/2016); mentre nella specie entrambi i giudici di merito hanno esaminato il materiale probatorio e sulla valutazione dello stesso fondato le proprie (difformi) conclusioni;

– che il quarto e il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati, alla stregua del principio di diritto, per il quale, a norma dell’art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur essendo limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati; ne consegue che non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte, le quali appaiono, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone un necessario antecedente logico e giuridico (cfr., fra le molte, Cass. n. 443/2011);

– che nella specie l’esame del ricorso in appello, consentito dalla deduzione di error in procedendo (art. 360, n. 4), pone in evidenza come A.N.A.S. abbia comunque richiamato alla necessità di un puntuale “raffronto tra le declaratorie contrattuali relative alla posizione professionale rivendicata ed a quella di appartenenza” e alla conseguente verifica dell’assenza “nell’attività in concreto svolta dal ricorrente” dei contenuti professionali tipicamente caratterizzanti il ruolo dell’assistente di nucleo, identificati nel possesso di una “maggiore capacità tecnica” e nell’assunzione di una “più grande responsabilità”;

– che il sesto e il settimo motivo, anch’essi da esaminarsi congiuntamente, risultano inammissibili, in quanto, sub specie (il sesto) della violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di fonte collettiva e (il settimo) di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5, si volgono, in realtà, a sollecitare a questa Corte di legittimità una rilettura e una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, vale a dire l’esercizio di un’attività giurisdizionale che è prerogativa esclusiva del giudice di merito, fermo restando che la sentenza impugnata ha esattamente individuato i tratti differenziali della figura dell’assistente di nucleo rispetto a quella del capo cantoniere e a tali tratti rapportato le risultanze istruttorie acquisite, tanto testimoniali come documentali (cfr. sentenza, p. 3);

– che l’ottavo motivo è palesemente destituito di fondamento, avendo la Corte accertato, in radice, il mancato espletamento delle mansioni superiori, restando così irrilevante il periodo di tempo necessario all’attribuzione della qualifica superiore;

– che parimenti infondato risulta il nono motivo, posto che la Corte, diversamente da quanto dedotto, ha specificamente preso in esame la circostanza, che si assume omessa, e cioè il coordinamento di più squadre da parte del ricorrente, sia pure accertandone il carattere episodico;

– che il decimo motivo risulta inammissibile, non censurando la specifica ratio decidendi costituita dall’intervenuto assorbimento della domanda concernente la decorrenza della qualifica superiore in conseguenza dell’accoglimento dell’impugnazione di A.N.A.S.;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che, stante l’inammissibilità del controricorso (per tardività della notificazione) e il difetto di altra attività difensiva nell’interesse della società, non vi è luogo a pronuncia sulle spese a carico del ricorrente, malgrado la soccombenza (Cass. n. 22269/2010).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2018

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