Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29403 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SAMBITO M. Giovanna – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23419-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DET PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

R.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv.

MOBILIA FABRIZIO, giusta mandato speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 252/26/2007 della Commissione Tributaria

Regionale di PALERMO – Sezione Staccata di MESSINA del 12.12.07,

depositata il 05/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO.

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:

“L’Agenzia delle Entrate ricorre contro la sig.ra R.S. per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, respingendo in parte qua l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda della contribuente avente ad oggetto la riliquidazione dell’IRPEF sul trattamento di fine lavoro ed il conseguente rimborso delle somme trattenute in eccesso a detto titolo dall’ente pubblico datore di lavoro.

I ricorso si fonda su due motivi, entrambi riferiti all’art. 360 c.p.c., n. 3. Col primo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 2 affermando, per un verso, che la ricorrente non avrebbe provato in sede contenziosa i versamenti previdenziali posti alla base dell’invocata riliquidazione dell’indennità di buonuscita e rilevando, per altro verso, l’erroneità dalla percentuale di abbattimento pretesa dalla contribuente. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito: “Dica la Corte se il contribuente, nel caso in cui si sia limitato a vantare il proprio diritto al rimborso, senza mai provare i versamenti previdenziali posti alla base della invocata riliquidazione dell’indennità di buonuscita, non può pretendere l’abbattimento del 40,98916, vista la totale mancanza di documenti attestanti lo quota e la quantità dei contributi trattenuti dall’ente datore di lavoro e se,pertanto ha errato la CTR nell’applicare al caso de quo un principio diverso.

Col secondo motivo si lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1972, art. 38 nel testo applicabile ratione temporis, assumendo la tardività dell’istanza di rimborso relativamente alle trattenute operate sulla prima franche di trattamento di fine rapporto. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito: Dica la Corte se la sentenza emessa dai giudici d’appello abbia violato o meno il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 non essendo in essa stata rilevata l’intempestività dell’istanza di rimborso, il cui termine di presentazione entro diciotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata è stabilito a pena di decadenza”.

Entrambi i motivi sono inammissibili, perchè i quesiti di diritto che li corredano non sono conformi al paradigma fissato, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c..

Al riguardo si osserva che le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e deve quindi porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamenle compiuto da giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare: in conclusione, l’ammissibilità del motivo è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca necessariamente il segno della decisione (cfr. Cass., sez. un., n. 28054 del 2008, cit.;

n. 26020 del 2008; n. i 8759 del 2008; n. 3519 del 2008; n. 7197 del 2009).

I principi espressi dalle Sezioni Unite sono poi stati ulteriormente dettagliati dalla Terza Sezione con la precisazione che è inammissibile il motivo di impugnazione in cui il quesito di diritto non indichi le due opzioni interpretative alternative, quella adottata nel provvedimento impugnato e quella proposta dal ricorrente (vedi la sentenze n. 24339/08: “Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprenderà l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile”; nello stesso senso, Ord. 4044/09).

Nel caso di specie, i quesiti formulati a conclusione dei motivi non investono la Corte della richiesta di indicare, in relazione, rispettivamente, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 2 e al D.P.R. n. 602 del 1972, art. 38 quale sia l’interpretazione corretta tra due ipotesi alternative (quella adottata nella sentenza impugnata e quella, diversa, che il ricorrente assume essere esatta) ma si risolve nella proposizione di questioni di fatto che esulano dall’ambito del giudizio di legittimità, ossia, nel primo quesito, se siano stati provati i versamenti previdenziali e, nel secondo quesito, se sia tempestiva la domanda di rimborso (senza peraltro, nel secondo quesito, indicare che il versamento delle ritenute avvenne in più tranches e precisare se l’eccedenza si sia verificata già dal versamento della prima tranche o solo col versamento del saldo). In conclusione, si ritiene che il procedimento possa essere definito in camera di consiglio, con la declaratoria di inammissibilità del ricorso …”;

che la contribuente si è costituita con controricorso;

che la relazione è stata comunicata al P.M. e notificata alle parti;

che non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le argomentazioni e le conclusioni esposte nella relazione;

che pertanto il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere alla contribuente le spese de giudizio di cassazione, che liquida in Euro 350 per onorari, oltre Euro 100 per esborsi e spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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