Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2940 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. I, 08/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 08/02/2021), n.2940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5378/2019 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico n.

38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2096/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 03/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto dal cittadino pakistano M.I., nato il (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna di diniego della protezione internazionale o umanitaria che egli aveva invocato, allegando di essere fuggito dal Pakistan nel 2010 in quanto si riteneva in pericolo di vita, avendo un debito con un mafioso che voleva coinvolgerlo nei suoi traffici illeciti (vendita di droga e armi).

2. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Ministero intimato ha depositato un “atto di costituzione” senza svolgere difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

4. Con il primo motivo – rubricato “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Omesso/erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente” – si afferma che la Corte d’appello ha ingiustamente negato la protezione sussidiaria, o quantomeno quella umanitaria, in quanto “erra nella percezione delle fonti ed in particolare sulla condizione della pericolosità, pur riconosciuta, della zona di provenienza del ricorrente”, trascurando che “l’attuale situazione politica e dei diritti umani del paese di origine suscita Serie preoccupazioni”, al riguardo potendo “senz’altro farsi riferimento alle notizie pubblicate sulla stampa e sui siti internet di particolare attendibilità”.

5. Con il secondo mezzo – rubricato “art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Omesso/errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che stato oggetto della discussione tra le parti: la condizione di pericolosità e la situazione di violenza generalizzata esistenti in Pakistan. Contraddittorietà tra fonti citate e conclusioni. Motivazione solo apparente” – si lamenta che il report EASO del 2016, citato dalla Corte d’appello per escludere la sussistenza di un conflitto armato tale da generare una situazione di violenza generalizzata, “consta di 124 pagine di cui non viene riportata nemmeno una riga e che rappresenta la situazione del Pakistan in modo estremamente articolato e soprattutto in modo diametralmente opposto a quello dipinto dalla Corte”.

6. Il terzo motivo – rubricato “art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 – Mancata concessione della protezioni sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007,. art. 14. Contraddittorietà tra le fonti sul Pakistan e le conclusioni” – ripropone la doglianza veicolata da quello precedente, nell’assunto che sarebbe “attuale la sussistenza di una grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno del Pakistan”, in quanto “paese instabile che non garantisce il rispetto della legalità e afflitto da condizioni di violenza generalizzata ove i gruppi terroristici hanno la capacità di operare su tutto il territorio nazionale”; a tal fine, vengono trascritti (da pag. 17 a pag. 25 del ricorso) lunghi brani tratti dal sito “(OMISSIS)” del MAE (luglio 2017) e dal rapporto di Amnesty International 2016-2017 vertenti sui plurimi aspetti del

7. Nel quarto mezzo – rubricato (testualmente) “art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 – Il Tribunale ha omesso di applicare al ricorrente la protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.” – sono illustrate le pretese ragioni in forza delle quali “il nostro Paese deve garantire al ricorrente giunto sul territorio Italiano ed Europeo un livello di vita dignitoso”, in quanto “la prova che le condizioni di vita del ricorrente nel Paese di origine sono del tutto inadeguate è in re ipsa”, alla luce delle “condizioni socio-economiche” e della “ridotta aspettativa di vita” che sussistono in Pakistan.

8. Tutti i motivi, che veicolano confusamente vizi eterogenei, presentano plurimi profili di inammissibilità.

8.1. Innanzitutto occorre ricordare che, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U., 8053/2014; cfr. Cass. Sez. U., 33017/2018).

8.2. Ebbene, posto che la motivazione della sentenza impugnata supera sicuramente quella soglia minima, le censure motivazionali proposte non sono conformi al paradigma di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile ratione temporis), ai cui fini il ricorrente è onerato di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U., 8503/2014; conf., ex plurimis, Cass. 27415/2018).

8.3. Le doglianze sono altresì generiche, perchè sviluppate piuttosto in termini generali e astratti, che non con la dovuta attinenza alla fattispecie concreta. Peraltro, le stesse sono sovente indirizzate contro il decisum del Tribunale, in luogo del provvedimento di secondo grado oggetto di impugnazione in questa sede.

8.4. Con specifico riguardo alla protezione sussidiaria, il ricorso punta sostanzialmente a sovvertire le valutazioni della Corte territoriale circa i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che essa reputa insussistenti, osservando (con una motivazione chiara, per quanto sintetica) che il (OMISSIS) – “presunto luogo di provenienza” del richiedente – “sulla base delle più aggiornate informazioni (…) non sia in alcun modo interessata da una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata derivante da conflitto armato interno”. A sostegno della tesi opposta, il ricorrente si limita a “rimandare alla lettura integrale” della stessa fonte citata dal giudice a quo (EASO Country of origin Information Report Pakistan Security Situation, july 2016) – asseritamente “onde verificare ictu oculi la clamorosa contraddizione in cui è incorsa la Corte”, nonchè a trascrivere una breve definizione di “conflitti armati non internazionali”, tratta da un non meglio individuato “punto 1.3 del testo redatto dal Centro Alti Studi per la Difesa – Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze”, svolgendo autonome valutazioni al riguardo.

8.5. Sul punto, è appena il caso di ricordare che, per consolidato indirizzo di questa Corte (ex multis Cass. 8908/2019, 284/2019, 13858/2018, 32064/2018), il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretato in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (art. 9 e art. 15, lett. c), delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE) e in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia, la quale ha precisato che “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (Corte giust., 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30). La stessa Corte giust. (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36) ha altresì chiarito che, di norma, i rischi cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese non costituiscono ex sè una minaccia individuale definibile come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE).

8.6. Pertanto, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, supposta dal ricorrente. per il riconoscimento dell’invocata protezione sussidiaria postula, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una, minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” derivante da quella violenza. Tali circostanze sono state escluse dal giudice a quo sulla base di argomentazioni non correttamente censurate sotto il profilo motivazionale, che integrano perciò valutazioni di merito non censurabili come tali in questa sede (ex multis, Cass. 5114/2020, 33858/2019, 3340/2019, 21142/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018).

8.7. In conclusione va applicato il principio per cui è inammissibile un “ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U., 34476/2019).

9. Alla declaratoria di inammissibilità non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese dell’intimato.

10. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater (Cass. Sez. U., 23535/2019).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

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