Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29396 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 13/11/2019), n.29396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18036/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.A.;

-intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 103/2014, depositata ill6 gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2019 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. C.A., dirigente Enel, presentava istanza di rimborso alla Agenzia delle entrate, precisando che era un (“vecchio”) iscritto al fondo pensione già prima del 1993, che aveva ricevuto la liquidazione delle somme nell’anno 2000, che su tali somme era stata applicata la ritenuta Irpef dal Fondo pensione con l’aliquota del 33,38 %, come tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a, che, invece, le somme dovevano essere gravate da una ritenuta del 12,5 % sulla differenza tra il capitale corrisposto e l’importo dei premi riscossi e ridotta del 2 % per ogni anno successivo al decimo (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42 comma 4), che le spettava la somma di Euro 151.010,72 o, in subordine, delle maggiori imposte afferenti la sola parte relativa al rendimento pari ad Euro 86.593,63.

2.A fronte del silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che lo accoglieva.

3.La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello della Agenzia delle entrate evidenziando che l’appellante era iscritto, prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1983, quindi alla data del 28-4-1993, e che, prima di tale riforma, per la sentenza della sezioni unite 13642 del 2011, occorreva distinguere: per gli importi maturati fino al 31-12-2000, la prestazione era assoggettata al regime di tassazione separata solo per quanto riguardava la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro; mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. “rendimento” si applicava la ritenuta del 12,5 %, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6.

Pertanto, la Commissione regionale riteneva che dovesse applicarsi l’aliquota del 12,50 %, essendo stata fornita la dimostrazione dell’investimento del capitale accantonato, in particolare rilevando che era stato prodotto il prospetto con l’indicazione analitica dei rendimenti maturati, oltre ad una “qualificata certificazione” con indicazione dell’importo della posizione previdenziale del C. trasferito a Fondenel (capitale di dotazione iniziale all’1-5-1998 (Euro 43.461,66), contributi a carico del dirigente nel periodo 1-51988/31-3-1998 (Euro 15.569,79); contributi ordinari a carico dell’azienda (Euro 54.494,27); rendimenti conseguiti nel periodo 1-5-1988/31-3-1988 (Euro 429.745,07). Pertanto, era elevatissimo il rendimento dei capitali già conferiti al fondo Pia, “pur se scaturiti dal meno remunerativo campo obbligazionario”, ma in un’epoca in cui “i titoli obbligazionari raggiunsero e superarono i rendimenti realizzati nel primo decennio del 2000”, mentre il Fondenel si era limitato ad indicare tali rendimenti.

4.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, depositando anche memoria scritta.

5.Resta intimato il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c.; violazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”, l’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1″, in quanto la Commissione regionale ha affermato che le dichiarazioni ed attestazioni contenute nei documenti non sono state contestate con querela di falso. Al contrario, l’Agenzia delle entrate ha sempre sostenuto che “la società Enel non ha mai gestito questi fondi mediante gestione separata; i fondi sono sempre rimasti all’interno del bilancio aziendale”, sicchè “non si è mai realizzata una utilizzazione finanziaria pura di dette somme che, quindi, non possono avere generato il risultato tipico di un investimento finanziario”. Il riferimento alla querela di falso è erroneo in quanto la certificazione non è stata rilasciata da un pubblico ufficiale.

1.1.Tale motivo è fondato.

Invero, l’Agenzia delle entrate ha sempre contestato che il capitale accantonato fosse stato investito nel mercato finanziario, evidenziando anche che il contribuente non aveva fornito la prova dei fatti costitutivi della sua pretesa di rimborso “non avendo prodotto nulla in merito alla natura degli investimenti effettuati dalla Gestione Personale Dirigenti Enel” (cfr. ricorso in appello).

Il riferimento del giudice di appello alla querela di falso non è corretto, in quanto la certificazione non è stata redatta da un pubblico ufficiale.

2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, lett. a) e art. 42, comma 4; violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la sentenza del giudice di appello ha dato applicazione incompleta e meramente apparente del principio di diritto enunciato dalle sezioni unite (Cass., 13642/2011), senza esaminare i profili di fatto della controversia e stabilire, come avrebbe dovuto, se le somme liquidate alla contribuente dal datore di lavoro costituivano o meno un rendimento da investimenti nel mercato finanziario.

3.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la certificazione dell’Enel in data 20-4-2006 è priva di valore ai fini della decisione della controversia, non attestando l’avvenuto investimento del capitale accantonato nel mercato finanziario.

3.1. I motivi secondo e terzo, che vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono fondati.

3.2.Invero, deve evidenziarsi che il ricorrente è un “vecchio iscritto” al fondo, quindi prima del 1993, ed ha conseguito la liquidazione della prestazione entro l’anno 2000, sicchè non può applicarsi la normativa successiva al 1 gennaio 2001.

3.3.Occorre dunque anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base all’art. 12, comma 4 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

3.4.Questa Corte, a sezioni unite (22 giugno 2011, n. 13642), ha poi ritenuto che, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per glie importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1. gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

Il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

4.Sul punto la successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass.Civ., 26 aprile 2017 n. 10285 e Cass.Civ., 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass.Civ., 7 marzo 2018, n. 5436; Cass., 4941/2018) si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario (o comunque di riferimento), del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Pertanto, l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (con aliquota del 12,5%), si giustifica in ragione della “equiparazione” tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dal t.u.i.r., art. 41 (ora art. 44), comma 1, lett. g-quater) e art. 42 (ora art. 45), comma 4, con applicazione analogica dell’art. 6 suddetto ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione.

Solo se e in quanto, dunque, nei capitali corrisposti possano identificarsi “redditi di capitali derivanti da contratti di capitalizzazione” può giustificarsi l’applicazione del meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, senza possibilità di operare alcuna distinzione tra PIA e Fondenel.

5.Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,5% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6 i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La Commissione regionale si è limitata ad affermare, dopo aver riportato il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez.un., 13642 del 2011), che l’Agenzia delle entrate non aveva contestato la documentazione prodotta dal contribuente con la querela di falso, ritenendo che tale certificazione dimostrava il rendimento del capitale. In tal modo la Commissione ha ritenuto che l’importo corrisposto al contribuente aveva natura di “rendimento”, senza però specificare le ragioni per cui vi sarebbe stata la prova che parte del capitale accantonato era stato investito nei “mercati finanziari” o, comunque, “di riferimento”.

Invero, da un lato, per quanto detto, tale requisito va ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, dall’altro, però, non v’è ragione di ulteriormente circoscrivere tale requisito ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari), potendo assumere rilievo in tal senso anche altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).

6.E’ però certo da escludere che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, poichè tale coerenza costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato.

7.La Commissione tributaria, quindi, non solo non ha applicato in modo corretto le norme richiamate nei motivi di ricorso per cassazione, ma non ha tenuto conto, nella sua motivazione, della circostanza che, pur essendo il contribuente già iscritto al fondo prima del 21 aprile del 1993 (circostanza in atti pacifica) e che aveva ricevuto la liquidazione delle somme nell’anno 2000, prima del 1 gennaio 2001, tuttavia doveva valutarsi se le somme corrisposte provenissero o meno da un effettivo investimento “nel mercato di riferimento” (o nel mercato finanziario) da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

In particolare, deve anche rilevarsi che il prospetto in atti non rappresenta un elemento probatorio idoneo a dimostrare che il capitale accantonato della contribuente ha costituito una “posizione individuale” ed è stato investito nel mercato di riferimento (immobiliare o finanziario), con l’assoggettabilità all’aliquota più favore del 12,5 %.

Al contrario, si certifica soltanto che il capitale lordo da liquidare è di Euro 543.270,79, che la dotazione iniziale al 1 maggio 1988 era di Euro 43.461,66, che i contributi a carico del dirigente per il periodo 1-5-1988/31-3-1998 erano di Euro 15.569,79, che i contributi a carico dell’azienda, nello stesso periodo, erano di Euro 54.494,27, e che il rendimento conseguito nel periodo di riferimento era di Euro 429.745,07, ossia la differenza tra il totale del capitale lordo da liquidare e la somma di dotazione iniziale, contributi del lavoratore e contributi del datore di lavoro.

Questo è, però, il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, quindi il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito.

Tale rendimento non può considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, essendo, al contrario, dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale.

Da tale prospetto non emerge, invece, in alcun modo se tale rendimento, per la posizione individuale della contribuente, deriva dall’investimento del capitale accantonato ad essa relativo, nel mercato finanziario o “di riferimento”.

Grava, però, sulla contribuente che impugna una istanza di rimborso l’onere di provare quale sia là parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio al conteggio proveniente dall’Enel, prodotto dalla contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass., 16116/2018).

8.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “in subordine rispetto ai motivi nn. 1, 2 e 3: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, avendo omesso il giudice di appello di esaminare il fatto storico costituito dalle norme contrattuali applicabili.

8.1.Tale motivo è assorbito, in quanto articolato solo in via subordinata.

9.La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente, dichiarando che le somme rinvenienti dal fondo PIA sono assoggettate a tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917/1986, artt. 16 e 17 (in adesione a numerosi precedenti conformi: Cass., 16116/2018; Cass., 16117/2018; Cass. 161118/2018; Cass., 16123/2018).

E, infatti, pacifico che si controverta solo su capitali rinvenienti dall’accantonamento in PIA (il periodo dei versamenti è dal 1986 al maggio 1998, quindi prima del trasferimento dei fondi da PIA in FONDENEL nel 1998) e, per come rilevato dalla stessa sentenza impugnata, dalla documentazione in atti non risulta accertato alcun rendimento rinveniente dall’investimento sul mercato finanziario dei fondi accantonati (Cass., 10285/2017; Cass., 4941/2018), con la conseguenza che non risulta per esso applicabile in concreto il regime fiscale dettato dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 (aliquota del 12,5 % sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 % per ogni anno successivo al decimo).

Tali considerazioni sono confermate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo dell’Enel relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass., 16116/2018).

10.La complessità della questione trattata impone la compensazione integrale delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo, secondo e terzo; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate per intero tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 13 novembre 2019

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