Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29394 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6728/2018 R.G., proposto da:

“San Raffaele S.p.A.”, con sede in Roma, in persona del presidente

del consiglio di amministrazione pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Alessandro Riccioni e dall’Avv. Carlo Cicala, con studio

in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in margine al

ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

il Comune di Rocca di Papa (RM), in persona del Sindaco pro tempore,

autorizzato a resistere nel presente giudizio in forza di delib.

adottata dalla Giunta Municipale il 14 marzo 2018 n. 32,

rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Longobardi, con studio in

Roma, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in calce al

controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

del Lazio il 13 dicembre 2017 n. 7410/08/2017, notificata il 21

dicembre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

ottobre 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La “San Raffaele S.p.A.” ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 13 dicembre 2017 n. 7410/08/2017, notificata il 21 dicembre 2017, la quale, in controversia su impugnazione avverso ingiunzione di pagamento della T.A.R.S.U. per l’anno 2011, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Rocca di Papa (RM) nei suoi confronti avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 28 gennaio 2016 n. 1622/07/2016, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha riformato la decisione di primo grado, sul rilievo che il prodromico avviso di pagamento non era stato impugnato e che la contribuente era stata messa a conoscenza della superficie assoggettabile a tributo per gli anni dal 2000 al 2003. Il Comune di Rocca di Papa (RM) si è costituito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 (c.d. “motivazione apparente”), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso di esaminare l’eccezione opposta in via principale dalla contribuente con riguardo alla stipulazione di un contratto di appalto il 10 novembre 2010 per l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari e pericolosi in relazione alle superfici non assoggettabili a T.A.R.S.U. (nell’anno 2011).

2. Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso di pronunciarsi sull’eccezione opposta in via principale dalla contribuente.

3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 71 e della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161, nonchè falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 72, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver confuso la notifica dell’avviso di pagamento con la notifica dell’avviso di accertamento (mai avvenuta), nonchè per aver ritenuto la definitività dell’avviso di accertamento e la legittimità della successiva ingiunzione di pagamento.

Ritenuto che:

1. Il primo motivo è infondato.

1.1 Si può dire che una sentenza sia inficiata da “motivazione apparente” allorquando la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (ex multis: Cass., Sez. 5, 7 aprile 2017, n. 9105) e, quindi, tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (ex multis: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248).

1.2 Nella specie, anche in base alla stessa prospettazione del mezzo, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, contenendo una chiara, congruente e lineare esposizione delle ragioni sottese all’accoglimento dell’appello.

Difatti, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia fondata sull’esame della sola eccezione opposta dalla medesima in via subordinata. Ma non è l’eventuale silenzio del giudice di merito sull’eccezione opposta in via principale a determinare di per sè la costruzione di una motivazione apparente, occorrendo che le argomentazioni adoperate – a prescindere dalla loro fondatezza – siano inidonee a fornire un minimo di giustificazione al decisum.

2. Anche il secondo motivo è infondato.

2.1 L’eccezione (supportata da produzione documentale) a cui la ricorrente si riferisce consiste nella stipulazione di un contratto di appalto il 10 novembre 2010 per l’affidamento ad un soggetto specializzato del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari e pericolosi in relazione alle superfici non assoggettabili a T.A.R.S.U. e l’usufruizione continuativa di tale servizio nell’anno 2011.

2.3 Per giurisprudenza costante, il vizio di omessa pronuncia non ricorre quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (ex multis: Cass., Sez. 2, 13 agosto 2018, n. 20718).

2.4 Nella specie, la sentenza impugnata ha pronunciato il rigetto delle controdeduzioni della contribuente con motivazione inerente alla mancata specificazione della superficie suscettibile di esclusione dalla soggezione alla T.A.R.S.U., a norma del regolamento comunale, art. 7, assorbendo ed involgendo in tale valutazione il tacito apprezzamento circa la ininfluenza della stipulazione del contratto di appalto per l’affidamento ad un soggetto specializzato del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti sanitari e pericolosi, anche in assenza – in base alla prospettazione esposta in ricorso – di specifica autorizzazione dell’ente impositore.

3. Parimenti, il terzo ed ultimo motivo si rivela infondato.

3.1 Come è noto, a norma del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 70, commi 1 e 2, i soggetti obbligati al pagamento del tributo devono presentare al Comune, entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, apposita denuncia con effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate. In caso contrario, l’utente è tenuto a denunciare, nelle medesime forme, ogni variazione relativa ai locali ed aree, alla loro superficie e destinazione che comporti un maggior ammontare della tassa o, comunque, influisca sull’applicazione e riscossione del tributo in relazione ai dati da indicare nella denuncia.

Inoltre, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 71, comma 1, dispone: “In caso di denuncia infedele o incompleta, l’ufficio comunale provvede ad emettere, relativamente all’anno di presentazione della denuncia ed a quello precedente per la parte di cui all’art. 64, comma 2, avviso di accertamento in rettifica, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa. In caso di omessa denuncia, l’ufficio emette avviso di accertamento d’ufficio, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata”.

Secondo l’orientamento di questa Corte, tale disposizione attribuisce ai Comuni la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente, senza necessità di emissione e notifica di alcun avviso di accertamento, purchè sulla base di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione (Cass., Sez. 5, 23 settembre 2004, n. 1918; Cass., Sez. 5, 6 novembre 2009, n. 23582; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22248; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2016, n. 19120). Per cui, solamente nel caso di omessa denunzia o infedele o incompleta dichiarazione da parte del contribuente occorre la preventiva notifica di un atto di accertamento (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22248; Cass., Sez. 5, 28 settembre 2016, n. 19120).

3.2 Aggiungasi che, fermo restando l’obbligo del contribuente di denunziare tempestivamente e fedelmente i dati richiesti dalla legge, senza necessità di ripetere la denunzia annualmente, salvo che si verifichino variazioni (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 70, comma 2), bisogna considerare che ad ogni anno solare corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 64, comma 1) e che, quindi, se la denunzia fu incompleta o infedele o addirittura omessa, come nella specie, l’obbligo di formularla correttamente si rinnova di anno in anno; conseguentemente l’inottemperanza a tale obbligo sanzionata dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 76, non può produrre, per decorso del tempo, come pretenderebbe il contribuente la sanzionabilità solo per la prima annualità, dato che il comportamento omissivo è perdurato nel tempo in violazione del chiaro disposto normativo, nè, peraltro, detto comportamento può produrre la decadenza del Comune dal potere di accertare le superfici non dichiarate, che continuino ad essere effettivamente occupate o detenute, o gli altri clementi costituenti il presupposto della tassa (ex plurimis: Cas., Sez. 5, 7 agosto 2009, n. 18122; Cass., Sez. 5″, 8 ottobre 2019, n. 25063).

3.4 Ciò posto, si desume che la tassazione è fondata sulla reiterazione della prestazione dovuta per gli anni successivi alla presentazione della denuncia originaria o della denuncia di variazione, a seconda che le caratteristiche degli immobili si conservino inalterate o subiscano modifiche nel corso del tempo.

Pertanto, nell’ipotesi in cui le condizioni di tassabilità degli immobili non siano state oggetto di denuncia originaria o di denuncia successiva da parte del, contribuente, ma siano state oggetto di specifico accertamento d’ufficio da parte dell’ente impositore, si deve ritenere che la situazione non cambi ai fini dell’applicazione futura del tributo.

In proposito, è convinzione della Corte che anche l’avviso di accertamento per omissione. o infedeltà della denuncia (sia originaria, che di variazione) che sia divenuto definitivo (perchè non impugnato o perchè confermato in sede giudiziaria) assuma valore equipollente ai fini della fissazione delle condizioni di tassabilità degli immobili per gli anni successivi, non occorrendo che l’ente impositore rinnovi la constatazione dell’infrazione con la sequenza annuale di ulteriori avvisi di accertamento per il periodo seguente. Ne deriva che, in caso di inadempimento del contribuente, l’ente impositore potrà avviare il procedimento di riscossione senza la preventiva emanazione di atti di accertamento.

3.5 Nè rileva che il soggetto passivo del tributo sia una società incorporata dalla ricorrente nell’anno 2008.

A tale riguardo, è dirimente la qualificazione civilistica della fusione per incorporazione alla stregua di una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico (per effetto dell’introduzione dell’art. 2504-bis c.c. – come norma di “natura innovativa e non interpretativa” – da parte del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 6:Cass., Sez. Un., 17 settembre 2010, n. 19698; Cass., Sez. 3, 10 dicembre 2019, n. 32142), che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, senza estinzione della società incorporata, nè creazione di un nuovo soggetto di diritto.

Pertanto, si deve escludere che si possa estendere alla fusione per incorporazione, il principio enunciato da questa Corte con riguardo al mutamento di possessore dell’immobile.

In tal caso, si è ritenuto che, in tema di T.A.R.S.U., i Comuni hanno la facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente purchè in forza di dati ed elementi già acquisiti e non soggetti a modificazione o variazione, sicchè, qualora sia mutato il possessore dell’immobile, è necessaria l’emissione di un nuovo avviso di accertamento non essendo a questi imputabile la dichiarazione fatta dal precedente possessore (in termini: Cass., Sez. 5, 28 settembre 2016, n. 19120).

Tuttavia, posto che la fusione per incorporazione non integra una vicenda successoria tra enti giuridici, ma si risolve nella prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato, quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, non vi può essere subentro di un soggetto ad un altro soggetto nel possesso dell’immobile, bensì permanenza del medesimo ed unico soggetto nel possesso dell’immobile.

Il che esclude a monte la necessità per l’ente impositore di notificare un nuovo avviso di accertamento alla società incorporante, che, essendo vincolata dalla medesima obbligazione tributaria gravante sulla società incorporata, è destinata a subire gli effetti pregiudizievoli dei precedenti atti impositivi a quest’ultima notificati.

4. In conclusione, l’infondatezza dei motivi dedotti comporta il rigetto del ricorso.

5. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, che liquida nella somma complessiva di Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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