Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29391 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8905-2019 proposto da:

COMUNE DI FROSINONE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

TAGLIAMENTO N. 76, presso lo studio dell’avvocato NACCARATO GIUSEPPE

STUDIO LEGALE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARINA

GIANNETTI;

– ricorrente –

contro

P.L., con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da

LUCIANA PASTOCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 121/2019 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 17/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RITENUTO

che

Il Comune di Frosinone propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 2680/4/18, depositata il 26/4/2018 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio Sez. Staccata di Latina, in controversia concernente avviso di accertamento di Tarsu per gli anni 2009 e 2010, in relazione ad immobile adibito a civile abitazione di P.L., ubicato in (OMISSIS), è stato respinto l’appello del Comune, avverso la prima sentenza, che aveva accolto l’originario ricorso della contribuente limitatamente all’annualità 2009, per intervenuta decadenza della relativa pretesa intempestivamente esercitata, ed invece accolto l’appello incidentale di quest’ultima, per le annualità 2010, stante l’intervenuta abrogazione della Tarsu, e dichiarata la illegittimità della pretesa tributaria dell’ente territoriale.

Resiste la contribuente con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso il Comune deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., commi 1 e 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, commi 1 e 2, per non avere il giudice di appello considerato il divieto di introdurre nel giudizio di appello temi d’indagine nuovi rispetto a quelli oggetto dell’originaria impugnazione dell’avviso di accertamento e segnatamente la questione l’abrogazione della Tarsu dopo l’anno 2009, la sostituzione del tributo con la Tia, la disciplina del regime transitorio.

Con ii sondo subordinato motivo deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1999, art. 49, del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 238 e 264, per non avere il giudice di appello considerato che la complessa normativa succedutasi nel tempo per consentire ai comuni il passaggio dal sistema del tributo al nuovo sistema di prelievo per far fronte ai costi di gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, per l’anno 2010 consentiva l’applicazione della Tarsu.

Con il terzo motivo deduce – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, – violazione e falsa applicazione delle deliberazioni regolamentari del Comune di Frosinone (G.C. n. 127 del 16/3/2009 e n. 165 del 7/4/2010) determinative delle tariffe Tarsu per gli anni 2009 e 2010, espressamente richiamate nell’avviso di accertamento, non investite dalla impugnazione della contribuente, per avere il giudice di appello cionondimeno dichiarato non dovuto il tributo per dette annualità.

La prima censura è infondata.

Assume il Comune ricorrente che la contribuente aveva originariamente impugnato l’avviso di accertamento per cui è causa deducendo “l’intervenuta decadenza per il periodo d’imposta 2009 per essere decorsi i termini per procedere all’accertamento”, nonchè l’illegittimità dell’atto “per la mancata previa notificazione dell’avviso bonario e per la mancata decurtazione del 20% della superficie rilevata dalle visure catastali come previsto dal D.P.R. n. 138 del 1995 e dal Regolamento Comunale, art. 10”, che l’adita CTP di Frosinone aveva ritenuto fondato il primo profilo impugnatorio, alla luce della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, il quale prevede per la notifica degli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio un termine di decadenza quinquennale, inondato il secondo, non prevedendo il D.P.R. n. 507 del 1993 alcun obbligo ma soltanto la facoltà di inviare al contribuente, qualora vengano rilevate infedeltà o omissioni dichiarative, l’invito a regolarizzare la propria posizione, infondato anche il terzo profilo, non risultando nella specie applicabile la decurtazione della quota del 20% della superficie tassabile ex D.P.R. n. 138 del 1995.

Assume, ancora, che solo con l’appello incidentale la contribuente ha dedotto “la totale abrogazione della TARSU”, per effetto del D.Lgs. n. 22 del 1997, a far data dall’anno 2010 e, dunque, l’insussistenza in radice della pretesa tributaria.

E’ appena il caso di richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili.”(Cass. n. 31224/2017).

Il divieto di “nova” in appello, in quanto il giudizio tributario è di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, comporta che in sede di gravame le parti non possano proporre, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, nuove domande ed eccezioni.

Ma deve trattarsi di eccezioni in senso tecnico, quale strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale nel giudizio di impugnazione di cartella esattoriale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa o estintiva della pretesa fiscale, da cui deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, implicando la deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine, non effettuabile per la prima volta in appello (Cass. n. 27562/2018).

Diversamente, ove il contribuente si limiti a specificare ed integrare le difese in diritto svolte in primo grado – com’è accaduto nel caso in esame -, senza che ciò comporti alcun “mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa”, è evidente che non ricorrono le ragioni del divieto in questione, in quanto difetta la “deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine”, che amplierebbe inammissibilmente – l’oggetto del giudizio.

La seconda e terza censura, scrutinabili congiuntamente in quanto connesse, censura sono fondate.

Il regime fiscale dei tributi dei quali qui si discute, che ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, è stato così ricostruito da questa Corte (Cass. n. 20972/2019):

4.1 – La ricognizione normativa della fattispecie evidenzia, sul punto, innanzitutto che il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 istituiva (art. 49) la tariffa integrata ambientale (cd. TIA 1) che, nel disegno del legislatore, avrebbe dovuto sostituire la TARSU. Per quel che qui interessa, il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, cit., disponeva la soppressione della TARSU (istituita dal D.Lgs. n. 507 del 993, artt. 58 e ss.) “a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5” (art. 49, comma 1); e prevedeva, al cit. comma 5, che il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano) 4 avrebbe dovuto elaborare “un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento, prevedendo disposizioni transitorie per garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei comuni.”. L’atto regolamentare in questione è stato, quindi, adottato col D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, il cui art. 11 ha previsto un regime transitorio (anche per effetto di successive modifiche normative) così articolato: “Gli enti locali sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa entro la fine della fase di transizione della durata massima così articolata: a) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto nell’anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all’85%; b) sette anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l’85%; c) otto anni per i comuni che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi inferiore al 55%; d) otto anni per i comuni che abbiano un numero di abitanti fino a 5000, qualunque sia il grado di copertura dei costi raggiunto nel 1999.”. La soppressione della TARSU, quindi, non ha comportato l’immediata abrogazione della relativa disciplina istitutiva ma, – secondo il cennato regime transitorio, – detta imposta rimaneva in vigore (con la conseguente disciplina regolamentare adottata dai Comuni; D.Lgs. n. 507 del 1993, cit., art. 68) almeno sino al 19 giugno 2006 (il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 129 del 4 giugno 1999 e, come appena sopra ricordato, il termine più breve istituito dal regime transitorio prevedeva una durata di almeno 7 anni). Detto regime transitorio, peraltro, non verrà a compimento in quanto col D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (pubblicato in Gaz. Uff. il 14 aprile 2006) il legislatore interveniva nuovamente sulla materia 5 disponendo la soppressione della TIA 1 istituita col D.Lgs. n. 22 del 1997. Ha previsto, in particolare, il D.Lgs. n. 152 del 2006, che: – “La tariffa di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.” (art. 238, comma 1); – “Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti” (art. 238, comma 11); – è abrogato “il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del cit. D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto” (art. 264, comma 1, lett. i)). Orbene, il D.Lgs. n. 152 del 2006 (istitutivo della cd. TIA 2) è stato adottato in un momento in cui, come sopra rilevato, non si era ancora perfezionata la scadenza del regime transitorio previsto dal D.P.R. n. 158 del 1999 (adottato in esecuzione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, cc. 1 e 5): il che equivale a dire che a detto momento non poteva ritenersi (già) prodotto l’effetto abrogativo che il D.Lgs. n. 22 del 1997, cit., art. 49, comma 1, aveva previsto con riferimento alla disciplina (anche regolamentare) della TARSU. Laddove, allora, il legislatore del 2006 (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 11) ha previsto la salvaguardia delle “discipline regolamentari vigenti” (sino all’emanazione di un regolamento previsto dall’art. 238, comma 6) e, con quelle, dei “provvedimenti attuativi 6 del cit. D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22” (“sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”) ha, da un lato, conservato tutte le discipline regolamentari (e normative) a quel momento vigenti, – stante il mancato perfezionamento del regime transitorio di cui sopra si è detto, – e, dall’altro, ha esso stesso prorogato il regime transitorio previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (e dal D.P.R. attuativo n. 158 del 1999, art. 11, cit.) onde evitare ogni soluzione di continuità “nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta” del D.Lgs. n. 152 del 2006 (art. 264, comma 1, lett. i)). Va, in particolare, rimarcato che il D.P.R. n. 158 del 1999, costituiva (anche nella disciplina transitoria introdotta col suo art. 11 cit.) provvedimento attuativo del D.Lgs. n. 22 del 1997 e che la conservazione di efficacia delle “discipline regolamentari vigenti” non poteva che comprendere (anche) i regolamenti comunali sulla TARSU (la cui disciplina legislativa non era stata ancora abrogata in ragione del sopra ricordato regime transitorio). La complessiva soluzione legislativa in discorso è stata, quindi, mantenuta in vigore sino all’adozione (col D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e sui servizi, cd. TARES) secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dal 1 gennaio 2013 “sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza” (art. 14, comma 46). E ciò è tanto vero che: – il 30 dicembre 2008, n. 208, art. 5, comma 2 quater, conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 13 (e qual modificato dapprima dal D.L. 10 luglio 2009, n. 78, art. 23, comma 21, convertito in L. 3 agosto 7 2009, n. 102, di poi dal D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 8, comma 3, convertito in L. 26 febbraio 2010, n. 25), – nel disporre che “Ove il regolamento di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 6, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro il 30 giugno 2010, i comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti.” espressamente riconosceva che l’effetto abrogativo conseguente all’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006 a quella data (30 giugno 2010) non si era ancora (senz’altro) prodotto (art. 238, comma 1 e 11, e D.Lgs. n. 152, art. 264, comma 1, lett. i), cit.); – il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 14, comma 7, disponeva che “Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi l’badi e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale.”.

4.1.1 – Ritiene, quindi, la Corte destituita di fondamento l’interpretazione che la ricorrente incidentale suggerisce a riguardo della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 184, (e succ. modificazioni) in quanto con detta disposizione il Legislatore si è limitato a disporre che il “regime di prelievo” relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti “adottato in ciascun comune per l’anno 2006”, – risultasse esso, quindi, relativo alla TARSU o alla TIA, – rimaneva invariato anche per gli anni successivi (2007, 2008 e 2009), non anche che le discipline normative di TARSU e TIA 1, – così come già regolate, nella loro successione, secondo la disciplina di cui sopra s’è dato conto, – rimanevano in vigore per detti anni. Da dette disposizioni poteva, allora, conseguire (al più) il divieto di passare dall’una all’altra forma di imposizione, – e, con questo, una preclusione alla modifica dei regolamenti di TARSU e TIA, – ma non 8 anche l’abrogazione delle discipline istitutive di dette forme “di prelievo, in difetto della (compiuta) realizzazione della TIA 2 (istituita col D.Lgs. n. 152 del 2006; v., altresì, Cass., 04/12/2018, n. 31286; Cass., 13/07/2017, n. 17271). (…) In ragione di quanto sin qui rilevato, difatti, la perdurante vigenza del regime normativo della Tarsu non è conseguita (con effetti retroattivi, …) dal disposto di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 14, comma 7, ma ha costituito il portato di (altre) disposizioni normative (non oggetto di censura) che, come si è premesso, hanno disciplinato, in via transitoria, il passaggio dalla Tarsu alla Tia 1 (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 1 e 5, in relazione al D.P.R. n. 158 del 1999, art. 11) e, poi, da quest’ultima alla Tia 2 (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238), sino all’entrata in vigore del D.L. n. 201 del 2011, cit. (che, all’art. 14, comma 46, ha disposto la soppressione di “tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria”, a decorrere dal 1 gennaio 2013). Va, del resto, rimarcato che l’art. 23 Cost. fissa, in materia tributaria, una riserva di legge relativa e non assoluta, sulla base della quale alla norma primaria è richiesto di delineare i requisiti essenziali del tributo, potendo la stessa demandare, alla fonte subprimaria, le modalità e l’ammontare del prelievo, in relazione ai soggetti passivi (v. Corte Cost., 7 aprile 2017, n. 69; sulla riserva relativa di legge, con rinvio di dettaglio anche ad atti amministrativi generali, v. altresì: Corte Cost., nn. 64/1995, 148/1979, 180/1996, 269/1997, 435/2001; Cass., Sez. U, 10/09/2004, n. 18262; Cass., 20 novembre 2003, n. 17602; Cass., 4 novembre 2003, n. 16498)”.

Ne consegue, per il periodo oggetto di esame (2009 e 2010), è legittima l’applicabilità della Tarsu da parte del Comune di Frosinone, tenuto conto che era sicuramente nelle facoltà del legislatore prevedere l’ulteriore vigenza di tale tassa, così come era in potestà dell’ente territoriale l’adozione delle deliberazioni regolamentari (G.C. n. 127 del 16/3/2009 e n. 165 del 7/4/2010), per determinare le tariffe Tarsu.

All’accoglimento dei predetti motivi di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata e la decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento dell’originario limitatamente all’annualità Tarsu 2009, non dovuta per intervenuta decadenza dell’ente impositore, decisione del giudice di merito che resta ferma non essendo investita dal ricorso per cassazione, essendo viceversa dovuta la Tarsu 2010.

L’evoluzione della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio.

PQM

La Corte, accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario nei limiti di cui in motivazione. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

 

 

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