Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29390 del 28/12/2011

Cassazione civile sez. II, 28/12/2011, (ud. 19/12/2011, dep. 28/12/2011), n.29390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13530-2006 proposto da:

M.M., B.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato

BRIGUGLIO ANTONIO C/O ST VACCARELLA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MIGLIARINI ANDREA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO TESORO BILANCIO PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DIPARTIMENTO

TESORO DIREZIONE (OMISSIS) UFF., in persona del Ministro pro

tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 367/2005 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata

il 11/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/12/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato MIGLIARINI Andrea, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nei confronti di M.M. e B.M., nelle rispettive qualità di presidente e vice – presidente del consiglio di amministrazione della società “MO.BE IMPORT – EXPORT Monacelli &

Benedetti S.r.l.” ed in solido con quest’ultima, il Ministero del Tesoro del Bilancio e della Programmazione Economica emise decreto in data 16.7.2001.notificato il 30.7.2001, irrogante a ciascuno la sanzione amministrativa di L. 187.475.000, per la violazione di cui al D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 1, comma 1 (accertata dalla Guardia di Finanza con riferimento ad operazioni risalenti al 1994- 1995) “per aver effettuato transazioni commerciali per complessive L. 3.749.500.000 in contanti senza il tramite degli intermediari abilitati” tra il 1994 ed il 1995. Gli intimati proposero tempestiva opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22 davanti al Tribunale di Perugia, poi riassunta (a seguito di dichiarazione d’incompetenza territoriale da parte di detto giudice) innanzi a quello di Ancona, gradatamente deducendo l’estinzione della pretesa sanzionatoria, L. n. 689 del 1981, ex art. 14 per tardività della relativa contestazione, o, in subordine, ex art. 28, L. cit., per prescrizione quinquennale, la non punibilità della loro condotta ascritta per avere agito in stato di necessità, l’insufficienza di prove in ordine alla responsabilità medesima,’eccessività della sanzione.

L’opposizione cui aveva puntualmente resistito l’intimato ministero venne accolta limitatamente all’ultimo motivo, rigettandosi tutti gli altrui con sentenza dell’8.11.04. pubblicata il 11.3.05, riducente la sanzione dovuta da ciascun opponente ad Euro 48.413,00 con integrale compensazione delle spese de giudizio.

Contro tale sentenza il M. ed il B. hanno congiuntamente proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui ha resistito il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

amministrazione incorporante quella originariamente convenuta,con rituale controricorso. I ricorrenti hanno depositato una memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 difettando il provvedimento dell’indicazione del giudice che l’ha pronunziato. La censura non merita accoglimento, denunziando una mera irregolarità formale dell’intestazione della sentenza (dove effettivamente manca l’indicazione del Tribunale di Perugia) inidonea a determinare alcuna incertezza in ordine all’individuazione dell’ufficio di appartenenza del magistrato decidente, non solo perchè i ricorrenti nessun dubbio al riguardo esternano,ma anche e soprattutto in considerazione della presenza sull’ultima pagina de provvedimento, dell’attestazione di deposito in cancelleria nella quale inequivocamente è indicato il Tribunale suddetto.

Con il secondo motivo si censura, per violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 e per omessa o insufficiente motivazione, il rigetto del motivo oppositivo deducente la decadenza dell’amministrazione dalle pretese sanzionatorie, per tardività della relativa contestazione in relazione al termine di gg. 90, che sarebbe stato comunque superato. Al riguardo si deduce: a) che tale termine avrebbe iniziato il suo decorso non dal 2.10.95, data in cui la Guardia di Finanza aveva trasmesso al Ministero gli atti di accertamento bensì dal giorno 27.6.95, data di inizio delle indagini, allorquando dalle scritture contabili i verbalizzanti avrebbero preso esauriente contezza delle operazioni ritenute irregolari; b) che i due odierni ricorrenti non sarebbero mai venuti a conoscenza della nota in data 4.12.95, di asserita contestazione degli addebiti richiamata in quella successiva del 23.11.99, per nullità delle relative notificazioni, quanto al M., perchè ictu oculi falsa e

PQM

per tale motivo

dell’avviso postale di ricevimento, quanto al B., perchè eseguita a mani del padre non convivente, come da prodotta certificazione anagrafica per avere comunque il giudice di merito omesso alcuna motivazione sulle suesposte eccezioni. Il motivo è infondato sotto tutti i dedotti profili.

Sul primo va richiamato e ribadito il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il dies a quo per la contestazione degli addebiti nei casi in cui l’accertamento venga eseguito da organi ispettivi distinti a quelli preposti alla vigilanza,cui compete la qualificazione delle condotte e dei relativi illeciti e la determinazione delle sanzioni non coincide con quello della prima conoscenza dei fatti, nella loro materialità ma dal decorso di un termine adeguato, ragionevolmente sufficiente secondo il discrezionale apprezzamento del giudice di merito, ad una compiuta valutazione dei fatti (tra le tante v. Cass. nn. 3043/09, 5467/08, 9311/07, 25916/06, 12830/06, 2365/05, 9456/04). Tale principio comporta, a fortiori nei casi in cui l’attività accertativa sia stata compiuta da organi di polizia, mentre quella di formale contestazione ed irrogazione delle sanzioni sia riservata, come nella materia disciplinata dalla normativa nella specie applicata, che il temine in questione non possa aver iniziato a decorrere prima del completamento della suddetta attività e della conseguente trasmissione all’autorità competente degli accertamenti di polizia.

Peraltro nel caso di specie, in cui la contestazione era avvenuta entro gg. 90 (2/10 – 4/12/95) dal ricevimento della notizia dell’illecito da parte dell’amministrazione il giudice di merito non ha avuto alcuna necessità di determinare quell’adeguato termine di valutazione di cui sopra, limitandosi, del tutto correttamente, a dare atto della palese tempestività della contestazione.

Passando al secondo profilo di censura attinente alla contestazione delle due notificazioni, va osservato: quanto alla prima,che, a fronte della fede privilegiata ex art. 2700 c.c. da attribuirsi all’attestazione dell’agente postale di ricezione della copia dell’atto da parte del destinatario, implicante la relativa identificazione, non era sufficiente la mera contestazione della firma, in quanto apocrifa, ma avrebbe dovuto proporsi querela di falso quanto alla seconda, va richiamato e ribadito il costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, v. nn. 21362/10, 23368/06, 2348/94 e la recente ord. sez. 6, ud. 18.10.11, proc. n. 17765/10), secondo cui, in tema di notificazione a mani di “persona di famiglia” il concetto di “convivenza” non va inteso in termini anagrafici nè richiede una stabile coabitazione,essendo sufficiente la presenza non meramente occasionale, nel domicilio del destinatario, dovuta a frequentazione abituale, in ragione di stretti legami di parentela o affinità comportanti quel rapporto fiduciario cui è connessa la presunzione di successiva consegna all’interessato dell’atto, in concreto pervenuto nella sua sfera di conoscibilità.

Le suesposte considerazioni comportano l’inammissibilità del terzo profilo di censura. considerata l’irrilevanza della denunciata carenza di motivazione su punti della controversia prospettati degli opponenti, che secondo le stesse prospettazioni di parte non sarebbero stati decisivi.

Con il terzo motivo di ricorso vengono dedotte violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 28 ed omessa ed insufficiente motivazione,censurandosi rigetto del motivo di opposizione deducente la prescrizione dell’illecito,per decorso del termine quinquennale che non sarebbe stato utilmente interrotto;in particolare tale effetto non avrebbe potuto ascriversi, come apoditticamente avrebbe fatto il giudice di merito, alla nota in data 23.1.99, soltanto ipotizzante la configurabilità dell’illecito e neppure contenente la determinazione della sanzione, con la conseguente inconfigurabilità degli estremi della costituzione in mora, ai sensi dell’art. 2943 c.c., da ritenersi applicabile in virtù del richiamo di cui alla sopra indicata disposizione della legge speciale.

Il motivo va respinto alla luce del consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, dal quale il collegio non ravvisa motivi per doversi discostare secondo cui esplica efficacia interruttiva del decorso del termine prescrizionale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 28 qualsiasi atto del procedimento previsto dalla normativa in questione in quanto costituente inequivoca manifestazione della pretesa sanzionatoria della P.A. nei confronti del trasgressore (o dei soggetti solidalmente obbligati con il medesimo ex art. 6, L. cit.), atto a costituirlo in mora ai sensi dell’art. 2943 c.c. (tra le tante v. nn. 617.98, 4201.99, 9520.01, 11285.01, 11379.01, 9232.03, 3124.05, 4088.05, 5063.06, 15631.06, 1081.07, 28238.08, 19366.10, 185.11). Ne caso di specie tale efficacia va ascritta alle due note in precedenza citate (del 4.1.95 e del 23.11.99) con le quali furono, ex art. 14, L. cit. utilmente contestati, sia al M., sia al B. gli illeciti in questione, a nulla rilevando che le sanzioni non fossero state ancora determinate essendo le stesse comunque agevolmente determinabili secondo criteri normativi (sulla non necessitaci fini dell’effetto interruttivo ex art. 294 c.c., comma 1 della quantificazione del credito, ove lo stesso sia determinabile v. Cass. 5861.06). Con il quarto motivo si censura, per violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 4 e per omessa ed insufficiente motivazione,il rigetto del motivo oppositivo con il quale era stato invocato lo stato di necessità, per avere ricevuto gli irregolari pagamenti in contanti in quanto costretti dalle gravi minacce degli esponenti della società albanese, con la quale quella rappresentata dagli opponenti era venuta in rapporti commerciali, oltre che per evitare dissesti finanziari che sarebbero inevitabilmente conseguiti dalla mancata accettazione. Il motivo è manifestamente infondato, considerato che le circostanze dedotte non sarebbero state idonee, quand’anche fossero state provate le minacce ricevute, ad integrare gli estremi di cui all’art. 54 c.p., (da ritenersi implicitamente richiamati o comunque analogicamente applicabili in materia di illeciti amministrativi), ai fini della concreta configurabilità dell’esimente de qua, atteso che la condotta che si assume imposta vale a dire l’accettazione dei pagamenti in contanti eccedenti il limite legale,era finalizzata non ad evitare gravi (e peraltro futuri, ma non imminenti) danni alle persone, come richiesto dalla norma penale citata, bensì, secondo la tesi prospettata, al patrimonio degli accipienti, o meglio della società dai medesimi rappresentata, che oltretutto ben avrebbero potuto essere altrimenti evitati o comunque contenuti, ponendo termine al tormentato rapporto commerciale in questione o in estrema ipotesi, denunciando i fatti alle competenti autorità.

Con il quinto motivo si censura, per violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 e per omessa e insufficiente motivazione, il mancato accoglimento dell’opposizione, che avrebbe dovuto conseguire all’insufficienza degli elementi di prova a carico, segnatamente con riferimento alla dedotta causa di esclusione di punibilità.

Anche tale mezzo è manifestamente infondato,considerato che nella specie i fatti oggettivi integranti gli illeciti, consistenti nell’accettazione dei ripetuti pagamenti irregolari risultavano incontestabilmente accertati dai documenti contabili esaminati dai verbalizzanti come ammettono gli stessi ricorrenti, e che le giustificazioni addotte neppure astrattamente sarebbero state idonee ad integrare l’invocata esimente; tanto è sufficiente al rigetto della censura, anche a prescindere dalla considerazione che, pur nei casi di astratta configurabilità delle cause escludenti la punibilità l’onere probatorio al riguardo comunque incombe su chi le invochi, sicchè l’insufficienza di prove al riguardo si riverbera sul relativo motivo oppositivo, e non può comportare l’assoluzione dubitativa di cui all’art. 23 penultimo comma, L. cit.. Con il sesto motivo vengono dedotte violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4 della sentenza per omessa pronuncia nonchè omessa o insufficiente motivazione, in relazione al mancato accoglimento del subordinato motivo oppositivo, con il quale era stato dedotta la prescrizione degli illeciti quanto meno in relazione ai pagamenti irregolari ricevuti in data antecedente al 26 novembre 1999. Il motivo, pur partendo dalla corretta premessa di principio secondo cui il termine prescrizionale debba essere computato per ciascuno dei pagamenti illegittimi (eccedenti il limite massimo di L. 20.000.000 fissato dal D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 1 conv. con modd. in L. 5 luglio 1991, n. 97), dalle rispettive date di accettazione, integranti altrettante distinte, ancorchè omogenee, violazioni della stessa norma compiute in tempi diversi e non dall’ultima non potendo trovare applicazione analogica al riguardo la disposizione penalistica in tal senso contenuta nell’art. 158 c.p. (nel testo vigente fino alla modifica intervenuta nell’anno 2005), non operando nell’ambito della disciplina degli illeciti amministrativi la “continuazione” (eccezionalmente rilevante L. n. 689 del 1981, ex art. 8 solo per violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria) quale istituto di generale applicazione (v. tra le altre 22799/05, 15000/06, 944/11), diversamente dai casi di concorso formale omogeneo o eterogeneo, tuttavia non è in concreto meritevole di accoglimento.

Al riguardo, infatti, operando le due contestazioni in precedenza citate del 1995 e 1999 quali utili atti interruttivi per ciascuno dei fatti illeciti ascritti, il più antico risalente al 5.9.1994 (come da narrativa dello stesso ricorso), ed essendo stato il provvedimento sanzionatolo emesso il 16.7.2001, risulta evidente come a tale data non si fosse, per alcuno degli illeciti de quibus, maturato il termine quinquennale di cui all’art. 28 citato.

Irrilevante risulta dunque la censura di omessa pronunzia sul subordinato motivo oppositivo. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese,infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del resistente Ministero, che liquida in Euro 4.200,00 per onorari, oltre quelle prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2011

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