Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29388 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 13/11/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15996/2012 R.G. proposto da:

C.P.P. e Z.P., rappresentati e difesi dall’Avv.

Cataldo D’Andria, con domicilio eletto presso il suo studio, in

Roma, Viale Regina Margherita, n. 262-264, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n.

12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche n. 107/4/2011, depositata il 12 agosto 2011.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 giugno

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate, essendo stato rinvenuto un foglio extracontabile manoscritto, con indicazione di contratti stipulati con vari acquirenti, provvedeva, con accertamento analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, nei confronti della società C. Costruzioni s.r.l., società esercente attività di costruzione e ristrutturazione di edifici di civile abitazione, per l’anno 1994, per ricavi non contabilizzati a fronte di cessione di porzioni di immobili, con conseguente accertamento anche nei confronti dei soci C.P.P. e sua moglie Z.P., con riferimento agli utili ad essi distribuiti, trattandosi di società a ristretta base partecipativa.

2. La Commissione tributaria provinciale di Macerata accoglieva il ricorso proposto dai soci C.P.P. e Z.P., con sentenza 168/1/99 del 18-6-1999.

3. La Commissione tributaria regionale delle Marche, con sentenza 106/10/2000 dell’11-12-2000, facendo propria la decisione della Commissione tributaria di Macerata 105/01/2000 nei confronti della società, accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’ufficio, solo con riferimento alla individuazione di maggiore Irpeg per lire 39.000.000, in relazione a due compromessi sottoscritti attestanti pagamenti di importi non registrati in contabilità.

4. La Corte di Cassazione, con sentenza 15171/2006, cassava la sentenza della Commissione regionale 106/2000, in quanto motivata solo per relationem, con rinvio alla CTR delle Marche.

5. La Commissione regionale delle Marche, con sentenza 107/4/11 depositata il 12-8-2011, nel giudizio di rinvio, accoglieva l’appello della Agenzia delle entrate, con riforma della sentenza di prime cure e conferma dell’atto impositivo nei confronti dei due soci. In particolare, secondo il giudice del rinvio dal foglio extracontabile rinvenuto risultavano i nominativi degli acquirenti, con i dati relativi alla identificazione degli immobili ed il relativo prezzo, quindi un indizio grave e preciso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, avverso il quale i soci non avevano prodotto prove contrarie.

6. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i soci.

7. L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

8. Nel frattempo veniva pronunciata dalla Corte di Cassazione, prima la sentenza 25102/2008, per l’anno 1994, con accoglimento del ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia delle entrate nei confronti della società, avverso la sentenza 30/2002 del 23-4-2002 della CTR delle Marche, e successivamente, sentenza n. 9442/2017, sempre per l’anno 1994, in relazione alla società, con cui veniva dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla società avverso la sentenza 109/2011, depositata il 12-8-2011 della CTR Marche, sicchè l’accertamento nei confronti della società diveniva definitivo.

9. La Procura Generale depositava conclusioni scritte ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c. chiedendo (Ndr: Testo originale non comprensibile) cosa ha chiesto.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Va, preliminarmente, respinta la richiesta di rinvio della trattazione della controversia, presentata dai contribuenti, per la riapertura dei termini di cui al D.L. n. 119 del 2018, art. 3, da parte del D.L. n. 34 del 2019.

Invero, il D.L. n. 34 del 2019, art. 16 ter, dopo la conversione in legge, ha previsto la riapertura dei termini sino al 31-7-2019, solo per la rottamazione ter e per il “saldo e stralcio”, ma con esclusivo riferimento alle cartelle di pagamento emesse dal 1-1-2000 sino al 31-12-2017 (“riapertura dei termini per gli istituti agevolativi relativi ai carichi affidati agli agenti della riscossione”), in relazione al D.L. n. 119 del 2018, art. 3, convertito in L. n. 136 del 2018, mentre la controversia oggetto del giudizio attiene all’impugnazione dell’avviso di accertamento.

1.2. Con il primo motivo di impugnazione i contribuenti deducono “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria su di un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto l’amministrazione non ha fornito la prova della sussistenza dei ricavi asseritamente non contabilizzati, non avendo operato alcun riscontro tra i dati contenuti nel foglio manoscritto e la contabilità della società, oltre che gli atti notarili. La perizia svolta in sede penale non ha confortato gli assunti del Fisco. Pertanto, non avendo fornito tale prova l’Amministrazione, non sorgeva l’onere di prova contraria dei contribuenti.

2. Con il secondo motivo di impugnazione (a pagina 36 del ricorso per cassazione) i ricorrenti deducono “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, non avendo la CTR motivato sulla esistenza di molteplici e univoci indizi della pretesa esistenza di ricavi non contabilizzati, non potendo configurarsi come tale il foglio manoscritto.

3. Con il terzo motivo di impugnazione (rubricato sub 1.2. a pag. 38 del ricorso per cassazione) i ricorrenti si dolgono della “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Motivazione insufficiente e contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto anche ove si volesse considerare fornita dalla Agenzia delle entrate la prova indiziaria dei ricavi non contabilizzati, comunque la società ha fornito la prova contraria, con la produzione degli atti notarili e delle fatture, oltre alla Convenzione con il Comune di San Severino Marche.

4. Con il quarto motivo di impugnazione (rubricato sub 1.4 a pag. 41 del ricorso per cassazione) i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alle risultanze del giudizio penale”, in quanto la perizia svolta in sede penale dal Rag. F.R. è stata acquisita d’ufficio in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, che non consentiva dopo le modifiche del 2005, l’attivazione del potere ufficio di acquisizione documentale.

5. Con il quinto motivo di impugnazione (rubricato sub 2 a pag. 45 del ricorso per cassazione) si deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.. Insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla identificazione dell’oggetto del giudizio di rinvio”, in quanto la CTR, nel giudizio di rinvio, ha erroneamente affermato in motivazione che la sentenza n. 106/00 depositata dalla CTR di Ancona doveva essere riformata, mentre tale sentenza, trattandosi di giudizio di rinvio, era stata già annullata dalla Cassazione con rinvio. L’oggetto del giudizio di rinvio era, invece, la sentenza della CTP di Macerata.

6. Con il sesto motivo di impugnazione (rubricato sub 3 a pag. 47 del ricorso per cassazione) i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del Tuir (art. 75 del Tuir vigente all’epoca dei fatti) e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice del rinvio non ha tenuto conto dei costi sostenuti dalla società per ottenere i maggiori ricavi contestati.

7. Con il settimo motivo di impugnazione (rubricato a pag. 50 del ricorso per cassazione) i ricorrenti deducono “insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, non avendo chiarito la CTR la ragione per il mancato riconoscimento dei costi sostenuti dalla società.

7.1. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

7.2. Invero, con sentenza 9442/2017 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società C. Costruzioni s.r.l., avverso la sentenza della CTR delle Marche 109/11, del 12-8-2011, sicchè è divenuto definitivo l’avviso di accertamento emesso per l’anno 1994 nei confronti della società, con recupero a tassazione di maggiori ricavi pari ad Euro 356.561,84. Pertanto, si è affermato che il rinvenimento della documentazione extracontabile ha reso legittimo l’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1 lett. d. L’Agenzia delle entrate ha, quindi, fornito la prova della sussistenza di maggiori ricavi non contabilizzati, mentre la società non ha fornito la prova contraria.

In particolare, il foglio con i nominativi degli acquirenti degli immobili, con a fianco i dati identificativi degli immobili oggetto di compravendita ed il relativo prezzo, costituisce elemento indiziario grave e preciso della omessa contabilizzazione dei ricavi.

Non v’è stata, dunque, alcuna violazione della regola di riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c..

Il riferimento della Commissione regionale 107/4/2011, nel giudizio di rinvio alla sentenza 106/2000 della Commissione regionale che ha definitivo il giudizio di appello, con la pronuncia di riforma della stessa, è solo frutto di un mero refuso, in quanto la sentenza 106/2000 era stata già travolta dalla pronuncia di questa Corte 15171/2006.

Il giudice di appello, poi, ha fondato la sua decisione soprattutto con riferimento alla documentazione extracontabile rinvenuta, mentre la perizia penale acquisita è stata utilizzata solo per confermare il valore degli immobili. Inoltre, trattandosi di accertamento analitico induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d e non di accertamento induttivo puro ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, i costi non potevano essere desunti in via presuntiva, ma era necessario fornire la prova della sussistenza e della quantificazione degli stessi. Nella motivazione si è chiarito che costituisce massima di esperienza quella per cui corrisponde all’interesse dell’imprenditore annotare i costi sostenuti per l’attività di impresa e che la corresponsione di ricavi in nero può solo comportare un più ampio margine di utile rispetto al costo invariato del bene venduto. La società non ha dedotto e provato ulteriori costi, ancorchè non contabilizzati.

La sentenza che ha definitivo il giudizio tra la società e l’Agenzia delle Entrate, con conseguente definitività dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, determina il rigetto del ricorso per cassazione proposto dai soci, con riferimento alla ormai acclarata esistenza dei ricavi non contabilizzati, stante il valore pregiudicante della controversia relativa alla società, rispetto a quella che attiene ai soci delle società a ristretta partecipazione (Cass., 25271/2014, in motivazione; Cass., 17461/2017 in motivazione sub paragrafo 7; Cass., 441/2013 ove si afferma che ove il reddito nei confronti della società risulti accertato in maniera definitiva, il giudizio nei confronti del socio, per quanto attiene agli utili extracontabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa; Cass., 4 dicembre 2015, n. 24793, per l’efficacia riflessa del giudicato intervenuto nel giudizio tra l’amministrazione e la società; anche Cass., 23 maggio 2019, n. 13989; Cass., 31 gennaio 2011, n. 2214, in relazione all’obbligo di sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa pregiudicata, relativa ai soci, rispetto a quella pregiudicante, relativa alla società, da intendersi quale antecedente logico giuridico; Cass., 7 marzo 2016, n. 4485).

8. Con l’ottavo motivo (rubricato sub II parte 1 a pag. 51 del ricorso per cassazione) i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3 e dell’art. 5 del Tuir, nonchè degli artt. 2727, 2729, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto gli utili extracontabili possono essere considerati in capo ai soci per il principio di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, solo in presenza di un avviso “definitivo” emesso nei confronti della società.

9. Con il nono motivo (rubricato sub 2 a pag. 60 del ricorso per cassazione) si deduce “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2729 c.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto vi è stata una illegittima inversione dell’onere della prova a carico dei contribuenti, in assenza di qualsiasi documentazione idonea a dimostrare la percezione degli stessi.

10. Con il decimo motivo di impugnazione (rubricato sub 3 a pag. 62 del ricorso per cassazione) si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la CTR avrebbe dovuto sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa dell’esito della causa pregiudicante relativa alla società ed ai ricavi asseritamente non contabilizzati.

11. Con l’undicesimo motivo (rubricato a pag. 65 del ricorso per cassazione) si deduce “insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto anche se non vi era un obbligo di sospensione del giudizio, comunque la CTR non ha motivato sulla mancata sospensione discrezionale.

12. Con il dodicesimo motivo (sub art. 4 a pag. 65 del ricorso per cassazione) si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e dell’art. 127 del Tuir, nonchè dell’art. 115, comma 2, del Tuir, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la CTR ha errato nel ritenere che non spettava ai soci il credito di imposta sugli utili societari distribuiti per non avere denunciato i redditi di partecipazione nella propria denuncia dei redditi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, comma 5. In realtà, vi è stata doppia imposizione perchè vi è stata l’automatica imputazione ai due soci dell’importo dei presunti utili da ricavi non contabilizzati e l’assoggettabilità dei soci ad Ilor, non avendo essi goduto del credito di imposta sui dividendi.

12.1. I motivi ottavo, nono, decimo, undicesimo e dodicesimo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

12.2. Invero, si rileva che per questa Corte è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. Civ., 5076 del 2011; Cass. Civ., n. 9519 del 2009; Cass. Civ., 7564 del 2003; Cass. Civ., 18 ottobre 2017, n. 24534), non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass. Civ., 22 novembre 2017, n. 27778).

Pertanto, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass., 1947/2019).

Nella specie, la prova contraria non è stata in alcun modo fornita dai soci, a fronte della definitività dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società per il recupero di ricavi non contabilizzati.

Peraltro, l’intervenuta pronuncia della Suprema Corte 9442/2017, tra la società e l’Agenzia delle entrate, ha reso non più attuale l’impugnazione in relazione alla mancata sospensione della causa pregiudicante ai sensi dell’art. 295 c.p.c.. Inoltre, non spettava ai soci il credito di imposta sugli utili societari distribuiti, proprio perchè tali utili sono stati percepiti “in nero”, non essendo stati in alcun modo dichiarati dai contribuenti, proprio perchè oggetto di avviso di accertamento.

Peraltro, si evidenzia che per questa Corte, in tema di credito d’imposta derivante da dividendi societari, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 14, comma 5, (nella formulazione applicabile “ratione temporis”) in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui, non consentendo di emendare la dichiarazione nella quale sia stata omessa l’indicazione di tale credito di imposta, determinerebbe una doppia imposizione a carico del contribuente, poichè, come chiarito anche dalla Corte Costituzionale, la determinazione del “quantum” del tributo può essere correlata all’osservanza di alcuni oneri da parte del contribuente, semprechè gli stessi non siano particolarmente gravosi (Cass., 13 luglio 2018, n. 18700).

I soci non hanno infatti provveduto ad indicare il credito di imposta nella dichiarazione dei redditi. Peraltro, trattandosi di utili extracontabili che la società partecipata ha occultato al fisco, non sussiste il presupposto dell’attribuzione del credito di imposta al socio partecipante, atteso che la società, sugli utili non dichiarati, non ha previamente versato alcuna imposta che possa valere quale credito in favore dei soci percettori dei medesimi utili occulti.

13. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva da parte della Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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