Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29387 del 23/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/12/2020, (ud. 21/10/2020, dep. 23/12/2020), n.29387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15812/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

Molise Mare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso,

dall’Avv. Francesco Mancini, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avv. Vincenzo Ioffredi in Roma, via Gramsci n. 34;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise

n. 106/1/2012, depositata il 17 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale del Molise accoglieva l’appello principale proposto dalla Molise Mare s.r.l., società di costruzione di immobili, e rigettava l’appello incidentale della Agenzia delle entrate, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Termoli, che aveva accolto solo parzialmente il ricorso della contribuente contro l’avviso di accertamento emesso per l’anno 2005 ((OMISSIS)) e l’atto di contestazione Iva per l’anno 2004 ((OMISSIS)). In particolare, l’avviso di accertamento per il 2005 rideterminava i ricavi della società da Euro 3.435.800,00 (Euro 857,00 al mq), come dichiarati, ad Euro 5.473.750,00 (al valore di Euro 1.250,00 al mq), con un incremento di Euro 2.037.950,00, oltre ad una maggiore Iva, avendo la società applicato l’aliquota agevolata del 4 %, in luogo di quella ordinaria (Euro 672.523 per Ires, Euro 86.613,00 per Irap ed Euro 407.590,00 per maggiore Iva). Inoltre, si procedeva anche alla notifica di atto di contestazione di sanzioni per il 2004 (come risulta dalla motivazione della sentenza del giudice di appello). Il giudice di primo grado riduceva i ricavi accertati da Euro 5.473.750,00 ad Euro 4.401.400,00. Il giudice di appello rilevava, in accoglimento dell’appello principale, che il giudice di prime cure non aveva tenuto conto della perizia di parte redatta dall’Ing. S., ma solo della CTU espletata dall’Ing. O., mentre era elementi rilevanti i seguenti: le conclamate ed eccezionali difficoltà di mercato per la qualificazione del Lido di (OMISSIS) quale demanio marittimo; la sdemanializzazione intervenuta solo con la L. 28 maggio 2004, n. 140, art. 6, comma 2-bis; l’alluvione del gennaio 2003; il notevole reddito dichiarato dalla società pari ad Euro 495.000,00 benchè la società avesse iniziato ad operare da appena tre anni; la crisi del mercato immobiliare; la copiosa documentazione in ordine alla provvista necessaria per i finanziamenti verso soci; la perizia estimativa eseguita dalla Banca Apulia per la concessione alla società del mutuo ipotecario non costituiva una presunzione caratterizzata da gravità; nè erano elementi concordanti e gravi la valutazione OMI (osservatorio mercato immobiliare) o le inserzioni di giornali specializzati.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resiste con controricorso la società.

4. Il Procuratore Generale ha depositate conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, così come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, commi 2, 3, 4 e 23 bis conv. con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006 e della L. comunitaria 7 luglio 2009, n. 88, art. art. 24, comma 4, lett. F e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto viola le norme in tema di accertamento analitico-induttivo nonchè le previsioni sull’onere della prova. In particolare, tra gli indizi gravi vi è anche la perizia estimativa del complesso immobiliare effettuata dalla Banca Apulia per la concessione dell’ultima quota del mutuo ipotecario. Oltre a questo, occorre tenere conto dei valori OMI, delle notevole discrepanze fra i prezzi per metro quadrato di immobili simili di nuova costruzione nella zona di (OMISSIS), il mancato rinvenimento di ricevute rilasciate dalla società a seguito di versamento di “anticipi da clienti”, nè sono stati riscontrati versamenti bancari o bonifici per importi corrispondenti agli anticipi, tutti confluiti nel conto “cassa” e, quindi, regolati in contanti. Inoltre, l’alluvione del 2003, citata dal giudice di appello non ha interessato il lido di (OMISSIS). La questione relativa al demanio è stata risolta con la legge regionale n. 5/2006, che ha seguito il provvedimento di sdemanializzazione inserito alla L. 28 maggio 2004, n. 140, art. 6, comma bis. Il giudice di appello, poi, ha ritenuto che il mutuo erogato dalla Banca Apulia fosse quello richiesto dagli acquirenti degli appartamenti, mentre l’Agenzia delle entrate si è riferita alla perizia estimativa del complesso immobiliare redatta dalla Banca Apulia per la concessione dell’ultima tranche del mutuo ipotecario concesso alla Molise Mare s.r.l., in corrispondenza dell’ultimo stato di avanzamento lavori. La stima è stata redatta sulla base del sopralluogo effettuato in data 16-11-2004, momento in cui le palazzine erano già state ultimate, con uno stato di avanzamento dei lavori pari al 100 % delle opere. Le perizie di stima, infatti, sono state effettuate al termine di ciascun stato di avanzamento dei lavori, al fine di accertare il reale valore del complesso immobiliare, che costituiva, per l’istituto di credito, garanzia reale del mutuo concesso alla società. Nella perizia finale il valore del complesso turistico-alberghiero era di Euro 6.444.500,00, corrispondente al valore di Euro 1.300,00 al mq, quindi superiore a quello di Euro 850,00 al metro quadrato indicato dalla contribuente. Tale determinazione, in quanto compiuta da consulente di parte (la banca) con interessi contrapposti a quelli della società, non può che ritenersi “sottostimato”, in quanto, costituendo l’immobile garanzia del mutuo concesso, è normale ritenere che la banca, a tutela dei suoi interessi, in via prudenziale, abbia sottostimato il valore del compendio. Nè dalla “prima nota” della società risulta avvenuto il versamento dei soci e neppure le relative restituzioni, mentre tali operazioni trovano riscontro solo nel “libro giornale”, non essendo pensabile che versamenti di rilevante importo fossero avvenuti in contanti. Per la società le registrazioni contabili sul libro giornale della società non venivano effettuate sulla base della “prima nota” e di documenti giustificativi, ma sulla base di semplici “indicazioni” del Presidente del Consiglio di amministrazione, sicchè si è in presenza di una contabilità inattendibile, senza la minima garanzia anche per gli stessi soci, che effettuavano finanziamenti per migliaia di Euro in favore di un soggetto terzo, senza avere in cambio neppure una ricevuta. I disinvestimenti avvenuti a far data dal 1990, non solo non sono riconducibili ai soci, ma sono avvenuti in un arco temporale molto ampio e di molto anteriore al 2005.

1.1. Tale motivo è fondato.

1.2. Anzitutto, si rileva che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 17-12-2012, sicchè trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella modulazione di cui al D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze depositate a partire dall’11-9-2012.

1.3. Inoltre, si rileva che la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. può essere prospettata sotto più profili (Cass. Civ., sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Civ., sez. un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella fattispecie in esame, la censura della ricorrente resta nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto che la perizia di parte espletata dalla Banca Apulia in relazione al mutuo erogato alla società per la realizzazione delle costruzioni, rapportato ai singoli stati di avanzamento dei lavori, non fosse dotata del requisito della gravità, quindi, non investendo la quaestio facti in alcun modo.

Invero, il giudice di appello non ha tenuto conto che la perizia di stima effettuata dalla Banca Apulia non atteneva in alcun modo alla perizia di stima che la banca effettua per concedere il mutuo ai promissari acquirenti di un immobile.

Il giudice di appello, sul punto, ha affermato che “gli altri elementi presuntivi…non detengono carattere di gravità e concordanza tale da legittimare l’elevazione delle risultanze contabili della società”, aggiungendo che tali caratteristiche non erano proprie nè dei valori OMI, nè della “perizia estimativa eseguita dalla Banca Apulia per la concessione del mutuo ipotecario, in quanto è prassi corrente che il finanziamento venga concesso per soddisfare anche altre esigenza degli acquirenti o per coprire l’intero acquisto dell’immobile anzichè il solo 70-80%”.

1.4. Sul punto deve, però, osservarsi che per questa Corte, a fondamento dell’accertamento da parte dell’Agenzia, è sufficiente anche il semplice scostamento tra l’importo del mutuo erogato ed il prezzo dichiarato nel contratto di compravendita, in quanto anche un solo fatto, se presenta i caratteri della gravità e della precisione, può essere idoneo a costituire la fonte della presunzione (Cass., 26485/2016; Cass., 9 giugno 2017, n. 14388).

Deve, poi, tenersi conto anche che l’importo del mutuo erogato dalla banche, in genere, è coperto dal valore dell’immobile sul quale viene iscritta l’ipoteca, per consentire all’istituto di credito, in caso di mancata restituzione delle somme, di recuperale con l’azione esecutiva sull’immobile.

Peraltro, secondo la deliberazione 22 aprile 1995 del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio “l’ammontare massimo dei finanziamenti di reddito fondiario è pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati. Tale percentuale può essere elevata fino al 100 per cento qualora vengano prestate garanzie integrative”. Analogamente la Circolare della Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999, Titolo V cap.1, sez. IL stabilisce che “Le banche possono concedere finanziamenti di credito fondiario per un ammontare massimo pari all’80 per cento del valore dei beni immobili ipotecati”; è onere, poi, de contribuenti allegare e dimostrare quali siano state le eventuali ulteriori spese degli acquirenti, tali da giustificare l’erogazione di mutui per importi superiori ai limiti massimi consentiti e, comunque, superiori al valore dei singoli cespiti immobiliari

1.5. Peraltro, per questa Corte (Cass., sez. 5, 2 aprile 2020, n. 7655, in motivazione), la direttiva CE 2006/112/UE, art. 273, non esclude che l’imponibile Iva possa essere accertato induttivamente (CGUE, C 648/16), dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione (CGUE, Euro 576/15 e Euro 524/15).

1.6. Nella specie, il giudice di appello erroneamente ha considerato che il mutuo ipotecario era stato concesso ai promissari acquirenti, ritenendo che lo scostamento di prezzo tra quanto dichiarato nei contratti di compravendita, di importo inferiore, e quanto risultante dai mutui ipotecari, di importo superiore, non fosse un indizio grave.

Diversamente, si è in presenza di un mutuo che è stato erogato dalla banca Apulia in favore della società di costruzione, con continue verifiche da parte della banca sul valore degli immobili in corso di realizzazione mediante la redazione di perizie di parte per ogni stato di avanzamento dei lavori (SAL), proprio per controllare la rispondenza del valore di ogni SAL con l’importo del mutuo erogato per la costruzione degli immobili.

Tale perizia, effettuata anche in occasione dell’ultimo SAL, in relazione all’intero immobile edificato, ha mostrando un valore complessivo delle opere pari ad Euro 6.444.500,00, corrispondente ad un valore a metro quadrato degli appartamenti di Euro 1.300,00, di molto superiore a quello dichiarato pari ad Euro 850,00.

Tale perizia, quindi, proprio per la sua particolare natura, in quanto redatta dal soggetto, in qualche misura “contrapposto” alla contribuente, non può non rivestire il carattere della gravità, anche se considerato da solo, senza ulteriori elementi di concordanza.

1.7. Non è in alcun modo condivisibile, poi, l’affermazione della Commissione regionale per cui si tratterebbe di una “ricostruzione palesemente induttiva” operata dalla Agenzia delle entrate (cfr. pag. 4 penultimo capoverso della motivazione). In realtà, come emerge dal tenore del ricorso per cassazione, si è trattato di un accertamento anche analitico, tanto che vi erano in atti numerosi elementi convergenti (cfr. pagina 14 del ricorso per cassazione, ove sono indicati anche i valori dell’Osservatorio della Agenzia del territorio; le notevoli discrepanze fra i prezzi a metro quadrato di immobili simili di nuova costruzione siti nella zona di (OMISSIS); l’assenza di ricevute rilasciate dalla società a seguito del versamento di “anticipi da clienti”; mancato rinvenimento di bonifici o versamenti bancari corrispondenti agli anticipi ricevuti, tutti confluiti nel “conto cassa”).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice di appello ha omesso di valutare la non corretta applicazione dell’aliquota Iva sugli acquisti del 2005. Infatti, trattandosi di vendita di residenza turistiche non poteva essere applicata l’aliquota del 4 %, che concerne soltanto la “prima casa” o le costruzioni “rurali”, oppure “i fabbricati non di lusso (OMISSIS)”. Proprio per tale violazione, non solo era stato emesso atto di contestazione di sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, (violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto), per emissione di “fattura irregolare”, con applicazione di Iva ridotta, ma era stato anche emesso un ulteriore avviso di accertamento (trascritto dalla ricorrente) in cui si effettuava una ripresa a tassazione, per “differenza di imposta”. In particolare, nell’avviso di accertamento, sempre dell’anno 2005, si rileva che “la differenza di imposta determinata nella tabella allegata è risultata essere pari ad Euro 2.032,00, che scaturisce da un imponibile complessivo pari ad Euro 12.700,00 a cui deve applicarsi la differenza di aliquota (dal 4 al 20 %). Si precisa che “le maggiori imposte e sanzioni sono dettagliatamente descritte nei prospetti di calcolo del presente avviso di accertamento”. Pertanto, poichè il giudice di appello si è limitato ad accogliere l’appello principale della contribuente “limitatamente all’avviso di accertamento per l’anno 2005 che annulla”, non ha tenuto conto del “recupero fiscale” in esso ricompreso.

2.1. Tale motivo è fondato.

2.2. Anzitutto, si rileva che la censura del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012, pur essendo stata indicata in “rubrica” nel solco della precedente disposizione, tuttavia è meramente apparente, e quindi del tutto omessa, in quanto, il giudice di appello, dopo aver affermato che l’avviso era stato correttamente emesso con riferimento all’applicazione della minore aliquota Iva del 4%, in luogo di quella corretta del 20%, ha annullato per intero la ripresa fiscale relativa all’anno 2005, che ricomprendeva, appunto, oltre all’Ires, anche la ripresa a tassazione Iva per l’applicazione della tariffa agevolata del 4%, in luogo di quella ordinaria (Cass., sez-6-3. 25 settembre 2018, n. 22598).

Invero, per questa Corte, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.3. Invero, il giudice di appello, dopo aver ritenuto che era legittima l’applicazione della sanzione per violazioni Iva per l’anno 2004, ha accolto l’appello principale della contribuente limitatamente all’avviso di accertamento per l’anno 2005, che ha annullato per intero.

In realtà, però, l’avviso di accertamento per l’anno 2005 non comprendeva soltanto la ripresa a tassazione ai fini Ires, per la valutazione degli immobili da Euro 857 al mq ad Euro 1.250 al mq, ma anche la ripresa Iva per errata applicazione della aliquota che era superiore a quella ridotta del 4 h. Pertanto, benchè il giudice di appello abbia respinto il gravame della contribuente in ordine all’applicazione della sanzione Iva per l’anno 2004, “atteso che la venditrice doveva essere a conoscenza dell’aliquota da applicarsi ad ogni alienazione”, ha poi annullato l’avviso di accertamento 2005, anche in relazione alla ripresa Iva, che invece era appunto legittima, per errata applicazione della aliquota ridotta, sicchè tale avviso non poteva, comunque, essere annullato per intero.

Su tale annullamento integrale, ricomprendente anche l’Iva 2005, per differenza di somme derivante da applicazione di aliquota Iva, il giudice di appello non ha motivato in alcun modo.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo ed il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2020

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